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Terapia fagica: cos’è e perchè potremmo averne bisogno

Entro il 2050, saranno 50 milioni l’anno le persone che moriranno a causa della multi-resistenza batterica. In Europa iniziano i primi trial clinici per valutare un'alternativa agli antibiotici: la batteriofagia, già in uso nei paesi dell'ex Unione Sovietica.

Gli effetti dell’impiego di un fago su Bacillus anthracis. Immagine: CDC/ Courtesy of Larry Stauffer, Oregon State Public Health Laboratory

Secondo i dati dell’European Antimicrobial Resistance Surveillance Network (EARS-Net), pubblicati su Lancet Infectious Disease all’inizio del 2019, il problema della multiresistenza batterica (multidrug resistant, abbreviato in MDR) è aumentato in modo preoccupante negli ultimi dieci anni. Nel corso del solo 2015, scrive Lancet, nell’area europea sono state rilevate 671.689 infezioni batteriche multiresistenti – il 63,5% è legato al mondo della sanità – si stimano 874.541 le giornate di vita quotidiana impegnate per trattare infezioni multiresistenti e, dato allarmante, 33.110 sono state le morti causate dall’inefficacia degli antibiotici attualmente in uso. Il problema della MDR è particolarmente diffuso tra le fasce di età più vulnerabili – i bambini al di sotto dell’anno di vita e gli anziani oltre i 65 anni – con un triste primato per Italia e Grecia.

A livello globale, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) prevede che entro il 2050 saranno 50 milioni all’anno le persone che moriranno a causa della multi-resistenza batterica, considerata ormai la più importante sfida del mondo biomedico per i prossimi decenni. Un’eccessiva e ingiustificata prescrizione di antibiotici ha favorito la capacità dei batteri di mutare in funzione della loro stessa sopravvivenza all’interno dell’organismo umano, sviluppando meccanismi di difesa come il quorum sensing: l’aggregazione in colonie fitte, estese, protette da un biofilm e, quindi, impenetrabili da parte di quei principi attivi che, a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, sono stati il miglior metodo disponibile per sconfiggere infezioni batteriche potenzialmente letali. Farmaci a base di cefalosporine, carbapenem, colistina, vancomicina, penicillina mostrano oggi sempre minore efficacia soprattutto nei pazienti con malattie croniche importanti, come la fibrosi cistica, o nella cura della sepsi batterica, i cui protocolli terapeutici prevedono somministrazioni per via endovenosa di terapie antibiotiche ad altissimo dosaggio.

Terapia fagica, di cosa si tratta

Data questa situazione, la scienza del mondo occidentale – la precisazione geografica è importante – sta rivalutando una metodica scoperta agli inizi del Novecento da due scienziati europei, Félix Hubert d’Herelle (1873 – 1949), nato in Canada ma poi divenuto ricercatore all’Institute Pasteur di Parigi, e l’inglese Frederick Twort (1877 – 1950), entrambi medici specializzati in batteriologia. Al di là della disputa in ambito scientifico sul primato della scoperta, va dato il merito a d’Herelle di aver effettuato nel 1919 il primo trial clinico sull’efficacia e la sicurezza della terapia fagica: a quattro bambini affetti da dissenteria venne somministrata in un’unica dose una preparazione fagica a cui seguì una ripresa completa dalla malattia entro 24 ore. Contestualmente, la stessa preparazione venne data ad alcuni individui sani senza rilevare conseguenze negative e confermando in tal modo anche la sicurezza del trattamento. Un piccolo trial clinico dal significato storico.

Il microrganismo responsabile di tale risultato si chiama batteriofago, un nome che combina la parola batterio con il termine greco -phágos “mangiatore” ed è un virus che vive sulla superficie del batterio, la sua fonte di nutrimento: attraverso un processo denominato lisi, il fago elimina completamente il batterio a cui è legato. Data la loro specificità, viene dato loro un nome: Muddy, ZoeJ e BPs sono i tre fagi utilizzati in un recente caso clinco pubblicato su Nature Medicine che ha avuto risonanza internazionale. Sono solo tre, tra gli oltre 10mila screenati dagli studenti del SEA-PHAGES program presso l’Università di Pittsburgh, ma hanno salvato la vita a una quindicenne britannica malata di fibrosi cistica, colpita da una grave infezione da Mycobacterium abscessus, un batterio della categoria dei Nontuberculous mycobacteria (NTM), per la quale la paziente era stata trattata con antibiotici per otto anni.

A seguito di un trapianto polmonare, l’unica possibilità terapeutica attuabile in quel caso, l’adolescente è andata incontro a una grave infezione post-operatoria provocata sia da Pseudomonas aeruginosa sia, ancora, da Mycobacterium abscessus. A seguito di una tomografia a emissione di positroni (PET)-CT, i medici hanno individuato, a livello dello sterno, un rigonfiamento dovuto a Mycobacterium abscessus che non ha risposto alla terapia antibiotica ma, anzi, si è esteso alle braccia e alle gambe fino a provocare una lesione cutanea allo sterno.

La situazione era dunque senza speranza, al punto che, secondo quanto riporta in un’intervista al New York Times, il padre stesso della ragazza ha proposto ai medici di valutare la possibilità di tentare la terapia fagica, di cui aveva sentito parlare. A seguito di somministrazione per via endovenosa dei tre fagi, un “cocktail fagico” tecnicamente, l’infezione da Mycobacterium abscessus è stata debellata e la ragazza è viva e sta relativamente bene. Il caso è molto importante perché la terapia fagica potrebbe essere, anche nel mondo occidentale, una soluzione contro la multi-resistenza batterica, seppur tra grandi ostacoli legislativi.

Terapia fagica oggi

Nei Paesi dell’ex-Unione Sovietica la batteriofagia è ampiamente diffusa. A Tbilisi, in Georgia, esiste il più importante centro di terapia fagica al mondo. “La Georgia ha un’esperienza nell’uso della terapia fagica di oltre cento anni, ma la situazione politica con la Russia crea enormi problemi nella diffusione nel mondo occidentale di questa metodica. Noi, scienziati georgiani del centro di terapia fagica di Tiblisi, non possiamo partecipare a congressi internazionali o pubblicare le nostre ricerche e review sull’argomento su riviste scientifiche internazionali perché il governo russo ce lo proibisce” afferma a OggiScienza Zemphira Alavidze, prima direttrice e ora consulente del Phage Therapy Center di Tiblisi.

La ricercatrice, oggi ottantenne e con una vita alle spalle dedicata alla terapia fagica, nonostante le difficoltà che racconta, è ottimista. “In occidente la terapia fagica non è legale, tuttavia sono convinta che molto presto verrà ottimizzata e messa a disposizione in molti Paesi e per molti pazienti con particolari tipi di infezioni che non rispondono alle terapie antibiotiche disponibili e, dunque, senza alternative terapeutiche”. Il centro di Tiblisi è stato aperto soprattutto per i pazienti provenienti dall’estero, perché potessero curarsi in un Paese dove questa terapia è legale. “Abbiamo salvato molte vite umane” afferma Alavidze “ma se prima potevamo spedire i preparati negli Stati Uniti perché i malati potessero continuare la terapia, ora le leggi americane ce lo vietano”.

La rivalutazione della terapia fagica nel mondo Occidentale ha visto la nascita di molti progetti e centri nei quali si sta cercando di mettere a punto un protocollo terapeutico che risponda ai criteri richiesti dagli enti regolatori per l’immissione in commercio dei farmaci, Food and Drug Administration (FDA) ed European Medical Agency (EMA). I fagi non sono farmaci, ma organismi vivi e per essere efficaci devono essere personalizzati sul singolo paziente. A San Diego, in California, circa un anno fa, è nato il primo centro di terapia fagica del mondo occidentale che si occupa di valutare la terapia attraverso trial clinici.

“Non ci hanno mai contattati, dichiara Alavidze, ma se volessero farlo, siamo pronti a dialogare con loro. Sono certa che non ci sia alcuna concorrenza tra di noi, perché ogni ospedale ha i propri pazienti con malattie specifiche, ma se potessimo collaborare tutti assieme, credo che questo sarebbe davvero un grande risultato”.

In Europa e in Italia

“Anche in Europa sono nati dei progetti per la validazione della terapia fagica attraverso trial clinici”, racconta a a OggiScienza Elena Criscuolo virologa all’unità di Microbiologia e Virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “In Francia, Clean Cells produce fagi seguendo le Good manufacturing practices (GMP), che dovrebbe renderli più conformi alle pratiche cliniche, e il progetto PhagoBurn è stato approvato dalla Comunità Europea come trial clinico per il trattamento delle ustioni”. A questi, aggiungiamo il progetto Phage4Cure nato nel 2015 presso l’ospedale Charité di Berlino per iniziativa della Charité Research Organisation GmbH che, attraverso un team di esperti di terapia fagica, sta attualmente lavorando sulla messa a punto di una terapia GMP per via aerosolica contro Pseudomonas aeruginosa.

“Noi stiamo cercando di modificare geneticamente alcuni fagi per renderli più efficienti nell’uccidere i batteri ESKAPE”, acronimo per inglobare sei batteri multiresistenti: Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter spp. “Oppure, per bypassare questa difficoltà di produzione di fagi come farmaci, ne utilizziamo soltanto dei pezzettini” prosegue Criscuolo. “Con questa metodica, il fago uccide il batterio utilizzando solo delle proteine specifiche. Quindi, un’idea, non solo nostra, è quella di lavorare solo su queste proteine che invece, sì, possono essere utilizzate in modo standard e magari modificate geneticamente per renderle più attive verso più specie batteriche, piuttosto che mantenerne la specificità originaria”.

Per l’attività di ricerca sulla terapia fagica, il laboratorio di cui fa parte Elena Criscuolo può avvalersi di isolati clinici dell’Ospedale San Raffaele. “Possiamo utilizzare batteri che effettivamente hanno causato malattia e testare le nostre molecole su materiale biologico è sicuramente di interesse, oltre a permetterci di valutare una possibile applicazione clinica per i casi più gravi attraverso l’uso compassionevole”.

Una strada da percorrere

Sul fronte del mercato americano, nel 1998 è stata fondata l’azienda Intralytix da Alexander Sulakvelidze, ricercatore di Tiblisi passato, nel 1993, all’Università del Maryland. “L’obiettivo che avevamo era trovare un composto a base di fagi in grado di trattare la dissenteria. Per questo abbiamo iniziato un percorso di richiesta di approvazione presso l’FDA di diversi composti a base di fagi, abbiamo portato avanti i primi trial clinici per il trattamento delle ferite della pelle e delle ustioni e ora è in corso anche il primo trial clinico approvato da FDA per il trattamento del morbo di Crohn presso il Mount Sinai Hospital di New York”, dice Sulakvelidze. Secondo il ricercatore georgiano, “sarebbe molto utile che ogni ospedale, normalmente attrezzato con infrastrutture per individuare l’antibioticoterapia più adeguata, potesse averne di analoghe per individuare anche la terapia fagica”.

In attesa che questo possa avvenire, al centro di Tiblisi arrivano pazienti da tutte le parti del mondo: America, Australia, Kenya e Sudafrica ma anche paesi europei come Germania, Polonia, Svizzera, Belgio, Regno Unito, Olanda. “Sono tutti pazienti cronici che, talvolta per decenni, si sono sempre curati con antibiotici che hanno provocato in loro grossi effetti collaterali, come la distruzione della flora batterica e situazioni di immunodepressione” racconta ancora Zemphira Alavidze. “È davvero difficile cercare di curare questi pazienti nel giro di 2-3 settimane, ma una volta trovato il cocktail fagico specifico si vedono subito dei miglioramenti. Dopo anni e anni di trattamento antibiotico è molto difficile trattare situazioni croniche e serve continuare la terapia fagica per parecchi mesi”.

La terapia fagica si è continuata a sviluppare nei Paesi dell’ex-Unione sovietica, in India e Bangladesh perché poco costosa. In India sono state curate delle epidemie di dissenteria semplicemente mettendo dei fagi nei pozzi e dando da bere alle persone dei villaggi dell’acqua che era stata pulita grazie ai fagi. “L’interesse si sta spostando in Europa e in America” afferma Criscuolo “perché fino a oggi abbiamo usato tantissimi antibiotici. Quindi sembra paradossale ma noi, dove abbiamo delle medicine, abbiamo anche tutti i problemi relativi all’uso che ne facciamo. Infatti, in Russia, Georgia e nei Paesi poveri non hanno i nostri problemi riguardo le multiresistenze perché non hanno l’uso smodato di antibiotici che abbiamo invece nel mondo Occidentale”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia. 

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.