L’esperimento SOX nei Laboratori nazionali del Gran Sasso: cos’è e perché è sicuro
Il servizio del programma Le Iene accusa l’esperimento, che utilizza una sorgente di Cerio 144 radioattiva, di essere una “minaccia nucleare”. Ne abbiamo parlato con Marco Pallavicini, responsabile del progetto e professore ordinario di fisica all'Università di Genova
CRONACA – Un pericoloso esperimento nucleare tenuto nascosto. Questo il titolo del servizio a cura di Nadia Toffa andato in onda il 21 novembre per Le Iene. Un servizio che parla dell’esperimento Sox nel Laboratori nazionali del Gran Sasso come di una minaccia nucleare. Minaccia nucleare, però, che minaccia non è.
Per capire cosa sia l’esperimento SOX che si terrà nei laboratori del Gran Sasso, quali sono i suoi obiettivi e come funziona, ma soprattutto perché è totalmente sbagliato parlare di “minaccia nucleare”, abbiamo intervistato Marco Pallavicini, responsabile del progetto SOX, professore ordinario di fisica dell’Università di Genova e direttore del Festival della scienza di Genova dal 2016.
Prima di parlare dell’esperimento SOX è necessario parlare di Borexino, il rivelatore di neutrini solari a basse energie che da oltre 10 anni è in funzione nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS). Si tratta infatti del miglior rivelatore di neutrini a oggi in funzione e soprattutto quello con la più alta radio-purezza al mondo, proprio per consentire la rivelazione di queste particelle che sono debolmente interagenti con la materia e molto difficili da osservare.
Borexino ha studiato fino ad oggi principalmente i neutrini solari, cioè i neutrini provenienti dal cuore del Sole e che sono emessi dalle reazioni di fusione nucleare che avvengono all’interno della stella. Secondo il Modello Standard per le particelle esistono 3 tipi di neutrini, i cui “sapori” sono elettronici, muonici o tauonici, associati alle relative antiparticelle. Ognuno di essi dunque rappresenta un preciso sapore, ma negli anni gli scienziati hanno osservato un fenomeno chiamato “oscillazione”, cioè un passaggio da un sapore a un altro. Ad esempio, i neutrini elettronici prodotti nel nucleo del Sole una volta arrivati sulla Terra cambiano sapore oscillando in neutrini muonici o tauonici.
Le evidenze sperimentali hanno portato gli scienziati a ipotizzare l’esistenza di un quarto sapore per i neutrini, particelle ancora più debolmente interagente delle altre previste dal Modello Standard, e che per questo vengono definite “sterili”. L’obiettivo di SOX, Short-distance Oscillations with boreXino, è dunque quello di studiare questa nuova classe di neutrini, come ha spiegato Pallavicini:
“SOX è un esperimento di fisica del neutrino, in particolare si occupa di oscillazione di neutrino a corta distanza, dove i neutrini sono prodotti a circa 10 metri dal rivelatore. Lo scopo è capire se in natura esistono neutrini diversi dai 3 conosciuti, che nel linguaggio della fisica vengono chiamati neutrini “sterili”, perché hanno interazioni ancora più deboli dei neutrini noti”.
L’esperimento SOX dunque lavora in tandem con il rivelatore Borexino. Per il corretto funzionamento dell’esperimento è necessario utilizzare una sorgente di neutrini sterili, e questa sorgente è proprio rappresentata dai 40 grammi di Cerio 144 che sono oggetto delle preoccupazioni, totalmente immotivate, sollevate nel servizio de Le Iene, come sottolinea Pallavicini:
“L’esperimento per funzionare ha bisogno di una sorgente di neutrini, in questo caso il Cerio 144, e di un rivelatore di neutrini, cioè Borexino, che è il più importante rivelatore a basse energie al mondo. Borexino è in funzione da 10 anni e ha già fornito molte soddisfazioni agli scienziati, inoltre ha tutte le caratteristiche per consentire un esperimento di grande qualità se messo in cooperazione con una sorgente di neutrini opportuna”.
Ovviamente la scelta della sorgente di neutrini non è stata presa a cuor leggero, sottolinea il professor Pallavicini, anzi sono decine gli ingegneri che hanno collaborato alla progettazione e alla costruzione e verifica del contenitore in tungsteno dal peso di 2,4 tonnellate:
“Le misure di sicurezza prese sono una enormità e la documentazione relativa a tutte le fasi dell’esperimento è rappresentata di centinaia di pagine che sono il frutto di oltre due anni di lavoro da parte dei nostri ingegneri, tutti con differenti qualifiche. Abbiamo mobilitato esperti di meccanica, di nucleare e radioprotezione, di sicurezza antincendio, trasporto e manipolazione di sostanze radioattive e molti altri. Inoltre, abbiamo coinvolto diverse società di consulenza italiane per gli studi sulla sicurezza e il CEA, Commissariat à l’énergie atomique, cioè il centro di sicurezza atomica francese. Tutti i rischi possibili e immaginabili sono stati previsti, non solo quelli indicati dalle norme di legge, ma anche quelli più improbabili, proprio per garantire la sicurezza non solo dei cittadini, ma anche di tutti gli scienziati, me incluso, che dovranno lavorare a stretto contatto con la sorgente radioattiva”.
Non solo dunque l’ipotesi di dispersione di materiale radioattivo è del tutto irrealistica, ma è anche sbagliato paragonare il disastro nucleare di Fukushima, una centrale dove si pratica la fissione nucleare, alla potenza dell’esperimento SOX, ci ha spiegato ancora Pallavicini:
“Il paragone tra SOX e Fukushima è una sciocchezza totale per almeno due motivi. Il primo è che nel caso di SOX parliamo di un decadimento radioattivo, cioè un processo naturale che non può essere accelerato, né rallentato da chiunque e per nessun motivo. Non c’è fisica che lo possa fare. Nel caso di Fukushima invece si parla di fissione nucleare indotta da un neutrone, dunque una reazione a catena indotta dall’uomo, cosa che non avviene invece nel nostro esperimento.
In secondo luogo, una centrale nucleare tipica lavora con potenze dell’ordine di 1 GigaWatt, cioè un miliardo di Watt. In nostro esperimento invece ha la stessa potenza di un ferro da stiro, di quelli utilizzati da tutti nelle proprie case, cioè dell’ordine di appena 1 kiloWatt, cioè mille Watt”.
Come si evince dalle parole del responsabile dell’esperimento, si parla di una potenza un milione di volte inferiore a quella della centrale. Inoltre a garantire che tutto si svolga nel modo più sicuro possibile, c’è lo speciale contenitore in sinterizzazione di polvere di tungsteno con una lega di ferro e nichel, oltre a una coppia di capsule di acciaio spesse ciascuna 3 millimetri. Pallavini spiega:
“Il contenitore di SOX è una struttura in tungsteno che resiste a temperature che raggiungono i 1500 gradi Celsius, dunque assolutamente antincendio, e inoltre la sorgente radioattiva è sigillata, quindi in caso di allagamento non ci sarebbe la contaminazione dell’acqua. Non si tratta infatti di un oggetto che si possa guastare: non è dotato di sistemi elettronici, meccanici o termini, è un contenitore dal peso di 2,4 tonnellate e assolutamente sicuro.
Al di là dello studio a priori per chiedere i permessi, c’è stato un approfondito studio a posteriori sulla sua sicurezza. E’ un oggetto che non solo è stato simulato in fase di progettazione, ma è stato anche testato e abbiamo verificato che non si rompesse in alcun caso. Sono state fatte misure sulla densità del materiale, sulla sua qualità con ultrasuoni ed ecografie, per controllare che non abbia difetti e nessun tipo di imperfezione costruttiva.
La capsula interna è costituita da 3 millimetri di acciaio saldata doppia, cioè due capsule in acciaio di 3 millimetri e già questa sarebbe stata una misura sufficiente, dato che per rompere la capsula ci vorrebbe una mazza gigantesca. Inoltre la capsula doppia è protetta da un oggetto indistruttibile e che non può essere aperto in nessun modo, il contenitore in tungsteno, dunque i 40 grammi di Cerio 144 sono assolutamente irraggiungibili e isolati”.
L’esperimento quindi è totalmente sicuro e l’attacco subito dai Laboratori nazionali del Gran Sasso e dai suoi scienziati che rappresentano un’eccellenza della ricerca scientifica in Italia appare sempre più immotivato. Un clima teso, come sottolinea Pallavicini, dove la gente ha sviluppato paure e timori infondati per via di una scorretta rappresentazione scientifica di quale sia il lavoro nei laboratori. Una soluzione, però, è possibile e Pallavicini è pronto a fornirla:
“Il compito di noi fisici che lavoriamo nel laboratorio ora è quello di incontrare le persone e spiegare cosa stiamo facendo. Ora è necessario ‘sporcarsi le mani’ affinché tutti comprendano cosa facciamo davvero nei laboratori e che non ci sono assolutamente rischi per la popolazione”.
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