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Oculistica alternativa: il metodo Bates.

Il metodo consiste in una serie di teorie e pratiche, prive di fondamento scientifico, che promettono ai pazienti di vedere nuovamente bene. Senza usare gli occhiali.

«La maggior parte degli esseri umani sono, purtroppo, già abbastanza brutti senza occhiali, e sfigurare i volti veramente belli che abbiamo con tali aggeggi è di sicuro un male pari a una tassa d’importazione sull’arte. Per quanto riguarda il far indossare gli occhiali a un bambino, è un gesto sufficiente a far piangere gli angeli»

Tratto da “Cosa ci fanno gli occhiali” (What Glasses Do To Us), di William Horatio Bates. Articolo tratto da Better Eyesight Magazine n° 132, luglio 1920

Risolvere i difetti della vista – miopia, ipermetropia, presbiopia e astigmatismo – tramite esercizi e particolari espedienti. È quanto proposto dal metodo di cura elaborato dal medico statunitense William Horatio Bates che con la pubblicazione, nel 1919, del volume The Cure of Imperfect Sight gettò le basi di una serie di teorie e pratiche prive di ogni riscontro scientifico. I dettami del metodo Bates vengono riproposti ancora oggi da un buon numero di portali di medicina alternativa.

Lotta agli occhiali, stretching oculare, raggi solari

Il metodo Bates parte da presupposti che stravolgono la gran parte della conoscenza oculistica – sia quella di allora che, a maggior ragione, quella odierna – e ignorano le nozioni di base di anatomia oculare. Nel suo trattato, Bates sostiene che l’accomodazione (il processo autonomo che consente all’occhio di effettuare, mediante un mutamento della convergenza del cristallino, la visione a distanze diverse) sia dovuta al movimento volontario di due dei sei muscoli oculari: il muscolo oculare obliquo inferiore e il muscolo oculare obliquo superiore.

Al netto di questa scoperta, secondo Bates i difetti visivi sono la conseguenza dello sforzo di vedere meglio. Bates differenzia il difetto visivo a seconda dello sforzo visivo compiuto. Ad esempio, chi si concentra troppo spesso a osservare oggetti lontani, sviluppa una crescente miopia. Per guarire basterebbe smettere di usare gli occhi in questa maniera ma, lo ammette anche il medico americano, si tratta di un percorso complicato dato che questo continuo sforzo visivo è dettato da una cattiva abitudine di pensiero. Questa abitudine andrebbe corretta fino al raggiungimento di uno stato di rilassamento mentale, la condizione fondamentale per una vista perfetta.

 

«Il fatto è che quando la mente è a riposo nulla può stancare gli occhi, e quando la mente è sotto sforzo nulla è in grado di farli riposare. Tutto ciò che riposa la mente gioverà agli occhi. (…) Quasi tutti hanno osservato che gli occhi si stancano meno rapidamente quando si legge un libro interessante che quando si esamina qualcosa di faticoso o difficile da comprendere. Uno scolaro può stare seduto tutta la notte a leggere un romanzo senza nemmeno pensare ai suoi occhi, ma se cercasse di stare seduto tutta la notte a ripassare le sue lezioni, presto si sentirebbe molto stanco. Una bambina la cui visione era normalmente così acuta da poter vedere le lune di Giove a occhio nudo, divenne miope quando le fu chiesto di fare una somma aritmetica a mente, essendo la matematica un argomento per lei estremamente sgradevole».

William H. Bates, “Il metodo Bates per una migliore vista senza occhiali”, luglio 1920.

Nel corso del cammino verso il rilassamento mentale, Bates consiglia alcuni esercizi utili per acquisire il giusto modo di vedere. Gli esercizi sono molto vari ma tutti mirano a mitigare questa teorizzata tensione di vedere, di fissare, di mettere per forza a fuoco. Lo scopo di alcuni esercizi è il raggiungimento della “fissazione centrale”, una stasi visiva e mentale in cui osserviamo ciò che si trova al centro del nostro campo visivo senza concentrarci su di esso. È il caso della pratica denominata shifting and swinging. Il paziente resta in piedi di fronte a una parete con le gambe leggermente divaricate. Rimanendo il più possibile in posizione, alza il tallone di sinistra e gira il resto del corpo per guardare il muro a destra. Il paziente ripete l’esercizio alternando tallone destro e sinistro, evitando di prestare attenzione all’ambiente che lo circonda e mantenendo un’attenzione visiva del tutto neutra. Bates aveva ideato un esercizio utile anche per la diagnosi sul paziente.

La tecnica del palming (tradotta con “riposo oculare”) consiste nel chiudere le palpebre e coprire ulteriormente gli occhi col palmo della mano, cercando di non far filtrare la luce. Secondo Bates, solo le persone che percepiscono un’oscurità totale godono di una vista priva di qualsiasi difetto. Il palming può essere utilizzato anche per valutare lo stato di avanzamento nel percorso di recupero per ristabilire la vista. Per rieducare la vista, Bates suggeriva anche di guardare il sole direttamente, a palpebre aperte o chiuse, per periodi più o meno brevi dato che i raggi solari non possono che avere un effetto benefico sugli occhi dato che sono “organi della luce”. La pratica, molto pericolosa visto il rischio di lesioni gravi alla retina, prende il nome di sunning e i successivi fautori del metodo Bates hanno tentato di rimuoverla anche dalle nuove edizioni dello scritto originale del 1919. Il sunning oggi è considerato uno “scheletro nell’armadio” nell’insieme di dettami elencati da Bates: una pratica ormai considerata dannosa da chiunque e che rischia di mettere in cattiva luce tutto il resto.

William Horatio Bates venne espulso dall’American Optometric Association. Numerose indagini hanno dimostrato l’inconsistenza delle pratiche suggerite e, anzi, ne hanno evidenziato la pericolosità, in particolare per quanto riguarda l’accanimento contro l’utilizzo degli occhiali da vista, considerati da Bates addirittura dannosi. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1931, il metodo Bates venne tramandato da Margaret Darst Corbett, che negli anni ’40 aprì a Los Angeles una scuola per l’educazione visiva (School of Eye Education). L’istituto fu al centro di varie indagini giudiziarie quando venne scoperto che operava senza licenza e in totale violazione delle norme del Medical Practice Act. Critiche, pubblicazioni scientifiche, processi in tribunale non riuscirono a fermare la diffusione di queste pratiche di rieducazione alla vista. Uno dei motivi del successo postumo del metodo Bates risiede anche nell’opera di divulgazione fatta da uno dei suoi principali sostenitori; nientemeno che Aldous Huxley.

L’arte di vedere

«A sedici anni ebbi un violento attacco di keratitis punctata che, dopo diciotto mesi di quasi cecità durante i quali dovetti dipendere da sistema Braille per leggere e da un accompagnatore per camminare, mi lasciò con un occhio appena in grado di percepire la luce e l’altro con una capacità visiva sufficiente a farmi scorgere a tre metri di distanza la lettera maggiore del quadro Snellen, visibile per l’occhio normale a sessanta metri. La mia incapacità di vedere dipendeva dalla presenza di zone di opacità nella cornea, cui si aggiungono ipermetropia e astigmatismo. Per qualche anno i medici mi consigliarono di leggere con l’aiuto di una forte lente d’ingrandimento. Più tardi venni promosso all’uso degli occhiali. (…) Le cose continuarono in questo modo fino al 1939 quando, sebbene portassi lenti molto forti, la fatica di leggere mi si fece quasi insostenibile. (…) Ma proprio mentre mi domandavo con angoscia che ne sarebbe stato di me quando la lettura mi fosse stata impossibile, mi accadde di sentir parlare di un metodo di rieducazione visiva con il quale l’ideatore aveva ottenuto notevolissimi successi. (…) Nello spazio di due mesi leggevo senza occhiali e per di più senza sforzo o fatica di sorta. Le tensioni croniche, i periodi intermittenti di completo esaurimento erano cose del passato».

Aldous Huxley, L’arte di vedere, 1943 (nella traduzione di Giulio Gnoli. 1989)

Per tutta la vita Aldous Huxley ha lottato con i suoi gravi problemi di vista. Nel 1943 pubblicò “L’arte di vedere”, controverso libro in cui ha sostenuto le teorie di William Horatio Bates e ha descritto come avessero funzionato su di lui, ripristinando in buona parte la sua capacità visiva. Huxley porta avanti e quasi nobilita le teorie espresse da Bates, ragionando sul concetto stesso di vista e percezione. La vista, infatti, è un’arte assimilabile, perfezionabile ed esercitabile. L’arte di vedere è, infatti, «simile alle altre abilità psicofisiche quali il parlare, il camminare, il servirsi delle mani. (…) Ma mentre è necessario un fortissimo sconvolgimento fisico o mentale per infrangere l’automatismo del parlare o del camminare correttamente, la capacità di servirsi in modo proprio degli organi visivi può andar perduta ad opera di turbe relativamente insignificanti. (…) Qualche volta la natura opera una cura spontanea e le vecchie abitudini di uso corretto si ristabiliscono quasi istantaneamente. La maggior parte dei colpiti, però, deve riacquistare coscientemente quest’arte. (…) La tecnica di questo processo di rieducazione è stata messa a punto dal dott. Bates e dai suoi seguaci».

Le recensioni critiche al libro di Huxley non tardarono ad arrivare e provenivano sia dal mondo scientifico-oculistico che da quello letterario. Come era potuto accadere che il celebre autore di Brave New World cadesse nel tranello di una simile pratica pseudoscientifica? I benefici riscontrati da Huxley erano sostanziali?

È difficile stabilire quanto Huxley soffrisse per la sua vista e che tipo miglioramento possa avere provato grazie agli inutili esercizi del metodo Bates. Suo fratello, Julian, ha raccontato in più occasioni che, per compensare alla vista, Aldous aveva sviluppato una memoria poderosa per essere in grado di ricordare tutto ciò che era riuscito faticosamente a leggere. Si trattava, secondo molti, di un modo per fare fronte all’orrore di una possibile cecità. I difetti di vista di Aldous Huxley, in realtà, erano rimasti gli stessi. In un trafiletto pubblicato nel 1952, lo scrittore e collaboratore della rivista Saturday Review, Bennett Cerf, racconta di come durante un pranzo organizzato a Hollywood, Huxley tenne un discorso agli altri ospiti, leggendo alcune note senza l’uso degli occhiali. Poi, racconta Cerf, «improvvisamente ha vacillato – e la verità inquietante è diventata ovvia. Non leggeva affatto il suo indirizzo. L’aveva imparato a memoria. Per rinfrescare la sua memoria, avvicinava sempre di più il giornale ai suoi occhi. Quando era distante solo un centimetro o giù di lì non riusciva ancora a leggerlo, e doveva pescare una lente d’ingrandimento in tasca per rendere visibile la digitazione. È stato un momento doloroso”.

Forse i motivi che spinsero Huxley a sposare il metodo Bates erano molto più profondi e da inquadrare nel percorso letterario e di vita dell’autore inglese. Nel 1954 Huxley pubblicò “Le porte della percezione”, in cui ha elaborato la sua esperienza percettiva con la mescalina, avvenuta nel maggio dell’anno precedente.

«Sentii d’un tratto che le cose andavano troppo oltre. Troppo oltre, anche se andavano in una bellezza più intensa, in un significato più profondo. Il timore, come lo analizzo in retrospettiva, era di essere sopraffatto, di disintegrarmi sotto la pressione di una realtà più grande di quanto una mente abituata a vivere la maggior parte del tempo in un minuscolo mondo di simboli potesse sopportare».

Aldous Huxley, Le porte della percezione, 1954


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Gianluca Liva
Giornalista scientifico freelance.