Radiazioni a basse dosi e cancro: meno rischiose di fumo e obesità
In termini di anni di vita persi il rischio è inferiore di quello derivante dal fumo di sigaretta, dall'esposizione all'inquinamento ambientale o dall'obesità. Un documento dell'Università di Oxford prova a fare chiarezza.
SALUTE – Quando si parla di radiazioni ionizzanti, cioè di quella che viene comunemente definita radioattività, si pensa subito a un alto rischio di sviluppare un tumore dopo l’esposizione a queste radiazioni. La mente va a Chernobyl, a Fukushima. Da un lato sappiamo molto sui rischi per la salute di esposizioni massicce a radiazioni, grazie a studi effettuati su gruppi di persone esposte a disastri nucleari, o su lavoratori dell’industria nucleare, che hanno mostrato chiaramente che dosi moderate ed elevate di radiazioni aumentano il rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro. Eppure le nostre conoscenze circa gli effetti di un’esposizione lieve a radiazioni ionizzanti sono ancora limitate.
Per chiarire questo aspetto, un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford ha pubblicato un documento su Proceedings of the Royal Society, contenente le evidenze scientifiche sui rischi per la salute derivanti da radiazioni ionizzanti a basso livello, con l’obiettivo di rendere le decisioni politiche in materia finalmente più informate. Ogni Paese ha fissato infatti dei valori soglia sui livelli di radiazioni considerati pericolosi per la nostra salute, ma secondo gli esperti si tratta di decisioni fondate su poche evidenze scientifiche, o meglio su studi che in realtà hanno riguardato per la maggior parte episodi critici e non un’esposizione a basse dosi. Il risultato, continuano i ricercatori, è spesso di una grossa confusione in merito, con messaggi alla popolazione più allarmistici di quello che è il reale rischio per la salute. In Italia per esempio si fa riferimento ai D.L. n. 230/95 e 241/2000 che regolamentano i limiti di esposizione alle radiazioni ionizzanti.
Il risultato della ricerca è stato tutto sommato confortante: paragonata agli effetti in termini di anni di vita persi derivanti dal fumo di sigaretta, dall’esposizione all’inquinamento ambientale o dall’obesità, l’esposizione a basse dosi di radiazioni ionizzanti è molto meno pericolosa. Non dobbiamo dimenticare che l’umanità è sempre stata esposta a radiazioni ionizzanti, soprattutto con l’avvento dell’età contemporanea – basti pensare al loro uso in medicina, nell’industria e negli eserciti.
Va precisato, per sgombrare il campo da equivoci, che qui si parla di radiazioni ionizzanti, cioè le radiazioni che trasportano sufficiente energia da liberare elettroni da atomi, appunto ionizzandoli. Appartengono a questo gruppo le radiazioni che riguardano la porzione più ad alta frequenza dello spettro elettromagnetico, cioè i raggi ultravioletti, i raggi gamma e i raggi X.
Non stiamo dunque parlando della querelle intorno ai presunti rischi per la salute dell’uso dei cellulari, che funzionano utilizzando onde radio, cioè frequenze ben al di sotto delle lunghezze d’onda degli ultravioletti e anche della radiazione visibile, e che dunque emettono radiazioni non ionizzanti.
Ma andiamo a vedere di che tipo di rischio stiamo parlando. Lo studio illustra le dimensioni di questo aumento del rischio utilizzando il seguente esempio. Su 100 individui che sono stati brevemente esposti a 100 mSv di radiazione (che è considerata appunto una bassa dose) in media uno di loro svilupperà un cancro indotto da radiazioni, mentre altri 42 individui probabilmente svilupperanno un cancro per altre cause. Per capire di cosa stiamo parlando, una scansione CT di tutta la colonna vertebrale è di 10 mSv, quindi un decimo del valore di 100 mSv preso come esempio, mentre la dose media di radiazioni di fondo nel Regno Unito è di 2,3 mSv ogni anno.
Per costruire le conoscenze acquisite da questo studio, ulteriori ricerche saranno condotte per comprendere meglio le implicazioni dell’esposizione delle radiazioni su DNA e cellule. “Nonostante la profondità della nostra conoscenza, ci sono ancora molti aspetti sconosciuti che dovremo indagare”, spiega Angela McLean, coordinatrice della ricerca. “Anche lo studio epidemiologico meglio progettato per esempio ha difficoltà a distinguere tra nessun rischio extra di sviluppare il cancro per opera delle radiazioni e un piccolo rischio aggiuntivo. Per esempio nessuno studio condotto sugli esseri umani ha dimostrato in maniera definitiva un aumento della malattia ereditaria nei figli dei genitori irradiati”.
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