Le due metà di Star Wars, Gli ultimi jedi
Per una rubrica come Stranimondi, la seconda metà di dicembre significa Star Wars. Che si tratti di un episodio della saga principale o di uno spin-off.
STRANIMONDi – Non potevo esimermi dal parlare de Gli ultimi Jedi, secondo film della terza trilogia, diretto da Rian Johnson – già regista dell’eccellente Looper e di una delle più belle puntate di Breaking Bad – uscito nelle sale italiane il 13 dicembre.
Prima di proseguire, un avvertimento per chi non avesse ancora visto il film: questa recensione conterrà diversi spoiler, quindi pensateci bene prima di riprendere la lettura dopo l’immagine.
Nel commentare Il risveglio della Forza, più che sulle tante somiglianze con Episodio IV mi ero soffermato sulle differenze rispetto al primo film di Star Wars, sugli elementi di novità che, senza dimenticare gli archetipi su cui la saga si fonda, avrebbero condotto la terza trilogia in una direzione nuova. O almeno, questa era la mia speranza.
Speranza che non è andata disillusa, perché Gli ultimi Jedi cambia in effetti le carte in tavola e, in parte, lo fa anche bene. Due sono le principali linee narrative del film.
Una è incentrata sul rapporto fra Rey e Kylo Ren, legati dalla Forza e in grado di comunicare anche a grandi distanze. Fra di loro serpeggia una tensione continua, ben sottolineata da una serie di montaggi alternati e da dialoghi asciutti ed efficaci, che riescono a restituire la situazione di confusione in cui si trova Rey, divisa fra ciò che le dice Kylo – che lei inizia a chiamare Ben – e le esitanti rivelazioni di Luke Skywalker. Il vecchio jedi è uno dei punti di forza del film e l’interpretazione di Mark Hamill riesce a infondere nel personaggio il tormento di un eroe che ha reagito al fallimento ritirandosi dal mondo.
Grazie ai suoi racconti e a quelli di Ben, veniamo a sapere cosa ha scatenato la rabbia di quest’ultimo, spalancando le porte al Lato Oscuro che in lui era già forte. A sottolineare questo aspetto ci pensa anche il Leader Supremo Snoke, che finalmente vediamo dal vivo. Sarà proprio lui, nel rimproverare le esitazioni di Kylo Ren, a ricordargli che non è all’altezza di Darth Vader. Significativo, in questo senso, il momento in cui gli ordina di levarsi la maschera, che poi Kylo/Ben distrugge in uno dei suoi impeti di rabbia. Non la indosserà più per il resto del film.
Questo è uno dei momenti chiave di Episodio VIII, segno evidente della volontà di cambiare marcia. Darth Vader, il villain che con la sua enorme presenza ha tenuto insieme i primi sei episodi della saga, non c’è più. Invece di cercare di emularlo, si è scelto di sostituirlo con un suo aspirante erede, costretto a un confronto che non può vincere, sia nell’universo immaginario di Star Wars, sia nel mondo reale degli spettatori. E proprio da questo conflitto, in parte meta-narrativo, che nasce la forza di questo personaggio solitario, sempre in cerca di riconoscimento e approvazione. Uno dei più interessanti della nuova trilogia, complice anche l’interpretazione di Adam Driver.
Stretta fra lui e Mark Hamill, pur non dando prova di sopraffine doti recitative Daisy Ridley riesce comunque a non sfigurare; salvo un paio di sorrisi la sua Rey non è molto espressiva ma compensa con la giusta dose di fisicità e carisma. L’interazione fra questi tre personaggi rappresenta il cuore di Episodio VIII, riportando al centro della storia la componente mistico-eroica della saga e, forse, tranquillizzando i tanti fan scontentati da come J.J. Abrahms aveva rappresentato la Forza nel film precedente. Qui, complice la presenza di un mentore di eccezione, la Forza torna a essere quella che è sempre stata, un’energia spirituale che pervade l’universo e non una semplice serie di trucchetti supereroistici. Interessante anche il riferimento a una sorta di equilibrio fra il Lato Chiaro e quello Oscuro, cui fa cenno Snoke.
Se potessi valutare solo questa parte di trama, non potrei che lodare Gli ultimi jedi. Però c’è anche il resto del film.
La seconda linea narrativa riguarda il conflitto militare fra il Primo Ordine e la Resistenza. Il nodo della vicenda è rappresentato da una nuova tecnologia grazie alla quale la flotta del Primo Ordine riesce a seguire le navi dei ribelli anche dopo il salto nell’iperspazio. Inizia così un inseguimento dove gli Star Destroyer e l’ammiraglia di Snoke tallonano la piccola flotta ribelle, che un’incursione di Kylo Ren ha privato dei caccia X-Wing. È solo una questione di tempo prima che la nave di Leia Organa rimanga senza carburante e senza energia per gli scudi che la proteggono dai cannoni nemici.
Qui si innestano le vicende di Poe Dameron e di Finn. Il primo passa il film a comportarsi da testa calda, venendo sgridato da tutti e senza combinare nulla di rilevante. Bella l’idea di criticare lo stereotipo dell’eroe impulsivo, che vuole risolvere la situazione in barba alla prudenza e al gioco di squadra. Il problema è che questo tema viene reso trasformando il povero Poe in una macchietta, un bambino iperattivo e non troppo furbo il cui sviluppo narrativo è piatto e insipido.
La sotto-trama di Finn è un po’ più articolata e introduce due nuovi personaggi, la meccanica Rose e lo spezzacodici DJ, interpretato da Benicio del Toro, che presumibilmente torneranno in Episodio IX. L’arco narrativo dell’ex trooper interpretato da John Boyega risulta però fiacco, l’unica evoluzione del personaggio – uno dei più interessanti de Il risveglio della Forza – consiste nel legame che si crea con Rose e si ha la sensazione che tutta la sua avventura sia stata infilata nella sceneggiatura solo per fargli fare qualcosa, senza grandi ispirazioni narrative.
Insomma, pur includendo temi potenzialmente interessanti la linea narrativa militare de Gli ultimi jedi si perde fra dialoghi legnosi e piuttosto banali, forzature e deus ex machina (qualcuno ha detto BB-8?), risultando decisamente meno riuscita di quella incentrata su Kylo, Rey e Luke. Quest’ultima è infatti ben gestita a livello di idee, ritmo e atmosfere, e si svolge in maniera non scontata, giocando efficacemente con le aspettative dei fan. Ogni sua scena è necessaria allo sviluppo dei tre protagonisti, cosa che invece non si può certo dire della trama militare, che a tratti sa di brodo allungato e che poteva essere tagliata in più parti, accorciando un film inutilmente lungo.
Il risultato finale è quindi un film dalla doppia natura, che da un lato delinea una rotta nuova e appassionante per la saga, distaccandosi dal passato pur rispettandone la tradizione, ma dall’altro zoppica e fatica a rendere avvincente il destino di alcuni personaggi. Siamo comunque a livelli ben più alti degli Episodi I, II e III, ma era lecito aspettarsi qualcosa di più.
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