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Stratwarming: l’improvviso riscaldamento della stratosfera polare

Il nuovo anno si è aperto con un brusco riscaldamento della stratosfera al di sopra del Polo Nord. È lo "stratwarming", un fenomeno ricorrente i cui effetti possono influenzare la stagione invernale sull’intero emisfero settentrionale.

Nei cieli sopra il Polo Nord si è assistito in questo inverno a un evento meteorologico che ha avuto largo riscontro sui siti e i servizi specializzati. Alcuni siti italiani hanno parlato addirittura di valori da record. Stiamo parlando dello stratwarming, nome che deriva dalla contrazione delle parole inglesi stratospheric warming, ossia riscaldamento stratosferico, un fenomeno che si manifesta appunto con un brusco riscaldamento della stratosfera al di sopra del Polo Nord. Questo fenomeno si può verificare in maniera improvvisa durante la stagione invernale (non tutti gli anni, ma è abbastanza frequente) ed è legato ad azioni di disturbo a carico del vortice polare,

la figura di bassa pressione che si estende sopra il Polo durante il semestre freddo. Proprio questo meccanismo in passato è stato associato alle più intense ondate di gelo degli ultimi 100 anni. In particolare in Italia il famoso gennaio dell’85, accompagnato da freddo record e neve, è stato ad esempio preceduto da un intenso fenomeno di stratwarming e in tempi più recenti anche il febbraio 2012 ha visto uno stratwarming, anche se non altrettanto intenso, nelle settimane precedenti.

Crediti immagine: Pixabay

La stratosfera

La stratosfera costituisce il secondo strato in cui è suddivisa l’atmosfera a partire dal suolo e si estende da circa 12 km fino a 50 km sopra il livello del mare. Sotto di essa vi è la troposfera, la parte di atmosfera a contatto col suolo dove avvengono i fenomeni meteorologici. La differenza sostanziale tra i due strati è il modo in cui si riscalda l’aria al loro interno, cosa che influenza anche l’andamento delle temperature all’aumentare della quota. Tutti sappiamo che in genere via via che si sale di quota la temperatura scende progressivamente. Così si arrivano a toccare i 50 gradi sotto zero all’altezza di 12.000 m circa.

Questo avviene perché la troposfera tende a perdere calore per irraggiamento e viene scaldata principalmente dal basso al contatto col suolo a sua volta riscaldato dalla luce solare. La diminuzione di temperatura con la quota però diminuisce fino ad arrestarsi attorno ai 12 km di altezza. Qui vi è la tropopausa. Al di sopra di essa a causa della minore pressione e della presenza di ozono l’aria comincia ad essere scaldata per irraggiamento e così la sua temperatura comincia a crescere con la quota. Qui comincia la stratosfera.

Ecco lo stratwarming

Era il 1952 quando per la prima volta si osservò un anomalo riscaldamento sopra il Polo Nord durante la prima campagna prolungata di raccolta delle temperature nella stratosfera. Nel corso dei decenni, con lo sviluppo delle tecniche osservative il fenomeno è stato studiato a fondo fino a comprenderne la dinamica di base e i suoi effetti sul clima. Al di sopra dei poli vi sono due aree di basse pressioni permanenti dette vortici polari, che nascono dalla differenza di temperatura con l’equatore.

Durante il semestre caldo il vortice polare è piuttosto debole ed è strutturato solo nella troposfera. Durante il semestre freddo l’atmosfera al di sopra dei poli si raffredda per irraggiamento e questo da impulso a un forte rafforzamento del vortice nella parte media e superiore della troposfera e allo sviluppo di una forte controparte nella stratosfera che poi va a indebolirsi fino a scomparire col progredire della primavera. Occasionalmente durante l’inverno possono però prodursi degli improvvisi riscaldamenti della stratosfera sopra il polo accompagnati da un indebolimento o disgregazione del vortice polare stratosferico, il cosiddetto stratwarming appunto. Questo indebolimento, specie se intenso, si può trasmettere in seguito anche alla componente troposferica del vortice polare influenzando così le condizioni meteorologiche sull’intero emisfero nord.

Dalla ricerca degli ultimi anni è emerso come l’innesco del fenomeno possa essere legato allo sviluppo di azioni di disturbo da parte delle ondulazioni che si formano al confine tra le massa di aria polare e quelle subtropicali. Sono queste ondulazioni a determinare il susseguirsi di alte e basse pressioni alle medie latitudini. Proprio dalle onde più grandi, quelle su scala planetaria, sembra che possa partire l’innesco degli stratwarming.

Per comprendere meglio il fenomeno, i suoi effetti e capire quanto sia effettivamente intenso e quali effetti potrà avere lo stratwarming in corso, abbiamo contattato un’esperta in materia, la dottoressa Amy Butler, ricercatrice della University of Colorado Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences (CIRES) e della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia meteo degli Stati Uniti.

Amy Butler, ricercatrice in fisica dell’atmosfera e climatologia, ci puoi raccontare più in dettaglio quale è il tuo campo di ricerca?

Studio la dinamica e la circolazione della stratosfera e l’impatto della variabilità della circolazione stratosferica sul clima e sul tempo in superficie. Sono particolarmente interessata a capire come la stratosfera influenzi il clima sulla scala di tempo delle settimane o delle decine di giorni.

Quasi tutte le sue ultime pubblicazioni sono appunto focalizzate sulla stratosfera e i sui suoi effetti sulla troposfera e sulle previsioni meteorologiche. Che tipo di connessioni ci sono tra queste due sezioni dell’atmosfera? Al momento le previsioni riescono a tenerne conto in  maniera adeguata?

La stratosfera e la troposfera comunicano attraverso i cambiamenti nelle onde atmosferiche. Per molto tempo si è pensato che la stratosfera rispondesse in maniera solo passiva alle onde provenienti dalla troposfera. Ma nelle ultime decine di anni è diventato chiaro che la risposta della stratosfera alle onde troposferiche in seguito viene ricomunicata indietro verso la superficie. Nei tropici c’è una oscillazione discendente (QBO) di venti stratosferici orientali e occidentali che potrebbe influenzare la convezione tropicale. Ai poli la crescita e la decrescita delle onde troposferiche che si propagano verticalmente nella stratosfera può cambiare lo stato del vortice polare, cosa che può influenzare la corrente a getto delle medie latitudini e il tempo in superficie. Anche la perdita di ozono nella stratosfera nell’emisfero sud (il buco nell’ozono) ha un impatto sul clima in superficie.

Molti modelli per le previsioni meteo hanno visto miglioramenti recenti nella rappresentazione della stratosfera e dei suoi processi grazie a un aumento della risoluzione verticale e una quota limite maggiore nelle simulazioni meteo. Avere distorsioni ridotte nella rappresentazione della stratosfera fa sì che molti modelli previsionali siano ora in grado di catturare più accuratamente eventi estremi nella stratosfera polare come, per esempio, la disgregazione del vortice polare.

Comunque poiché questi eventi sono causati dal tempo nella troposfera, c’è un limite nella predizione del loro innesco che è simile al limite delle previsioni deterministiche per il meteo (10-12 giorni). Per quanto riguarda il loro impatto sulla superficie, è oggetto di ricerca il capire se le versioni più aggiornate dei modelli di previsione siano in grado di cogliere correttamente l’accoppiamento stratosfera-troposfera e se in questo modo riescano a guadagnare capacità predittiva per il clima in superficie nelle settimane che seguono questi eventi.

Di sicuro si è visto che  in generale, l’accoppiamento nei modelli è più debole di quanto osservato nella realtà (ad esempio, per le condizioni medie di questo gennaio), ma dopo un evento stratosferico estremo, molti modelli di previsione riescono comunque a cogliere il corretto andamento della risposta nella troposfera. Parte della difficoltà  sta nel fatto che il tempo delle medie latitudini è molto variabile e il registro delle nostre osservazioni è breve e questo può rendere difficile da rilevare ogni miglioramento nella capacita di previsione.

Parlando di fenomeni stratosferici, questo inverno molti siti e servizi meteo hanno parlato di uno stratwarming che potrebbe influenzare il resto della stagione. Di che tipo di fenomeno si tratta?

Il vortice polare è una normale figura della stratosfera e può essere descritto come dei venti che soffiano da ovest verso est – detti venti zonali – attorno alla calotta polare di ciascun emisfero durante l’inverno. Occasionalmente nell’emisfero nord (in media quasi ogni inverno) il vortice polare viene disgregato (spesso da onde troposferiche o eventualmente da processi interni alla stratosfera), al punto che i venti medi zonali invertono totalmente direzione. Questo fenomeno storicamente viene chiamato “sudden stratosferic warming” (riscaldamento stratosferico improvviso o SSW) perché quando la direzione dei venti cambia, la temperatura della stratosfera si riscalda rapidamente di oltre 40 °C in pochi giorni. La disgregazione del vortice polare di solito si manifesta sia con un suo ridislocamento al di fuori del polo, sia con la sua divisione in due vortici più piccoli.

In seguito a questi eventi di solito si osservano condizioni più fredde del normale in gran parte dell’Europa, dell’Asia e dell’est degli USA e più calde del normale  in Groenlandia  e nella fascia subtropicale di Asia e Africa. La corrente a getto nord atlantica può spostarsi più a sud portando condizioni più umide (e di solito nevose) in buona parte dell’Europa. Gli effetti sono riassunti in questa pubblicazione ad accesso libero.

Come è la situazione in questo inverno? Diversi siti meteo italiani hanno riportato l’innesco di uno stratwarming che avrebbe raggiunto dei valori record.

In realtà il 12 febbraio 2018 c’è stata una scissione del vortice polare che ha portato alla “Bestia dall’est” in Europa (in Italia usualmente detto “Orso russo” ossia il freddo continentale dalla Russia. NdA) e un inverno prolungato per molte parti dell’emisfero settentrionale. Questo evento era stato preceduto da un record assoluto di flusso di calore (indicante un’onda molto forte in propagazione dalla troposfera alla stratosfera). L’evento più recente è avvenuto attorno al 2 gennaio 2019 e si è manifestato anche esso con una divisione del vortice polare.

Entrambi gli eventi hanno mostrato dei record nell’inversione dei venti stratosferici, ma solo giornalieri, cosa senz’altro notevole, ma non inusuale per questi eventi. Questa cosa è ben visibile dal grafico che compara l’evento dello scorso anno con quello di quest’anno (visibile qui. In rosso e fucsia l’andamento dei venti stratosferici di quest’anno con record negativo giornaliero a inizio gennaio)

Il fatto che ci sia stato un evento lo scorso anno e uno quest’anno non è inusuale. Come ho detto prima, questi eventi si verificano quasi ogni anno, anche se con variazioni decennali. Per esempio se ne sono avuti pochi negli anni ’90 e in seguito quasi ogni anno nei 2000. Tra il 2011 e il 2019 ce ne sono stati 4 – nel gennaio 2012, nel gennaio 2013, nel febbraio 2018 e nel gennaio 2019. L’evento di quest’anno ha avuto un’evoluzione abbastanza tipica in confronto agli eventi osservati in passato.

E ci sono già effetti dello stratwarming che si è verificato? Che ne sarà del resto dell’inverno?

Sì, penso che ci sia l’evidenza che il lobo principale rimanente del vortice polare, che attualmente è sopra la parte orientale del Nord America, abbia già portato neve e freddo sulla parte orientale degli USA e sembra che continuino a crescere le possibilità di freddo per almeno le prossime 2-3 settimane. Il modello NCEP CFSv2 sta suggerendo per febbraio uno schema meteorologico molto simile a quello che ci aspetteremmo dopo una di queste disgregazioni del vortice polare, incluso il freddo in Europa, Asia e Stati Uniti orientali.


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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale