Vivere la sclerosi multipla progressiva. Quando la malattia corre più veloce del sistema
L'accesso ai farmaci cambia di regione in regione. C'è la riabilitazione, dieci volte l'anno, e costi enormi non rimborsati per adattare la casa e l'auto alla patologia. Cosa non funziona nel sistema della SM progressiva.
La prima cosa che ho imparato stando con Laura è che non avevo idea di che cosa fosse “la fatica”. Per te che non convivi con la sclerosi multipla progressiva “sentire fatica” significa aver bisogno di un riposino dopo pranzo o di fermarti a prendere fiato mentre corri. Per Laura invece la fatica è un lavoro a tempo pieno, è l’orologio che scandisce i suoi giorni e le sue notti, decidendo se e quando Laura può parlare, alzare un braccio, stare autonomamente seduta su una sedia, sorridere.
Più volte al giorno, quando Lei vuole, spesso nelle cinque-sei ore centrali della giornata, improvvisamente un paziente con sclerosi multipla progressiva mette in stand by la propria vita. “Non posso parlare né sentire rumori, devo stare immobile e a occhi chiusi; non posso neanche muovermi – la spasticità mi blocca tendendomi allo spasimo gambe e busto – improvvisamente tutte le energie se ne vanno, anche la capacità di stare eretta o alzare un bicchiere”.
Senza preavviso, “la fatica” ti sgonfia come un palloncino.
Un percorso a ostacoli con i trampoli ai piedi
La SM progressiva è una malattia complessa, che richiede una coreografia perfezionista fra il paziente, i medici e gli operatori con cui ha a che fare, la famiglia, gli assistenti, la burocrazia. Eppure ascoltando Laura l’immagine che mi figuro davanti è quella del percorso a ostacoli dove, per rendere ancora più complicata la faccenda, hai i trampoli ai piedi.
“Se non diventi un paziente esperto tu stesso, non ce la fai” mi racconta Laura fissandomi negli occhi insieme al marito Stefano, davanti a un piatto di fiori di zucca invitanti. “Dall’esterno forse si ha la percezione che un paziente con SM sia inserito all’interno di un percorso dove è seguito dal primo giorno, dove è tutto organizzato per lui, ma non è così”.
Ogni passaggio prevede un continuo incrociarsi tra richieste, visite, rinnovi, per una situazione di ormai non autosufficienza. “Io, che non sono certo allo stadio più grave della malattia, da un paio d’anni non posso più uscire di casa da sola, specie in una città come Perugia, e recarmi autonomamente alle visite, a consegnare le carte, a reperire un farmaco. Fa tutto Stefano, ma senza di lui sarebbe davvero complesso, probabilmente non uscirei quasi mai di casa, e non sono ancora allettata”.
Un esempio semplice. In Umbria, dove vive Laura, per avere una confezione di farmaco spray a base di cannabis è necessario recarsi personalmente una delle tre mattine a settimana in cui è aperto il magazzino che lo stocca (avvisando almeno una settimana prima, e quindi tenendo il conto degli spruzzi che mancano alla fine), con la ricetta ospedaliera stampata e in busta, reperita che prima si è chiesta al neurologo e andati a prendere in ospedale.
Dall’ospedale ci si sposta al magazzino esterno che rilascia lo spray dove Laura, munita di foglio liberatorio per il possesso e il trasporto del farmaco, può avere il suo farmaco. Tutto questo va ripetuto ogni mese, perché ogni paziente ha diritto al massimo a una confezione mensile di tre boccette, “che è poco per una persona con spasticità severa come me: finisce che devo centellinare gli spruzzi quotidiani, a discapito della mia spasticità, se voglio arrivare a fine mese”.
Il fatto che devi “ringraziare” che non hai ancora il dolore neuropatico tipico della SM qui è di ostacolo: la cannabis in infiorescenza (a detta di molti malati più efficace) in Umbria può essere prescritta soltanto in caso di dolore e non per la ‘sola’ spasticità, mentre in altre regioni è permessa anche per trattare quest’ultimo problema.
“Se io avessi dolore neuropatico potrei accedere anche alla cannabis pura. La cannabis è l’unico sollievo per la mia spasticità, che è paralizzante, impedisce ogni sorta di movimento: terapie antispastiche diverse ce ne sono, ma sono epilettogene. E io sono anche epilettica. Devo quindi farmi bastare lo spray, che mi sciolga o meno. Se no, mi tengo gambe e busto come d’acciaio, con cloni e spasmi improvvisi e involontari. Ho le gambe piene di ecchimosi solo per i ‘colpi’ che ogni tanto ‘sferrano’ ovunque, senza che io le comandi”.
“Se non diventi un paziente esperto tu stesso, non ce la fai”
La SM è una malattia dalla gestione estremamente complessa. Sei talmente circondato da specialisti, medici, operatori, persone a cui devi chiedere, che non si può non sentirsi sui trampoli. “Ho visto giovani medici precari che avevano praticamente in mano la mia vita andare in Inghilterra, in Spagna, in Svezia… e ogni volta ho dovuto ricominciare. Fuori dall’ospedale, bisogna sempre ricordare ai vari operatori sanitari la differenza fra la mia disabilità e quella di una persona paraplegica”.
Non bisogna dimenticare che la “fatica” può impedire per esempio a un paziente con SM di spingere la propria carrozzina. Questa è la grande differenza con i pazienti paraplegici, che non possono camminare ma compensano con una grande forza nelle braccia. Basti pensare ai campioni paralimpici.
“Quello degli ausili è un capitolo dolente, dove noi pazienti ci sentiamo spesso invisibili” continua Laura. “Il primo grande fraintendimento arriva alla fatidica frase ‘e adesso carichiamo la carrozzina in auto’, la carrozzina in collaudo che tu hai faticosamente accettato. Ma tu non hai la forza, e gli operatori dovrebbero saperlo. Ti dicono che esistono braccetti meccanici per il caricamento, da acquistare a spese tue per un costo di migliaia di euro, (di fatto, il prezzo che devi pagare se vuoi continuare a uscire di casa).
Ma tu magari, come è capitato a me, hai appena acquistato un’auto con il cambio automatico proprio per gestire meglio la tua malattia, e lì non c’è spazio per montarne uno. Dovresti farti un van, ma nessuno te lo aveva consigliato. Così finisce che se non hai un marito come ho io, o qualcuno di molto vicino che ti aiuta tutta la giornata, hai finito la tua autonomia: e questo, molto prima della tua oggettiva perdita funzionale.”
Adattare la propria vita alla sclerosi multipla
La questione economica nella gestione della SM, mi spiega Laura, è cruciale con gli ausili, a partire dalla scelta della carrozzina.
“Quando avevo preso la mia superleggera del costo di 1600 euro circa, erogata dal SSN, non mi avevano detto che per averne una analoga – magari col tempo potevo trovarne di migliori – avrei dovuto attendere cinque-sei anni. Cinque anni per un malato di SM progressiva significa passare dalla normale sedia a rotelle a quella elettrica. Fra cinque anni io non ho idea di come potrò essere. Ma per la legge, se voglio un altro supporto analogo devo comprarlo a spese mie. Io sono fortunata, ho potuto comprarmi un propulsore elettrico, finora non prescrivibile, che è l’unico vero strumento di autonomia per me che mi spingo a fatica. L’ho pagato 2900 euro”.
Per non parlare dei costi per adattare la propria casa e l’auto alla malattia. “L’adattamento auto non è rimborsabile e ho speso fra tutto 3000 euro; per il bagno invece ho speso sui 4500 euro. Anche per il bagno, come per tutte le barriere architettoniche dentro e fuori casa, si tratta di una spesa non rimborsabile se non con la legge 13/89: i fondi sono terminati da anni e sono appena stati rifinanziati ma chiaramente smaltiscono prima le richieste più vecchie, in una graduatoria di 15 anni”.
La gestione quotidiana richiede una grinta che non tutti forse hanno nel destreggiarsi fra mille ostacoli, e lo stesso bisogna dire della gestione delle fasi più critiche. La gestione delle ricadute, cioè i momenti in cui un paziente con SM ha delle crisi da cui può uscire più o meno bene – a seconda sia del tipo di attacco che della tempestività nella terapia – è spesso poco di aiuto.
Quella che sento nella voce di Laura, quando mi parla delle sue ricadute, è più rabbia che tristezza. Arrabbiatura per un sistema che – nonostante l’impegno di medici e infermieri, che la vedono aggravarsi e ce la mettono tutta – non la vede, dove la gestione della ricaduta dipende da fattori esterni come avere la fortuna che ti capiti il lunedì. Perché la cosiddetta “terapia d’attacco” nelle ricadute a base di cortisonici deve essere seguita per cinque giorni almeno consecutivi, con una flebo di tre quarti d’ora ogni giorno.
“Le alternative sono due: andare in day hospital, oppure nella peggiore delle ipotesi farsi ricoverare via pronto soccorso. Chiaramente il ricovero si cerca di evitare per una serie di ragioni, non da ultimo il disagio del caos in corsia, ma spesso il day hospital è congestionato, devi attendere giorni, arrivi a farti le flebo e sabato e domenica devi saltare”.
Ma i giorni passano e il sistema immunitario “per errore” continua ad attaccare il sistema nervoso. Il cortisone contrasta l’attacco finché può, ma le lesioni nuove resteranno per tutta la vita.
La riabilitazione
Quando le ricadute diminuiscono, nella SM progressiva, non ci sono più terapie di base da poter fare. Ma il declino fisico avanza e l’unica arma diventa la riabilitazione. Spunta qui il vero, grande nodo irrisolto a livello nazionale.
“Sebbene sia riconosciuta ovunque, da tutti, come fondamentale e non solo in casi gravi ma sin dall’esordio di malattia per arginare il danno lesionale e per migliorare la plasticità, è in realtà – qui, sì – un diritto se non negato, certo garantito a metà. Tutti i miei amici con SM da Nord a Sud si lamentano della riabilitazione che non arriva mai. Si parla ovunque di équipe riabilitativa perché i nostri sintomi sono complessi e non si tratta solo di ‘muovere le gambe’ ma di riabilitazione pelvica, logopedia, terapia occupazionale e altro… Ma – scherza Laura – se avessi fatto questo nome ad alcune delle cliniche che mi hanno seguito, mi avrebbero presa per matta”.
I pazienti vengono chiamati per 20 sedute l’anno (erano 40 qualche anno fa per un paziente neurologico, poi passate a 30, oggi a 20 o a 10 con rinnovo), con liste d’attesa anche di un anno. Un lasso di tempo enorme per una malattia progressiva come questa.
“La cosa che mi fa più rabbia di tutte, che mi fa sentire quasi presa in giro è che ci chiamano spesso e volentieri alle porte dell’estate, mentre chi conosce la SM dovrebbe sapere bene che è il periodo più difficile dell’anno a causa del caldo che ci paralizza: così sospendiamo a metà e ricominciamo dopo l’estate. Ma dopo ogni estate il caldo ha fatto la sua e non siamo mai come eravamo prima. Non si recuperano tre mesi di caldo, la disabilità qualche passo avanti l’ha fatto”.
Ancora una volta un sistema che non tanto non conosce, ma che non ascolta. “E la buona volontà dei singoli, delle persone, come sempre in Italia” è il commento “ci salva”. L’impressione che ricevo è che se non hai la grinta di Laura, la sua competenza, la sua intelligenza e un marito come Stefano – che non solo l’aiuta, spesso rinunciando a lavoro e reddito, ma vive con lei una lotta quotidiana – gli ostacoli nella gestione della malattia ti rendono non autosufficiente prima ancora che lo faccia la SM.
Laura Santi è giornalista e collaboratrice di AISM onlus. 43 anni, ha la SM dall’età di 21.
Twitter: @LauraSanti1
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