Effetto Tesla: Elon Musk accelera la corsa al litio
Il litio potrebbe svolgere un ruolo importante nello scenario energetico del futuro, ma sarà fondamentale pensare anche a sistemi di riciclaggio per tenere sotto controllo l'impatto ambientale.
APPROFONDIMENTO – Elon Musk, visionario fondatore di Tesla e SpaceX, ha di recente annunciato di poter risolvere i problemi di approvvigionamento energetico dell’Australia, grazie all’installazione della più grande batteria al litio mai costruita finora. L’accordo con il governo australiano retto da Jay Weatherill è stato ufficializzato all’inizio di luglio, dopo alcune trattative iniziate subito dopo il pesante blackout che ha colpito il Sud dell’Australia lo scorso settembre.
La promessa di Musk ha attirato immediatamente diverse perplessità, ma la risposta ai dubbi ha voluto acquietare subito i sospetti che si tratti solo di una nuova “provocazione” tecnologica: come confermato dallo stesso Musk su Twitter, il nuovo impianto sarà pronto a 100 giorni dalla stipula del contratto, oppure questo si potrà considerare nullo.
Il progetto prevede un sistema di stoccaggio che avrà una capacità di energia pari a 129 megawattora, accoppiato con un impianto eolico.Ottimizzare lo stoccaggio di energia è uno dei punti chiave per il futuro delle rinnovabili e dei trasporti elettrici. Per questa ragione, non sarà solo l’Australia a beneficiare di questa innovazione, ma sul lungo periodo sarà tutto il comparto energetico, appunto, che potrebbe essere sempre meno dipendente dalle fonti fossili se fortificato da una pressione sul mercato delle batterie al litio. Questo almeno nelle intenzioni di Elon Musk, sembra di capire, che con Tesla è già da tempo impegnato nella messa a punto di nuove batterie – in Nevada la compagnia di Musk ha messo in piedi un’imponente fabbrica di pile agli ioni-litio, la GigaFactory – e nuovi modelli di auto elettrica – è stato appena presentato il Model 3, è degli ultimi giorni l’annuncio di un record stabilito dalla sede italiana di Tesla, più di 1000 km con una sola ricarica – e non è certo un caso che abbia accolto con entusiasmo la sfida tecnologica sul suolo australiano.
Caccia al petrolio bianco
Il litio è il terzo elemento della tavola periodica, è un metallo leggero di colore biancastro, si trova in natura principalmente in composti e si può considerare un minerale raro.
Fin dalla sua scoperta nel 1817 da parte del chimico svedese Johan August Arfwedson, il litio è stato subito riconosciuto come un materiale assai promettente per l’industria, e con il tempo si è rivelato utile anche in farmacologia, per curare i disturbi associati al bipolarismo, ma solo di recente si è guadagnato l’appellativo di “petrolio bianco” per via della sua importanza strategica per il futuro del settore energetico.
Il litio reagisce facilmente e violentemente con l’acqua ed è estremamente volatile: due caratteristiche chimico-fisiche che hanno inizialmente disilluso le aspettative industriali, relegandolo fino a buona parte del ventesimo secolo alla sola produzione di ceramica e vetro o per la lubrificazione di componenti meccaniche.
Il ruolo di questo elemento è cambiato attorno agli anni Settanta del secolo scorso, quando Michael Wittihingam iniziò a studiare le potenzialità del litio per le batterie elettriche: accumulando ioni di litio tra due strati di solduro di titanio (TiS2), lo scienziato inglese mise a punto un nuovo tipo di elettrodo, alla base di una nuova pila ricaricabile. Complice la crisi del petrolio di metà anni Settanta, Witthingam fu ingaggiato dalla Exxon mobile, e lavorò su un prototipo di batteria agli ioni litio ricaricabile a temperatura ambiente, montata su un’auto elettrica e presentata per la prima volta alla fiera dell’auto di Chicago del 1977. Nonostante l’interesse industriale – già si cominciò a parlare di litio come risorsa mineraria del futuro, come testimoniato da un numero di Science del 1976 – il mercato decise di rispedire le batterie al litio nell’oblio. I prezzi del petrolio ricominciarono a scendere e le pile ricaricabili rifecero la loro comparsa solo nel 1991 grazie al lavoro del fisico di Oxford John Goodenough e della Sony, che introdusse nel mercato i primi modelli portatili, forti di una capacità e un voltaggio nettamente superiori a quelli degli anni Settanta.
Oggi le batterie agli ioni-litio si trovano dappertutto, nei nostri smartphone, nei tablet, nelle videocamere, e secondo uno degli ultimi rapporti dell’US Geological Survay “garantire una copertura delle risorse di litio è diventata una priorità per gli Stati Uniti e per i Paesi asiatici”. Nel frattempo, il prezzo di carbone, petrolio, gas naturale e metalli naturali è in franata a livello globale per decine di punti percentuale, mentre quello del litio è aumentato del 60% in tre anni secondo il Benchmark Mineral Intelligence, e potrebbe continuare a crescere fino a triplicare entro il 2025.
Sebbene sia già da diversi anni nella rosa dei minerali cruciali per il futuro dell’energia, le previsioni di crescita della domanda di litio dipenderanno molto ovviamente dalla disponibilità di batterie, considerando anche che faranno la loro comparsa materiali competitori come lo zinco-bromo. L’effetto Tesla si misura in questo scenario, in cui del resto sono ancora relativamente pochi altri soggetti coinvolti nella corsa al petrolio bianco.
Oltre a Tesla, è la Cina la maggior produttrice, con più di 20 bus a trazione elettrica costruiti nel 2014 e con un progetto di costruire entro il 2021 batterie per 120 gigawattora, abbastanza per alimentare più di 1 milione di auto Model S.
Le miniere di litio più proficue si trovano in Sud America, in particolare in Bolivia – dove nella distesa di Uyuni è conservato quasi il 70% delle risorse globali di litio – in Cile dove è stato costituito un Consiglio Nazionale del Litio per regolare le risorse dell’Atacama, e in Argentina. Il cosiddetto triangolo del litio, dove non mancano conflitti per la spartizione delle risorse.
Per produrre auto elettriche, è certo meglio avere i rifornimenti di litio non lontano dalle fabbriche. Per questa ragione si stanno cercando a gran velocità nuovi giacimenti – i nuovi più promettenti sono nell’Est Europa, in Serbia e Repubblica Ceca – e si cerca di ottimizzare l’estrazione di suoli meno facili del Sud America ma promettenti come l’Australia, appunto.
Elon Musk e Tesla riusciranno davvero a cedere al litio il ruolo finora coperto dai combustibili fossili? Nonostante l’ottimismo tecnologico e finanziario, c’è da essere cauti, come ha suggerito lo stesso Musk .
Inoltre, bisogna tener conto che il litio, specie nella combinazione carbonato di litio usata per le batterie, oltre a problemi di scarsità di risorse non è immune da un non trascurabile impatto ambientale.
Pianificare il riciclo
Le risorse naturali di litio non sono ancora in riserva, anzi c’è chi prevede possano essere più abbondanti di quanto stimato, se si considera che per una batteria di piccole dimensioni servono circa 5 grammi di carbonato di litio (Li2CO3) e attorno ai 60 chili per un’auto del tipo Tesla. Se però la domanda dovesse crescere fino a decuplicare la richiesta di capacità entro il 2025, è meglio iniziare subito a progettare un ciclo efficace e sostenibile di riciclaggio – al momento meno del 5% del materiale viene riciclato. Il litio inoltre non è un materiale che può permettersi di essere lasciato incustodito, molto più di altri rifiuti elettronici: è altamente infiammabile e a contatto con l’acqua può funzionare da catalizzatore e creare una miscela esplosiva di idrogeno e ossigeno. Si tratta di un rischio concreto, se tra dieci anni dovremo gestire batterie al litio esauste per almeno 40 000 tonnellate ogni anno.
Non ci sono al momento inziative industriali per provvedere a questa esigenza che tengano il passo alla crescita delle gigafactory di Tesla – anche se la stessa compagnia aveva promesso di avviare subito in sito una sperimentazione sul riciclo, dopo gli allarmi dell’Agenzia di Protezione Ambientale sull’impatto delle batterie di nichel-cobalto, simili alle ioni-litio.
La ricerca di base intanto si sta organizzando: nel 2014 il nostro CNR con l’ICCOM (Istituto di Chimica dei Composti Organometallici) e Cobat (Consorzio nazionale raccolta e riciclo) hanno firmato un accordo quadro per individuare soluzioni innovative e sicure per il recupero del litio delle batterie usate.
Dai primi test in laboratorio, i ricercatori CNR sono riusciti a passare dai trattamenti di separazione dei metalli delle batterie mediante pirolisi, a sistemi a bassa temperatura (idro-metallurgici), meno inquinante e con un risparmio di diverse migliaia di euro per tonnellata di rifiuti.
E c’è chi pensa di ridurre ancora l’impatto facendo smaltire litio e cobalto a tre tipi di funghi. Per coltivarne a sufficienza, servirà forse una gigaserra.
Leggi anche: Si può tornare indietro? Passato, futuro e tecnologie
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.