ricercaRUBRICHESCOPERTETRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

La flessibilità delle alghe nella robotica di nuova generazione

Mimare la natura e gli organismi biologici per ottenere automi e robot ad elevate prestazioni: un tema che OggiScienza ha già affrontato in diverse occasioni, descrivendo suggestive scoperte nell’ambito della visione artificiale o della robotica. Proprio in questo affascinante ambito un team di ricerca multidisciplinare della SISSA  di Trieste, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dell’OGS e dell’Universitat Politècnica de Catalunya ha pubblicato sulla rivista Nature Physics i risultati di uno studio condotto sull’alga Euglena, nello specifico sulla specie Euglena gracilis. Potrebbe essere il precursore di un nuovo filone applicativo nel campo della biorobotica.

A rendere l’Euglena così interessante per la ricerca sono le sue caratteristiche di adattabilità all’ambiente e in particolare la sua capacità di modificare, in opportune circostanze, la forma del proprio corpo: vediamo più in dettaglio di che cosa si tratta.

Come documentato in letteratura scientifica fin dal 1700, l’Euglena normalmente si sposta sfruttando i movimenti di un’appendice esterna, il flagello, una sorta di coda allungata. Come scrivono gli autori, però, in alcune circostanze specifiche questi organismi unicellulari sono in grado di sfruttare complesse deformazioni del proprio corpo cellulare, anziché il flagello, per ottenere movimenti estremamente fluidi ed eleganti.

Euglena al microscopio 

L’indagine del team di ricerca si è concentrata sullo scoprire in quali esatte circostanze questa avanzata capacità motoria venisse stimolata nell’Euglena.  Hanno scoperto che viene attivata proprio quando l’alga si trova in un ambiente particolarmente affollato o al contrario in spazi molto angusti.

La cooperazione tra scienziati di diversi ambiti disciplinari è, spesso, la chiave per raggiungere un livello maggiore di consapevolezza su fenomeni. In questo caso, le conoscenze e i metodi matematici applicati alla realtà fisica e biologica messi in campo dai vari studiosi hanno consentito di sviluppare un modello computazionale dell’apparato delle cellule di euglena.

Mediante equazioni matematiche, sono riusciti a capire il meccanismo di base della capacità motoria degli organismi unicellulari, determinando ad esempio che l’adattamento della mobilità – da quella ordinaria tramite flagello a quella più avanzata che sfrutta le deformazioni – non sfrutta un feedback meccanosensitivo, ovvero la potenzialità delle cellule di rilevare l’ambiente esterno mediante specifici sensori esterni (sensibili magari al contatto meccanico), ma è dovuto al sofisticato meccanismo di auto-regolazione di una sorta di motore elastico esteso.

Un aspetto interessante è costituito dal fatto che, in ottica di condivisione dei risultati, il team ha reso disponibile su richiesta il codice software utilizzato per la simulazione dell’apparato motorio dell’Euglena, realizzato con strumenti comunemente in uso sia in ambito accademico che industriale, come Mathematica e Matlab.

Del resto, come molto spesso accade, una scoperta è frutto di ricerche di lunga durata: in pubblicazioni precedenti, alcuni degli autori dello studio pubblicato su Nature (in particolare, Antonio Desimone e Giovanni Noselli della SISSA, studiosi di modelli matematici di sistemi biologici e meccanica strutturale) si erano già concentrati sulla cinematica del moto dell’Euglena, sviluppando dei modelli a partire da osservazioni sperimentali condotte con un microscopio invertito, utilizzato per acquisire ad alta velocità immagini bidimensionali dei microrganismi.

Dalla biologia alla robotica

Oltre a illustrare la correlazione tra le caratteristiche dello spazio da attraversare e l’adattabile motilità, lo studio in esame ha anche evidenziato alcune rilevanti, potenziali applicazioni nell’ambito della robotica.

Infatti, come illustrato da uno degli autori dello studio, Marino Arroyo dell’UPC, il corpo dell’Euglena è costituito da strisce elastiche movimentate da motori molecolari,  ossia  macromolecole in grado di convertire energia chimica in movimento: un apparato che sembra già conoscere il suo compito, come se fosse munito di una sorta di capacità cognitiva distribuita nei suoi componenti organici.

Una circostanza, questa, che parrebbe ricadere sotto il principio della cosiddetta embodied cognition, o conoscenza incarnata o incorporata, che potrebbe essere sfruttato, nel prossimo futuro, per realizzare automi caratterizzati da elevata adattabilità strutturale, che li renderebbe utilizzabili ad esempio per l’esplorazione di spazi ostili o avversi.

In altri termini, dei veri e propri robot flessibili, idealmente in grado persino di avventurarsi, per finalità di ricerca medica, all’interno del corpo umano, come descritto in un altro recente articolo pubblicato su Science Advances, ed incentrato, appunto, sulla realizzazione di automi bio-inspirati in grado di adattare le proprie capacità di locomozione in un fluido senza utilizzare sensori dedicati, ma piuttosto sfruttando le proprie caratteristiche strutturali e magnetiche.


Leggi anche: Microrganismi marini dall’acqua alla robotica

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.  | Illustrazione di C.G. Ehrenberg – Der Infusionthierchen – Dominio pubblico

Condividi su
Gianpiero Negri
Laureato in Ingegneria Elettronica, un master CNR in meccatronica e robotica e uno in sicurezza funzionale di macchine industriali. Si occupa di ricerca, sviluppo e innovazione di funzioni meccatroniche di sicurezza presso una grande multinazionale del settore automotive. Membro di comitati scientifici (SPS Italia) e di commissioni tecniche ISO, è esperto scientifico del MIUR e della European Commission e revisore di riviste scientifiche internazionali (IEEE Computer society). Sta seguendo attualmente un corso dottorato in matematica e fisica applicata. Appassionato di scienza, tecnologia, in particolare meccatronica, robotica, intelligenza artificiale e matematica applicata, letteratura, cinema e divulgazione scientifica, scrive per Oggiscienza dal 2015.