SCOPERTE

La crisalide “spaziale”: così la nova di 600 anni fa è stata ritrovata

Incrociando le moderne osservazioni con quelle di antichissimi cataloghi stellari asiatici i ricercatori hanno trovato il guscio di una nova di 600 anni fa, scoprendo che si evolve proprio come una farfalla "spaziale", ma con cicli vitali di centinaia di milioni di anni

Il ciclo di una  nova è a lungo termine: fasi di massima luminosità e oscurità si alternano e può durare migliaia di anni prima della rinascita, dal guscio ormai vuoto dalla precedente esplosione. Immagine: K. Ilkiewicz and J. Mikolajewska

SCOPERTE – Proprio come una farfalla lascia la sua crisalide per volare via, gli scienziati hanno ripercorso all’indietro la storia della stella nova e ritrovato il suo bozzolo stellare di 600 anni fa, quando una fortissima luce apparve nel cielo notturno di Seul  rischiarando per 14 giorni la coda della costellazione dello Scorpione. Gli astronomi della corte imperiale della Corea hanno documentato l’evento, che risale ormai al 1437, pensando che una nuova stella fosse appena nata. Quello che avevano davanti però non era una nuova stella, ma una nova: l’esplosione di una stella nana in un sistema binario dopo aver cannibalizzato la sua compagna.

Dopo 600 anni, Michael Shara, del dipartimento di astrofisica dell’American Museum of Natural History, è riuscito a trovare il guscio vuoto della tremenda esplosione e ha pubblicato i risultati ottenuti sulla rivista Nature. Un risultato importante perché svela qualcosa in più su questo tipo di stelle e sul loro ciclo vitale, che può essere paragonato a quello di una “farfalla spaziale”. Il ciclo è a lunghissimo termine, fasi di massima luminosità si alternano a fasi di oscurità, e può durare anche migliaia di anni prima della loro rinascita dal guscio ormai vuoto dalla precedente esplosione.

Per poter comprendere l’importanza della scoperta, bisogna capire cosa sia una nova. Si tratta di una colossale bomba a idrogeno che esplode all’improvviso in un sistema binario, un sistema formato cioè da due stelle che orbitano una intorno all’altra: una nana bianca, stella giunta al termine della sua vita, che inizia a cannibalizzare la sua compagna, in genere una gigante rossa simile per classificazione al nostro Sole.

La nana bianca attira a sé l’idrogeno e l’elio della stella vicina fino a creare su di se un involucro che, sottoposto a pressioni e temperature altissime, una volta raggiunto il livello critico si innesca proprio come una bomba. Il processo di formazione dell’involucro richiede almeno 100mila anni, ma quando l’esplosione giunge è fortissima: la stella scatena all’improvviso una luminosità 300mila volte superiore a quella del Sole e per un lasso di tempo che va da qualche giorno a qualche mese.

Per molti anni Shara ha provato a localizzare il sistema binario che ha prodotto l’esplosione nel marzo 1437 poi, insieme ai colleghi Richard Stephenson della Durham University, storico degli antichi cataloghi astronomici dell’Asia, e l’astrofisico Mike Bode della Liverpool John Moores University, è arrivata la risposta. Gli scienziati hanno incrociato le osservazioni dell’antico catalogo coreano con la lastra fotografica del 1923 scattata dall’Harvard Observatory station in Perù e recentemente digitalizzata nell’ambito del progetto Digitizing a Sky Century at Harvard (DASCH) e così sono stati in grado di percorrere all’indietro la vita della stella nei secoli e di ritrovare proprio il guscio perduto.

Crediti immagine: Harvard DASCH

Analizzando altre lastre degli anni Quaranta digitalizzate dal progetto DASCH, gli scienziati hanno scoperto che la stella non è semplicemente svanita nel nulla dopo l’esplosione, ma si è trasformata passando da nova a novoide, per poi diventare una nova nana, caratterizzzata da piccole esplosioni. Al termine di questo ciclo, la stella si “ricaricherà” fino a tornare novoide e poi nova, seguento un ciclo che può essere ripetuto fino a 100mila volte in miliardi di anni. Questo ha permesso di svelare che questo tipo di cataclismi non danno vita alla nascita di nuove stelle, come ritenuto nell’antichità, ma rappresentano tutti la stessa entità, proprio come accade con le farfalle, spiega Shara:

“Come per le farfalle che passano dallo stadio di uovo a quello di bruco, crisalide e infine rinascono, i risultati forniscono un forte sostegno alla teoria secondo cui i sistemi binari di questo tipo siano una stessa entità osservata in fasi diverse della loro vita. La vera sfida nella comprensione dell’evoluzione di questi sistemi è rappresentata dal tempo in cui avviene il processo: se per le farfalle il ciclo vitale è di pochi mesi, per una nova si parla di centinaia di migliaia di anni”.

Se fino ad oggi dunque non siamo in grado di osservare un singolo ciclo vitale completo, e comprendere l’evoluzione di questi oggetti stellari, è perché il ciclo vitale di un uomo è troppo breve per poterlo seguire. Proprio per questo motivo poter localizzare il guscio perduto di una nova osservata per la prima volta 600 anni fa, grazie ad antichi cataloghi vecchi fino a 2500 anni, rappresenta una scoperta importante e un valido aiuto per la “breve” vita umana a cui l’osservazione di questi fenomeni, che avvengono con tempi astronomici, sarebbero altrimenti negata.

@oscillazioni

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.