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Serpenti in Italia, sfatiamo i miti per una convivenza pacifica

Quali serpenti si possono incontrare durante i trekking e come si riconoscono quelli velenosi? Una guida per sfatare le leggende e vincere la fobia.

State camminando in montagna, sentite un fruscio, vi girate e vedete qualcosa strisciare vicino a voi: di che serpente si tratta? È velenoso? Come è meglio comportarsi?

Ecco i consigli di Matteo Di Nicola, naturalista erpetologo che ha pubblicato la guida fotografica “Anfibi e rettili di Sardegna”, sta lavorando ad altri progetti editoriali sulla fauna erpetologica italiana e gestisce un numeroso gruppo su Facebook dove fa divulgazione.

Immaginando l’arco alpino dell’Italia settentrionale, ma anche i rilievi appenninici sopra i 1400-1500 metri, gli incontri più probabili sono con serpenti del genere Vipera. Sulle Alpi la specie che si trova più frequentemente è Vipera berus, ovvero il marasso, che si incontra sui rilievi delle Alpi centro orientali dai 1500 metri in sù, mentre sotto i 1500 potrebbe trattarsi di Vipera aspis – l’aspide.

Gli incontri con serpenti che avvengono in Italia riguardano in buona parte la famiglia dei Colubridi, animali innocui e che spesso si spingono nei giardini.

Quando è più probabile un incontro

I serpenti possono essere incrociati ovunque e comunque, tutto dipende dalla specie, dall’altitudine, dalla latitudine, dalle condizioni climatiche. Ci sono molti fattori a concorrere. In generale, per quanto riguarda l’Italia, alle nostre latitudini i serpenti effettuano una latenza invernale – quindi cessano la loro attività in inverno – eccetto casi eccezionali di giornate molto calde nel Sud Italia. Per questo è più probabile incontrarli dalla primavera fino all’autunno.

Con il forte caldo estivo, tuttavia, i serpenti riducono di molto la propria attività. Sono animali a sangue freddo, ovvero non usano la propria energia metabolica per regolare la temperatura interna ma lo fanno grazie all’esposizione solare. Quando è troppo forte, non possono stare al Sole.

Ecco perché in estate non è facile vederli allo scoperto, se non la mattina presto o la sera tardi, ma questo è comunque relativo all’altitudine. In pianura con 35° un incontro è improbabile, ma sulle Dolomiti a 2500 metri d’altitudine non è da escludere.

Scheda di distribuzione delle 5 specie di Vipere italiane. Sono visibili per ognuna delle specie e sottospecie: una livrea, una testa e la cartina di distribuzione approssimativa. L’individuo di cui è mostrata la livrea non corrisponde volutamente a quello di cui è mostrato il capo, per evidenziare la variabilità cromatica intraspecifica che contraddistingue questi animali. (Cortesia immagine: Matteo Di Nicola)

Quali serpenti potrebbero essere pericolosi?

In Italia i serpenti velenosi sono diversi, ma quelli potenzialmente pericolosi per noi sono solo le cinque specie di vipera. Vipera berus, Vipera aspis, Vipera walser, Vipera ursinii e Vipera ammodytes, oltre a due specie di lamprofidi (famiglia che un tempo faceva parte dei Colubridi), Malpolon monspessulanus, il colubro lacertino, e Malpolon insignitus.

Queste due specie vivono in zone molto localizzate, il primo solo in provincia di Savona e Imperia mentre il secondo solo sull’isola di Lampedusa. A differenza delle vipere hanno un sistema di dentizione velenifera definita opistoglifa. I denti veleniferi non sono canalicolati, ma solo solcati, posti nella porzione posteriore della bocca.

Cosa significa? Che il serpente non avvelena direttamente inoculando la sostanza tossica tramite la scanalatura interna del dente: con le sue ghiandole velenifere fa fuoriuscire le tossine, il dente situato in posizione posteriore buca la pelle e fa sì che la saliva con le tossine entri nella ferita. Si tratta di un sistema di avvelenamento meno sofisticato rispetto a quello delle vipere e per dare complicazioni il morso deve essere davvero profondo (i denti posteriori devono arrivare realmente alla pelle e non è sempre facile), quindi i Malpolon possono essere “trascurati”, considerato anche il loro areale ristretto.

Le vipere sono potenzialmente pericolose per gli esseri umani per il loro sistema di dentizione velenifera – definito solenoglifo -. Hanno una dentatura velenifera anteriore con denti canalicolati, come aghi di siringa, che iniettano il veleno nella carne della persona che viene morsa. Possono ripiegare i denti sul palato tramite un complesso sistema osseo che ne determina una rotazione, e questo permette alle vipere anche di non iniettare il veleno, se non lo desiderano.

Possono evitarlo sia ripiegando i denti sul palato sia scegliendo di non spremere gli acini veleniferi. I Viperidi hanno il sistema velenifero più sofisticato in tutto il gruppo dei serpenti, molto più avanzato anche di quello dei cobra che hanno un sistema anteriore ma fisso, definito proteroglifo.

Vipera dell’Orsini (Vipera ursinii ursinii): la specie di vipera più localizzata e minacciata di estinzione in Italia. Qui una femmina “all’erta” ripresa in Abruzzo. (Cortesia immagine: Matteo Di Nicola)

Quali sono gli effetti del veleno?

Il veleno delle vipere italiane non è considerato mortale in un soggetto sano adulto ma può causare problemi che richiedono l’ospedalizzazione per osservazione. Quando a essere colpiti sono anziani, bambini o persone cardiopatiche le complicazioni possono diventare anche severe. Gli effetti in un adulto sano sono forte dolore locale, edema e possibili effetti sistemici come alterazione della coagulazione del sangue, del battito cardiaco e, nei casi peggiori, alterazione nei parametri di alcune funzionalità come quelle epatiche o renali.

In generale l’ospedalizzazione si limita a un periodo di osservazione sotto elettrocardiogramma, dove si monitorano i parametri e a volte si somministra cortisone per l’eventuale reazione allergica. Il siero antiveleno viene utilizzato solo in caso si presentino degli effetti sistemici importanti che ne richiedono l’utilizzo.

Perché non si usa sempre il siero antiveleno?

Una volta il siero antiveleno era venduto liberamente anche nelle farmacie, ma ha un problema: è di origine equina e ha il difetto di generare delle forti ipersensibilizzazioni nei soggetti in cui viene somministrato, che possono sfociare in shock anafilattici con effetti anche peggiori dell’avvelenamento stesso.

In più, per essere attivo il siero deve essere conservato in frigorifero a temperatura controllata. Da qui il problema nell’acquisto diretto: oltre al rischio di reazioni allergiche, poteva essere acquistato e portato in giro al caldo. In ospedale deve essere somministrato solo se ci sono veri motivi come alterazioni delle funzionalità e sotto la presenza di un rianimatore.

Il morso di un serpente può trasmettere altre malattie?

I serpenti non velenosi d’Italia si possono considerare innocui. Hanno denti molto piccoli in grado al massimo di provocare microferite sanguinanti, che si risolvono in pochi minuti di rossore, prurito o bruciore. Se proprio si fosse molto sfortunati il rischio è quello di infezione batterica, perché malauguratamente il serpente poco prima ha mangiato qualche organismo infetto. Ma l’ipotesi è molto remota.

Esiste il rischio di contrarre il tetano, ma è buona norma che quando ci si reca in natura si sia protetti dall’antitetanica: è un vaccino che bisogna rifare ogni dieci anni.

E se mi morde un serpente ma non conosco la specie?

Sfatiamo il mito del “non so cosa mi ha morso”: se la vipera morde, il veleno iniettato provoca dei dolori lancinanti che fanno subito capire di quale serpente si tratta. Il morso può essere veloce ma non è così fugace da non vedere l’animale nel momento in cui ci addenta. Persino trovandosi nell’erba alta, il caratteristico dolore si sente dopo pochi istanti e permette di identificare il serpente.

I denti non fanno male perché sono molto piccoli, ma l’insieme di proteine con potente funzione citotossica contenute nel veleno provoca la distruzione dei tessuti, con grande dolore locale.

Cosa fare dopo un morso?

Le procedure da adottare in caso di morso sono rimanere il più possibile fermi e immobili, oltre a mantenere la calma: l’agitazione altera il battito cardiaco, incrementando gli effetti del veleno. Bisogna chiamare i soccorsi – o farli chiamare se non si è da soli -. Se il telefono non prende bisogna camminare con calma fino al primo punto dove c’è campo.

Non si deve succhiare via il veleno né fare delle compressioni, nessun tipo di fasciatura stretta, nessun taglio o incisione volto a cercare di togliere il veleno, perché peggiorerebbe solo la situazione locale. Non bisogna utilizzare né medicinali né altro nell’attesa. Meglio togliere braccialetti, anelli, non creare delle situazioni di costrizione venosa e rimanere rilassati. Si hanno diverse ore di tempo per poter procedere alle cure sanitarie prima che eventuali alterazioni dell’organismo subentrino.

Come distinguere le vipere dagli innocui colubridi?

All’escursionista medio basta imparare a focalizzare l’attenzione su questi macrocaratteri molto facili: numero e dimensioni delle squame cefaliche, la forma della pupilla, la forma generale del corpo, le squame carenate o meno, da utilizzare in modo combinato per riuscire a capire facilmente se si tratta di una vipera o di un colubride.

Vipere a sinistra, Colubridi a destra: ecco le caratteristiche per distinguerli. (Cortesia immagine: Matteo Di Nicola)

Sfatiamo alcune false credenze: è meglio non basarsi solo sulla forma tendenzialmente triangolare della testa per distinguere le vipere. Non in tutti gli individui si tratta di una caratteristica così marcata, e viceversa molte specie di colubridi appiattiscono il capo facendogli assumere forma triangolare quando si sentono minacciati.

Stessa cosa per la “coda corta”: nelle vipere lo è, ma bisogna essere in grado di capire da dove inizia, o sembrerà lunga anche la loro. La misura media per gli adulti di vipere italiane è di circa 50-70 centimetri, solo in casi eccezionali si avvicinano ai 90-100 centimetri. Tutti gli avvistamenti che superano il metro di lunghezza sono da ascrivere a specie diverse e quasi certamente innocue.

Natrice dal collare (Natrix helvetica): è un serpente piuttosto ubiquitario, ben diffuso nel nostro Paese (spesso scambiato da persone male informate per una “grossa Vipera”). Può raggiungere dimensioni importanti, con femmine fino a oltre 180 centimetri, con un record registrato di 205, i maschi difficilmente superano il metro. Innocua per l’uomo, non risulta mordace anche a seguito di molestie: le sue strategie di difesa, oltre alla fuga quando possibile, consistono nell’emissione di sostanze maleodoranti dalle ghiandole anali o, in condizioni di maggiore stress, nell’atto della “tanatosi” (l’animale si finge morto). (Cortesia Immagine: Matteo Di Nicola)

Cosa fare di fronte a un serpente

Le nostre vipere sono piccole, non saltano, non volano nè si protendono in avanti. È sufficiente rimanere a un’adeguata distanza (un paio di metri sono sufficienti) per scongiurare i rischi. A quel punto, anche volendo – ma a una vipera non interessa farlo – non ha modo di raggiungerci. Lo slancio è sì fulmineo, ma interessa solo i primi 20 centimetri del corpo. Avvicinare la mano alla testa, quindi, è ovviamente un comportamento da evitare.

Incontrandoci un serpente tenderà a scappare, ma quando non può farlo si ferma e/o soffia, alza la testa e punta. Un comportamento inquietante per chi non lo conosce e che serve proprio a intimidire i predatori. Basta stare a una distanza di sicurezza, godersi lo spettacolo di un incontro sempre più raro e fortunato, fare un paio di foto e poi andarsene. Ma nella maggior parte dei casi sarà il serpente stesso a svicolare.

Cosa comporta l’uccisione di un serpente?

Innanzitutto è sbagliato – tralasciando per un attimo l’etica e l’ambiente – dal punto di vista legale perché tutte le specie selvatiche di serpenti italiani sono protette da diverse leggi da regione a regione. In più, a livello statale e internazionale concorrono la convenzione di Berna (Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa), la direttiva Habitat e in alcuni casi anche la CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione) a proteggere le varie specie di serpenti, quindi si commette innanzitutto un atto illegale – un reato penale.

L’uccisione, ma anche solo il maltrattamento, la cattura o la manipolazione non autorizzata dei serpenti selvatici italiani sono perseguibili per legge. Oltre a questo, il problema sta nell’impoverimento dell’ambiente: ogni animale, ogni vegetale, ogni organismo vivente concorre a un delicatissimo equilibrio dell’ambiente che ci circonda. Togliere un anello, seppur apparentemente inutile, invisibile per noi da questa catena – non necessariamente catena alimentare, ma catena ecologica in generale – comporta degli squilibri che possono avere degli effetti a cascata – sebbene non sempre percettibili da noi – che impoveriscono l’ambiente e si ripercuotono a lungo andare su noi stessi, che ne facciamo parte.

Quanto è importante parlare dei serpenti?

È molto importante avere dei cenni di educazione ambientale e di educazione alla natura e alla vita selvatica fin dall’età scolastica. In più, fare informazione in maniera corretta sul web è fondamentale, ci sono molti gruppi – per esempio su orti e funghi – che scrivono scorrettezze sui serpenti, servirebbero spazi virtuali in grado di dare informazioni giuste.

Questo è il principale motivo per cui ho deciso di creare un gruppo di identificazione anfibi e rettili, l’ho aperto l’estate scorsa e ha già raggiunto oltre 8 000 iscritti, che assiduamente si documentano e fanno identificare anche animali che vedono su altri gruppi, per portare l’informazione corretta anche altrove. Il metodo ideale per vincere le fobie è la conoscenza del soggetto che si teme. Una volta che arriva la conoscenza, ci si chiede “è veramente pericoloso? Lo devo tenere alla larga o no?”

Leggi anche: Perché i serpenti hanno perso le zampe

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.