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Microrganismi marini: dall’acqua alla robotica

Da sempre la tecnologia prende in prestito forme e peculiarità biologiche per dare nuova linfa al progresso. È il caso della robotica, che può ispirarsi a minuscoli organismi marini per progettare robot su scala micrometrica

Antonio De Simone racconta la sua attività di ricerca insieme ad Alfred Beran, ricercatore OGS, a Trieste Next 2017. Fotografia di Simona Cerrato

TRIESTE NEXT – Cosa hanno in comune il plancton, o una diatomea, e un robot? Secondo Antonio De Simone, professore alla SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste e direttore di SISSA Math-Lab, laboratorio di modellizzazione numerica e calcolo scientifico, molte cose. Quando ci si lascia ispirare dall’uno per progettare l’altro.

Perché dagli oceani e dalle creature che li abitano, non solo grandi cetacei e pesci ma anche minuscoli organismi monocellulari, possiamo trarre impagabili ispirazioni per costruire macchine sofisticate. Se ne è parlato alla manifestazione scientifica Trieste Next, dove l’incontro tra il mondo della ricerca e gli oceani è letteralmente sceso in piazza.

“La biologia dopotutto è un insieme di macchine: pensiamo al sistema immunitario, che per far arrivare i leucociti dove sono richiesti si sposta, proprio come una macchina, dal punto A al punto B”, racconta De Simone. “Ognuno di noi, se ci pensiamo, è nato da un evento di motilità: uno spermatozoo che nuota è una macchina biologica, che trasferisce il materiale genetico da un punto a un altro e viene spinto da un motore, il flagello”.

Nel suo laboratorio De Simone ha studiato alcune di queste microscopiche macchine, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste (OGS), per comprenderne il funzionamento nei minimi dettagli e poterlo usare come ispirazione per progettare micro-robot.

Ma per trasformare movimenti microscopici, flagelli e altre strutture sulla scala del micron in efficaci e complessi prototipi di robot, il percorso è intricato. “Prima di tutto bisogna ricordare che la meccanica dei fluidi non rimane invariata con la scala dell’oggetto, e se vogliamo capire come si comporta un organismo microscopico non possiamo usare la nostra esperienza di nuoto”

Muovendo le braccia per nuotare al mare, per esempio, “acceleriamo l’acqua intorno a noi e all’acqua non piace essere accelerata, quindi reagisce”, spiega De Simone. “È proprio questa forza di reazione quello che poi ci fa muovere”. Ma quando passiamo al micro-nuoto, la storia cambia. Gli organismi marini ai quali ci si ispira sono unicellulari, costituiti da una sola cellula, e non hanno cervello. “Non c’è un organo che coordini il movimento delle parti, come il nostro cervello fa quando siamo in mare e con una sorta di danza dice a un braccio di muoversi, poi all’altro, e così via”.

Uno dei più grandi ostacoli in questo ambito di ricerca è che tutto si osserva attraverso le lenti di un microscopio, “ma il microscopio vede il mondo in due dimensioni. Come posso ricostruire un mondo tridimensionale partendo da un’immagine bidimensionale? Ovviamente non si può, ma matematicamente è un problema mal posto: esistono infiniti oggetti tridimensionali la cui proiezione bidimensionale è la stessa. Proprio per questo si dice che, per la biologia, la matematica è il microscopio del futuro, più potente di qualsiasi altro microscopio esistente, perché possiamo ricostruire tutte queste cose attraverso un modello”.

Dopo gli studi, Micronaut

Il modello di studio favorito, nonché musa degli scienziati? È Euglena gracilis. “Abbiamo cercato di capire come si comporta per usarlo come ispirazione, ed è proprio grazie a questo organismo che è arrivata la scoperta, il nostro momento Eureka”, racconta De Simone. “Euglena è un’alga verde, un protista, un organismo a cavallo tra il mondo dei batteri e quello delle piante che nuota come lo vediamo nuotare oggi da almeno un miliardo e mezzo di anni. Volevamo capire come, e perché”.

Un aspetto intrigante di E. gracilis è che ha due modalità di spostamento, quella flagellare e quella ameboide. Il suo movimento, a vedersi, si colloca a metà tra l’ondeggiare di un lombrico e un’ampia bracciata in acqua. Qualunque organismo sia dotato di un flagello che si deforma in modo periodico compie un percorso a spirale e “se poteste mettervi al centro di questa spirale, spostandovi alla velocità media alla quale si sposta lui, vedreste qualcosa di molto simile all’orbita di un pianeta”.

Esemplari di Euglena gracilis visti al microscopio. Fotografia di Ellis O’Neill – Microscopy, Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0

Per capire a fondo il moto ameboide è stato necessario prima studiare la superficie degli euglenidi. Sono fatti “a strisce” e se li osserviamo con attenzione possiamo notare che l’orientamento di queste strisce segue la forma del corpo. Nella parte tondeggiante le strisce sono inclinate mentre in quella lineare sono allungate.

Combinando questi due movimenti De Simone e i colleghi hanno stampato in 3D un primo prototipo, che hanno battezzato Micronaut. È il primo passo verso l’obiettivo finale, un vero e proprio robot capace di deformarsi e spostarsi come E. gracilis.

Uno degli ostacoli verso la realizzazione di questo robot sono i materiali. “Viste le dimensioni microscopiche, i materiali dei quali abbiamo bisogno sono oggi un po’ troppo costosi e un po’ troppo fragili rispetto alle grandi deformazioni che vogliamo applicare”, conferma De Simone. “Servirebbe qualcosa di meno plastico e più gommoso. Ora ci stiamo scontrando proprio con questo aspetto ed è una sfida nella sfida”.

Un’ulteriore barriera è rappresentata proprio dai costi della prototipazione per stampare i primi robot in 3D su scala micrometrica, e la direzione del lavoro di De Simone e colleghi è proprio questa. Con una macchina il cui valore si aggira intorno ai 150 000 euro è possibile raggiungere una risoluzione millimetrica, mentre per arrivare al micron il costo della stampante 3D può lievitare anche di cinque volte. “Oggi sono una o due le aziende che producono macchine come quella di cui abbiamo bisogno per proseguire”, conclude De Simone. “Speriamo di riuscire a vincere un grant e poterne acquistare una”.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".