Quindi… è fosfina nell’atmosfera di Venere
La firma del gas era nascosta nei dati di una vecchia sonda inviata sul pianeta.
Meno di un mese fa, un team internazionale di scienziati, guidato dalla professoressa Jane Greaves dell’Università di Cardiff, ha annunciato di aver identificato la potenziale firma della fosfina nell’atmosfera di Venere. Questo gas, altamente tossico, infiammabile e maleodorante, è considerato dagli scienziati un’importate biofirma perché sulla Terra viene prodotto esclusivamente dall’attività industriale umana e dalla vita microbica. In teoria, anche su Venere non esistono processi naturali conosciuti in grado di produrre fosfina. Di conseguenza, l’ipotesi che possa derivare dall’attività biologica appare piuttosto realistica.
La scoperta sembra confermare la teoria che, nonostante il pianeta sia uno dei meno ospitali del Sistema Solare, possa supportare la vita. Questa sarebbe concentrata nella sua atmosfera, in una fascia tra i 50 ed i 60 chilometri circa, dove la temperatura media si aggira attorno ad un gradevole 30 gradi Celsius.
L’annuncio è stato accolto con entusiasmo ma anche un po’ di scetticismo perché debole sotto alcuni aspetti. Prima di tutto, la rilevazione si è basata su una singola linea di assorbimento spettrale. In secondo luogo, i dati avevano richiesto molte elaborazioni per far emergere il segnale. Inoltre, il gas non dovrebbe esistere su Venere secondo la nostra attuale comprensione della chimica planetaria. La fosfina, infatti, composta da una molecola di fosforo e tre di idrogeno (PH3), non dovrebbe formarsi e sopravvivere in un ambiente altamente ossidato come quello venusiano, comunque non nelle quantità stimate.
Ora però, un altro gruppo di ricercatori, coordinato da Rakesh Mogul, biochimico della California State Polytechnic University, ha trovato un accenno di fosfina nei vecchi dati raccolti dalla sonda Pioneer 13 nel 1978.
Il programma Pioneer
Il programma Pioneer della NASA fu piuttosto articolato. Consisteva in due serie di sonde. Le prime furono lanciate tra il 1958 ed il 1960 in orbita attorno alla Luna e per investigare lo spazio interplanetario tra Venere e la Terra. Le seconde partirono tra il 1965 ed il 1992, due per esplorare Giove e Saturno e due per esplorare Venere. Il Pioneer Venus Orbiter (PVO) ed il Pioneer Venus Multiprobe (PVM). Oggetto di interesse sono proprio i dati raccolti da quest’ultima.
Il PVM, conosciuta anche come Pioneer Venus 2 o Pioneer 13, trasportava, a sua volta, quattro sonde: una più grande e tre più piccole. Tutte, furono lanciate nell’atmosfera venusiana in posizioni diverse il 9 dicembre del 1978 e collezionarono dati durante la discesa.
La più grande, chiamata Large Probe, era l’unica ad essere dotata di paracadute e sfoggiava una strumentazione più ricca rispetto alle altre (ma nessuna fotocamera). Uno dei sette strumenti era il Large Probe Neutral Mass Spectrometer (LNMS), uno spettrometro di massa neutro per misurare la composizione atmosferica. Tra questi dati la firma della fosfina sarebbe rimasta nascosta per 42 anni.
Il nuovo studio
Il nuovo documento, breve ma molto tecnico, intitolato “Is Phosphine in the Mass Spectra from Venus ‘Clouds?” è stato pubblicato nel database arXiv il 22 settembre e deve ancora essere sottoposto a peer review.
Nello studio il team ha rielaborato i vecchi dati rilevati dallo spettrometro LNMS a bordo della sonda venusiana Pioneer 13. «Considerando le implicazioni del rilevamento di fosfina (PH3) segnalato da una singola riga spettrale da Greaves et al., abbiamo pensato di riesaminare i dati ottenuti dallo spettrometro di massa neutro (LNMS) del Pioneer-Venus Large Probe per cercare evidenza di composti del fosforo», scrivono gli autori.
LNMS ha raccolto dei campioni dell’atmosfera venusiana durante la discesa della sonda e li ha analizzati attraverso la spettrometria di massa, una tecnica di laboratorio comunemente usata per identificare sostanze chimiche sconosciute. I diagrammi ottenuti includevano le altitudini comprese tra i 50 ed i 60 chilometri, ossia quel cuscinetto atmosferico considerato potenzialmente abitabile. La stessa fascia in cui Graves ha visto la firma della fosfina. Tuttavia, quando gli scienziati presentarono i primi risultati della missione, negli anni ’70 e ’80, non esaminarono i composti a base di fosforo ma si concentrarono su quelle sostanze considerate “normali” per Venere.
Mogul, che è anche associato al SETI Institute e all’Office of Planetary Protection della NASA, ha dichiarato: «credo che le prove [di alcune tracce di sostanze chimiche] nei vecchi dati, siano state in qualche modo dimenticate perché non si pensava che potessero esistere nell’atmosfera [di Venere]».
Il Dr. Sanjay Limaye, secondo autore della ricerca, ci ha spiegato via mail le differenze con la rilevazione della fosfina eseguita da Greaves e colleghi:
«Per rilevare la fosfina, il Dr Greaves ha utilizzato due telescopi terrestri operanti a lunghezze d’onda millimetriche (cioè molto più lunghe della radiazione visibile o infrarossa) utilizzando una singola linea spettrale. Tuttavia, secondo alcuni, la possibile formazione di anidride solforosa, potrebbe far dubitare che il segnale provenga dalla fosfina.
Nel documento arXiv, abbiamo esaminato i dati dello spettrometro di massa neutro sul Pioneer Venus Large Probe che è entrato nell’atmosfera nel dicembre 1978. Lo spettrometro di massa determina la massa delle molecole di gas nell’atmosfera. Queste, entrano nello strumento e vengono caricate con elettroni sotto un campo magnetico, per separarle, in modo da poterne determinare la massa. Ed abbiamo trovato alcune firme della fosfina e dei suoi frammenti. La possibilità è che, inizialmente, i ricercatori avessero interpretato la massa rilevata come idrogeno solforato poiché le masse molecolari delle due specie sono molto vicine. Lo strumento deve avere una risoluzione di massa molto alta per rimuovere le ambiguità. Lo spettrometro di massa sulla sonda aveva una risoluzione appena sufficiente per rilevarli ma non sufficiente per essere definitivo. Tuttavia, la firma dei frammenti di fosfina caricati nello strumento, suggerisce che [quei valori] provenivano dalla fosfina e non dall’idrogeno solforato».
Il team ha prima valutato l’accuratezza dei dati disponibili.
«Per stimare la risoluzione e le capacità del LNMS, abbiamo prima confrontato le masse misurate e attese per CO2, SO2, N2, 40Ar e 36Ar, che sono state identificate da Hoffman et al.», scrive nello studio. «In tutti i casi, le masse misurate (dagli spettri) e le masse attese differivano di <0,003 amu [unità di massa atomica]». Una differenza trascurabile in questo contesto, secondo i ricercatori, i quali hanno comunque deciso di mantenere una risoluzione dell’unità di massa conservativa. Due volte superiore (≤0,006 amu) rispetto al valore base identificato.
Con tali presupposti, dichiarano: «Troviamo che i dati LMNS supportano la presenza di fosfina. Anche se le origini del gas rimangono sconosciute».
Prima di tutto, «gli spettri di massa mostrano prove di fosforo atomico (30,973 amu), zolfo (31,972 amu) e ossigeno (15,995 amu), dove tutte le masse misurate differiscono dalle masse attese di ≤0,001 amu». Questi risultati, sottolinea il team, dimostrano che LNMS è riuscito ad ottenere dati ad alta risoluzione. Per quanto riguarda PH3, invece, è stata rilevata una certa ambiguità con H2S (idrogeno solforato) ma, la fosfina ed il parente stretto PH2 rimangono la migliore spiegazione.
In conclusione, «questa rivalutazione degli spettri di massa di Venere mostra la presenza del fosforo atomico come prodotto di frammentazione da un gas neutro. Inoltre, gli spettri indicano una possibilità allettante per la presenza di PH3, insieme ai suoi frammenti associati. … Sebbene le intensità dei picchi siano basse, sono forse coerenti con le abbondanze di ~20 ppb riportate da Greaves et al.».
Bisogna tenere a mente che lo strumento non era stato costruito per dare la caccia alla fosfina ed aveva difficoltà a distinguere il gas da altre molecole con masse simili. Quindi, quello che è logico affermare è che nei campioni analizzati sono presenti alcune molecole che hanno le stesse unità di massa atomica della fosfina, in quantità corrispondenti ai livelli dichiarati nel primo studio pubblicato su Nature Astronomy.
Gli autori hanno trovato anche altri gas che non dovrebbero essere nell’ambiente altamente ossidato del pianeta. Ci sono «sostanze chimiche potenzialmente fuori equilibrio nelle nuvole di Venere», scrivono. Tra queste, oltre alla fosfina: O2 (ossigeno biatomico), CH4 (metano), C3H4 (ciclopropene), NO (monossido di azoto), H2 (idrogeno biatomico) e H2O2 (perossido di idrogeno).
Limaye ha commentato: «La fosfina, se confermata da altre osservazioni, è sicuramente molto curiosa per le ragioni che sono state discusse recentemente. Non ci si aspetta che sia molto stabile da sopravvivere nell’atmosfera di Venere. Tuttavia, anche gli altri prodotti organici non erano previsti e sono lo stesso curiosi.
In precedenza, metano ed ammoniaca erano stati segnalati nell’atmosfera venusiana. Tuttavia, la rilevazione dell’ammoniaca non è stata accettata perché anche questa non dovrebbe esistere in equilibrio chimico. Ma senza il vincolo dell’equilibrio chimico, la sua presenza è possibile. Le prove sembrano dimostrare che l’atmosfera di Venere non è completamente in equilibrio chimico [almeno, secondo le nostre attuali conoscenze]».
«Riteniamo che questa sia un’indicazione di sostanze chimiche non ancora scoperte e / o potenzialmente favorevoli alla vita», hanno commentato. «Penso che molte persone stiano rivalutando l’idea che Venere è un ambiente completamente ossidante», ha detto Mogul.
Una prova in più
La Dr. Clara Sousa-Silva, che aveva partecipato al precedente studio, ha commentato via mail: «Penso che sia fantastico che si stia rivisitando questi dati d’archivio. È, ovviamente, molto incoraggiante vedere una potenziale conferma della nostra rilevazione di fosfina utilizzando la spettroscopia di massa. Ma mi sarebbe piaciuto vedere un articolo molto più lungo che avesse affrontato effettivamente potenziali fonti di rumore e ambiguità. Non sono un esperta di specifiche di massa ma mi fido degli autori dell’articolo (due di loro sono esperti di Venere molto affermati) e trovo che le loro argomentazioni per l’individuazione delle specie portatrici di fosforo (fosfina inclusa) siano molto convincenti».
Anche il Dr. Janusz Petkowski, astrobiologo del MIT e co-autore della prima ricerca, ci ha scritto entusiasta: «Il Dr. Rakesh Mogul ha individuato segnali che assomigliano molto alla fosfina in dati vecchi di 40 anni raccolti dalla sonda Pioneer 13, che ha studiato i banchi nuvolosi di Venere. In definiva, il team ha trovato prove di atomi di fosforo nell’atmosfera, che probabilmente provengono da un gas più pesante come la fosfina. Se questa scoperta è davvero un segnale del fosforo in fase gassosa, è difficile immaginare che provenga da un gas diverso dalla fosfina.
Questo studio fornisce un suggerimento molto simpatico: la NASA avrebbe potuto rilevare PH3 molti anni fa senza rendersene conto.
Lo studio del Dr. Mogul mostra che i vecchi dati potrebbero ancora contenere nuove e preziose informazioni che vale la pena esaminare. Mi chiedo quali altre scoperte ci attendono in altri obsoleti set di dati?!?!».
Andiamo su Venere
«Guardando al futuro e per comprendere meglio il potenziale degli squilibri tra le nuvole, abbiamo bisogno di un’esplorazione sostenuta di Venere», commentano Mogul e colleghi.
Numerose missioni su Venere sono state proposte nel corso degli anni ma poche si sono effettivamente concretizzate negli ultimi tre decenni. Al momento ci sono buone speranze per un paio di sonde della NASA, VERITAS (Venus Emissivity, Radio Science, InSAR, Topography, and Spectroscopy) e DAVINCI (Deep Atmosphere Venus Investigation of Noble gases, Chemistry, and Imaging), entrambe del programma Discovery (missioni altamente specializzate a basso costo). L’ESA sta valutando le missioni VEP (Venus Entry Probe) ed EnVision ed alcune compagnie private potrebbero mettere in pista missioni mirate in tempi brevi. Ma nell’immediato futuro BepiColombo, potrebbe fornire un’ulteriore conferma.
La sonda della missione congiunta ESA / JAXA effettuerà due manovre di gravity assist attorno a Venere durante il suo viaggio verso Mercurio. La prima il prossimo 15 ottobre, passando a circa 10mila chilometri dal pianeta; la seconda il 10 agosto 2021. Il team ha già pianificato da tempo le osservazioni di Venere in occasione del fly-by ma ora sa che lo spettrometro MERTIS (MErcury Radiometer and Thermal Infrared Spectrometer) potrebbe offrire un contributo importate sul mistero della fosfina.
Lo strumento sarà al limite della sua sensibilità e comunque non è stato progettato per studiare l’atmosfera venusiana. Tuttavia, il secondo sorvolo, quello del prossimo anno, sarà più promettente: sia perché la squadra avrà tempo per preparare un’osservazione mirata e sia perché avverrà ad una distanza ancora più ravvicinata (550 chilometri dal pianeta).
«[Al primo sorvolo] dobbiamo essere molto, molto fortunati», ha detto Jörn Helbert del Centro Aerospaziale Tedesco (Dlr). «Nel secondo, dobbiamo solo essere molto fortunati. Ma sarà davvero al limite di quello che possiamo fare».
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