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Buongiorno! Letargo e risveglio per la tartarughe terrestri

L’aumento della temperatura e delle ore di luce porta questi rettili a risvegliarsi dal letargo invernale, un periodo delicato che è importante monitorare (prima e dopo).

È primavera e, tra i tanti animali che escono dal letargo, risvegliati dall’aumento della temperatura e delle ore di luce, ci sono anche le testuggini, più note nel linguaggio comune come tartarughe terrestri o tartarughe di terra. Il periodo del letargo per questi animali è piuttosto delicato e vale la pena conoscerlo meglio, sia per affrontarlo durante i prossimi mesi invernali sia per garantire alle tartarughe un risveglio in sicurezza. Ne parliamo con Giacomo Craparo, veterinario specializzato in animali esotici (GPCert EXAP).

Il letargo non è per tutti

Il letargo è quel meccanismo che mettono in atto alcuni rettili, comprese alcune specie di tartarughe, per far fronte ai mesi più freddi nelle regioni a clima temperato (anche se per alcuni rettili si parla più propriamente di brumazione). «Essendo animali eterotermi, la temperatura interna delle tartarughe dipende strettamente da quella esterna; quando questa è troppo bassa, non riescono a sostenere le attività metaboliche», spiega il veterinario. «Per questa ragione, al sopraggiungere dell’inverno, alcune tartarughe riducono al minimo il battito cardiaco, la respirazione e metabolismo per superare i mesi più freddi, consumando le energie e le riserve di grasso che hanno accumulato durante la stagione estiva».

Questo però non vale per tutte le specie, e nemmeno per tutte le sottospecie. Per esempio, tra le tartarughe di terra più commerciate come pet, c’è la Testudo graeca, una specie diffusa nell’areale del Mediterraneo e di cui si contano diverse sottospecie. «Alcune di queste effettuano solo un breve letargo, mentre altre, come la T. graeca cyrenicae, non lo effettuano affatto e, durante l’inverno, devono essere tenute in una stanza o un terrario riscaldato. Ogni specie, poi, può avere specifiche necessità per il letargo: per esempio, la tartaruga russa (T. horsfieldii), un’altra specie molto commerciata, teme il freddo umido ed è quindi bene che passi il periodo di letargo indoor, non all’esterno. Anche per questa ragione è importante, quando si acquista una tartaruga, sapere esattamente di che specie e sottospecie si tratta».

Un momento delicato

D’altra parte, il letargo non è un momento obbligato per la tartaruga in cattività, anche se sembra essere vantaggioso sulle funzioni metaboliche e, soprattutto, per la riproduzione. In alcuni casi può però essere sconsigliato: «Questo vale soprattutto per gli individui giovani, tra gli uno e i due anni di età, per i quali consiglio un ricovero in casa, in una stanza riscaldata, durante l’inverno. Più in generale, nel decidere se mandare o meno un animale in letargo, la prima cosa da fare è una visita veterinaria per valutarne le condizioni generali e tenere una tabella del peso aggiornata (ogni 15 giorni circa) per monitorare che non vi siano cali eccessivi», spiega Craparo. «Infatti, quello del letargo è un momento molto delicato, più del risveglio, ed è quindi fondamentale che la tartaruga non lo affronti in condizioni di debilitazione».

Per capire come affrontarlo, oltre alla specie, bisogna tenere in considerazione il luogo in cui si vive. Infatti, la temperatura ideale per un letargo in sicurezza è tra i 4 e i 6 gradi, ma in alcune aree (per esempio nel Nord Italia), in inverno può facilmente scendere sotto lo zero; il rischio, in questo caso, è che la tartaruga congeli. «In queste condizioni, il proprietario può controllare dove l’animale ha scavato ed è andato a nascondersi per l’inverno, quindi coprire l’area con del fieno e un telo isolante per mantenere la temperatura di qualche grado più alta, per evitare la necrosi dei tessuti e il rischio di morte per l’animale».

Viceversa, un rischio può venire dalle temperature troppo elevate: «Il letargo, così come il risveglio, non è indotto esclusivamente dalla temperatura ma anche dal fotoperiodo, cioè la durata d’illuminazione durante il giorno. Ciò significa che in inverno, anche se la temperatura si alza di qualche grado, la tartaruga può rimanere in letargo. Tuttavia, in generale, all’aumentare della temperatura aumenta anche l’attività metabolica, per cui l’animale consuma più velocemente le sue scorte energetiche ed essere quindi molto debole al risveglio», continua il veterinario. «Può comunque succedere anche che la tartaruga esca momentaneamente dal letargo se percepisce un aumento temporaneo della temperatura (come avviene in alcune regioni in cui anche in inverno si presentano giornate calde): in questo caso è sufficiente evitare di nutrirla, e lei tornerà al suo rifugio al riabbassarsi delle temperature. Darle da mangiare sarebbe in questo caso pericoloso, perché la digestione si blocca con il letargo e l’alimento non digerito può causare problemi seri, fino alla morte dell’animale».

Uscire dal letargo

In molti casi, vuoi perché non si ha il giardino vuoi per garantire alla tartaruga condizioni ambientali il più possibile costanti e non eccessivamente rigide, si può anche optare per il letargo in casa, o indoor. «È sufficiente creare una sorta di matrioska con due scatole, opportunamente forate per il ricambio d’aria: la prima, abbastanza grande da consentire alla tartaruga un minimo di movimento, foderata con fieno e foglie secche, dove porre la tartaruga; la seconda riempita con materiale isolante. Quindi, la tartaruga così “imballata” può svernare per esempio in cantina o in garage (sempre controllando che la temperatura non sia troppo bassa) o, come fanno molti allevatori, in frigorifero», spiega Craparo.

Che sia in una tana scavata in giardino o in una scatola a casa, comunque, all’arrivo della primavera il letargo termina. Così come non esiste una data fissa per l’ingresso nel letargo, anche per il suo termine il periodo può variare e dipende essenzialmente dall’aumento stabile della temperatura unito all’incremento delle ore di luce: per una tartaruga che ha trascorso il letargo in giardino, quindi, questi segnali la porteranno al risveglio, mentre una tartaruga che ha passato l’inverno indoor avrà bisogno dell’intervento del proprietario, che le riporta all’esterno (o fuori da frigo), con un acclimatamento graduale, per esempio tenendola qualche giorno in casa prima di portarla in giardino per “riattivarsi”. In ogni caso, è bene prestare attenzione che la temperatura sia adeguata: può quindi essere necessario, per esempio la sera, tenere l’animale ancora al riparo.

«La prima cosa da fare quando la tartaruga esce dal letargo è un bagno in acqua tiepida che le consenta di reidratarsi e stimoli la minzione – prestando comunque attenzione agli sbalzi di temperatura, cioè facendo in modo che la tartaruga abbia poi modo di scaldarsi al sole», spiega il veterinario. «Questa prima fasi di idratazione è la più importante; l’alimentazione può riprendere normalmente, accertandosi che la tartaruga mangi e controllando che abbia ripreso il peso pre-letargo dopo una settimana o una decina di giorni».

Anche se l’uscita dal letargo è per molti versi meno delicata del letargo stesso, bisogna comunque anche prestare attenzione a eventuali segnali di malessere della tartaruga. Se per qualsiasi ragione il letargo non è avvenuto nelle condizioni ideali, infatti, è facile che al risveglio possano presentarsi alcune patologie: «Per esempio, è molto frequente che in primavera arrivino in ambulatorio tartarughe russe raffreddate, perché hanno patito l’umido durante l’inverno», commenta il veterinario. «In generale, sono da monitorare tutti i segnali quali un’andatura strascicata (invece che con il piastrone ben sollevato dal terreno), gli occhi appannati, la presenza di bolle nel naso o negli occhi, che non devono essere appannati. Vale poi la pena ricordare che, soprattutto se il letargo non è stato affrontato in modo corretto, anche il sistema immunitario della tartaruga può risentirne e rendere l’animale più suscettibile alle infezioni».

Infine, sempre in quest’ottica, è importante controllare che la tartaruga non abbia subito l’attacco di parassiti o altri animali. Se l’area in cui ha trascorso il letargo non era in sicurezza, infatti, può capitare che presenti ferite dovute a topi o ratti (ragione per la quale è comunque bene monitorarla periodicamente, anche durante il letargo); inoltre, le tartarughe possono essere parassitate per esempio dalle zecche che, a causa dei cambiamenti climatici, possono più facilmente essere attive anche durante l’inverno.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Giulio Pappa CC BY-SA 3.0

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.