Nuotare coi delfini è educativo? Esperti a confronto sul decreto legislativo appena approvato
Secondo associazioni animaliste come la LAV viene meno un articolo fondamentale per la tutela dei cetacei in cattività. Ma le preoccupazioni spaziano dal benessere animale alla sicurezza umana
ANIMALI – Ha poco più di una settimana di vita la modifica del decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73, quale attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, che di fatto autorizza a fare il bagno coi delfini nei parchi acquatici. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio, la norma ha fatto insorgere gruppi animalisti come la LAV che ha chiarito la propria posizione in una nota: “Fino a ieri l’Italia vantava una norma per la tutela dei delfini in cattività tra le più complete in Europa. Ma il decreto pubblicato in GU ha mutilato questa legge, modificando uno degli articoli fondamentali per la protezione degli animali, quello che vietava al pubblico il nuoto con i delfini“.
La norma ha modificato l’articolo 37 del precedente decreto legislativo del 28 marzo 2015, che recitava: “Il nuoto con i delfini e l’ingresso nella loro vasca sono vietati; sono invece permessi solo all’addestratore. Al veterinario, al biologo e al curatore è consentito di effettuare immersioni con i delfini allo scopo di provvedere alla loro cura o all’ispezione delle strutture. Altri soggetti possono essere autorizzati, solamente per scopi scientifici, dall’Autorità di gestione CITES, sentita l’Autorità scientifica CITES. L’ingresso e il nuoto nella vasca sono consentiti anche al personale addetto alle operazioni di pulizia, disinfezione e manutenzione, a condizione che sia accompagnato dai dipendenti o collaboratori della struttura competenti nelle attività svolte”.
La norma prevede ora “l’ingresso in vasca ai soggetti che partecipano ad attività di educazione e sensibilizzazione del pubblico in materia di conservazione della biodiversità con i delfini, nell’ambito di specifiche iniziative programmate all’interno delle strutture in possesso della licenza di Giardino zoologico che detengono delfini, a condizione che il medico veterinario della struttura, di comprovata esperienza e con specifiche conoscenze sanitarie ed etologiche della specie, accerti preventivamente l’idoneità sanitaria e comportamentale dei delfini interessati e monitori periodicamente le condizioni di salute e di benessere degli stessi, riportando tali informazioni nel registro di cui all’allegato 2”.
Il primo elemento da segnalare è il carattere di eccezionalità che il legislatore riconosce ai delfini: già nel decreto del 28 maggio 2015, il Ministero dell’ambiente della Tutela del Territorio e del Mare introduceva modifiche agli allegati 1 e 2 del precedente decreto datato 2005, specificando alcuni criteri e requisiti minimi necessari per il mantenimento in cattività e per il trasporto e trasferimento di tursiopi, la specie Tursiops truncatus. È solo per questa specie che il decreto legislativo appena approvato riconosce la possibilità di svolgere attività in vasca.
“Parliamo di animali selvatici con attitudine predatoria e carnivori che, per quanto addestrati, possono mostrare occasionali attitudini aggressive non sempre prevedibili. Il legislatore dovrebbe riconoscere al pubblico anche il diritto di svolgere attività educative con una tigre o un ippopotamo, non cambierebbe nulla”, commenta Sandro Mazzariol, professore di anatomia veterinaria all’Università degli Studi di Padova e con esperienza decennale nello studio delle malattie e del benessere dei cetacei.
Il decreto appena approvato non va invece a modificare l’articolo 38, che prevede l’impossibilità per il pubblico di alimentare gli animali o avere un contatto fisico diretto. “La norma che abbiamo appreso dalla GU è interpretabile”, chiarisce Claudia Gili, direttore scientifico e dei servizi veterinari della Costa Edutainment per l’Acquario di Genova. “Non è esplicitato infatti in che modo queste persone possono stare con l’animale. Non avendo modificato l’articolo 38 il contatto diretto con l’animale rimane escluso, quindi possiamo ipotizzare che sia possibile fare snorkeling nella vasca e osservare l’animale solo da lontano. Le immagini che circolano sui quotidiani in questi giorni, che mostrano soggetti che si attaccano alla dorsale o alle pinne pettorali, credo siano fuorvianti in tal senso”. Anche le figure prese in esame dalla norma non sono ben esplicitate.
Gli studi circa l’impatto che attività a contatto con i delfini producono sul pubblico in termini di educazione e sensibilizzazione alla biodiversità sono piuttosto scarsi. Data lo scarso corpus di pubblicazioni/citazioni disponibili in letteratura, non è possibile affermare l’esistenza di un legame certo tra queste attività a contatto con l’animale e l’impatto educativo, ma è doveroso segnalare l’esistenza di studi come “Dolphin Shows and Interaction Programs: Benefits for Conservation Education?”, pubblicato sulla rivista Zoo Biology nel 2013 da un gruppo di ricercatori statunitensi.
L’articolo indica l’esistenza di un impatto positivo a breve termine circa la sensibilizzazione in tema di biodiversità su quella parte di pubblico che ha effettuato attività a contatto coi delfini o ha assistito a uno spettacolo. Si tratta solo di un esempio, perché in letteratura non esistono studi completi a riguardo, soprattutto per quello che riguarda gli effetti a lungo periodo.
“Io sono solo un medico veterinario, ma sull’impatto educativo credo si possa senz’altro dire che questi animali sono in grado di attivare forti emozioni nel pubblico che possono spalancare un canale empatico come primo passo per veicolare messaggi educativi poi più complessi. Va segnalato che, affinché il pubblico faccia propri alcuni valori legati alla biodiversità e alla conservazione delle specie in natura, non basta il semplice contatto con l’animale, anzi. Tali valori devono essere gestiti, incanalati e comunicati da personale ben preparato a trasferire concetti di tutela stimolando la consapevolezza della necessità di ridurre al minimo l’impatto antropico per salvaguardare l’ambiente naturale”, continua Gili.
Nuotare coi delfini, e coi mammiferi marini in genere, non è un’attività semplice e priva di rischi come molti potrebbero pensare. Come spiega Mazzariol, “in una recente indagine sui lavoratori che sono a contatto con i mammiferi marini negli USA, circa metà degli intervistati (251 su 483) facenti parte del personale scientifico e tecnico, riporta una lesione traumatica (ferita profonda, morso, ferita per cui sia stato necessario apporre punti di sutura, fratture ossee) connessa con il contatto diretto con i mammiferi marini e poco meno di un quarto una reazione dermatologica”.
La bibliografia consultata e l’esperienza personale “dimostrano che i mammiferi marini possono infettarsi, ammalarsi o anche essere semplicemente veicoli di numerosi agenti potenzialmente zoonosici di natura virale, batterica e parassitaria”, prosegue Mazzariol. “In particolare si sottolineano i casi di trasmissione all’uomo di micobatteri attraverso il morso di un cetaceo (Flowers, 1970) e l’isolamento sempre più frequente di MRSA (methicillin-resistant Staphylococcus aureus) da cetacei [Schaefer et al., 2009; Morris et al., 2011; Stewart et al., 2014], germi in grado di causare patologie molto gravi nell’uomo e negli animali. In un parco italiano due cetacei sono deceduti per infezioni da MRSA e lo stesso ceppo è stato isolato negli operatori ed in altri soggetti. Anche i patogeni possono essere veicolati dall’uomo agli animali mantenuti in vasca”.
Sono da segnalare anche recenti episodi di morsi da parte di tursiopi a carico di due bambine, che si sono verificati in due delfinari degli USA (Sea World di Orlando, Florida e Dolphin Cove Park di San Antonio, Texas). Tali eventi sono documentati anche con riprese video e si possono visualizzare in rete.
“Queste attività necessitano un controllo strettissimo per garantire la salute degli animali e la sicurezza degli operatori e degli ospiti coinvolti, tutelando tutti. Si tratta infatti di attività che presuppongono l’adeguatezza delle strutture ed un importante lavoro di preparazione degli animali tutt’altro che scontati. Già oggi i protocolli di prevenzione e controllo del benessere animale sono molto rigorosi e prevedono una attività di reporting mensile al Ministero dell’Ambiente circa lo stato di salute degli animali e la loro gestione e risposta quotidiana. Nel decreto la responsabilità in capo a chi gestisce tali attività è notevole”, spiega Gili. E di responsabilità il decreto parla chiaramente, investendo i medici veterinari di un ulteriore dovere di controllo e garanzia che forse risulta troppo articolato e complesso per essere posto nelle mani di una sola professionalità. Forse sarebbe necessario includere ad esempio la figura di un medico per la valutazione dei rischi per l’uomo.
C’è, infine, da considerare il fattore stress per gli animali. “Gli animali costretti a vivere a stretto contatto con l’uomo sono soggetti a numerosi stimoli, definiti stressors, e mostrano inevitabilmente variazioni del proprio comportamento (Morgan and Tromborg, 2007). In uno studio del 1999 (Kyngdon et al., 2003) condotto su tre esemplari di delfino comune utilizzati in un programma “Swim-With-Dolphin” sono state osservate numerose variazioni comportamentali, sia in positivo che in negativo, legate all’ambiente, all’interazione con l’uomo, all’interazione forzata con altri individui della stessa specie. Constantine e collaboratori (2004) hanno osservato variazioni comportamentali in esemplari di tursiopi coinvolti in attività di “Dolphin-watching tour” tanto da suggerire ai legislatori neozelandesi di prendere provvedimenti per ridurre l’accesso all’uomo nelle aree frequentate dai tursiopi. Trone e collaboratori (2005) hanno condotto uno studio su tre tursiopi riportando citazioni bibliografiche sia a favore sia contrarie all’utilizzo di cetacei in spettacoli di intrattenimento per ospiti”, conclude Mazzariol.
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