ANIMALI

Ibis eremita: riprendere la rotta guidati dagli esseri umani

In Europa, la specie si è estinta già tra il XVI e il XVII secolo, ma esistono progetti che tentano la reintroduzione. Ma come fare a insegnare a soggetti in cattività le rotte migratorie?

L’ibis eremita ha ripreso il suo viaggio. Qualche individuo talvolta sbaglia strada, come nel caso dell’esemplare avvistato a Sestri Levante, in Liguria, o quello nel Parco dei Castelli Romani; ma intanto, gli ibis sono riusciti ad arrivare al sito di svernamento europeo, l’oasi del WWF della laguna di Orbetello. A insegnare loro la rotta, due operatrici in volo su ultraleggeri, piccoli velivoli a motore: hanno guidato lo stormo per oltre 700 chilometri, dall’Austria alla Maremma toscana, affrontando condizioni climatiche avverse e attacchi di predatori, per condurre a destinazione gli ibis.

Migrazioni perdute

A guardarlo, l’ibis eremita (Geronticus eremita) può non suscitare grandi entusiasmi – a meno di non essere appassionati di ornitologia. Anzi, può apparire un po’ inquietante con il suo piumaggio scuro, caratterizzato dalle iridescenze metalliche, e la testa rossa e calva dotata di un lungo becco. Ma di inquietante, nell’ibis eremita, c’è soprattutto il suo stato di conservazione: un tempo diffuso in Nordafrica, Medio Oriente, Europa meridionale e centrale, oggi la specie è classificata come “in pericolo” nella Red Lista della IUCN e sopravvive allo stato selvatico solo in poche colonie.

In Europa, la specie si è estinta già tra il XVI e il XVII secolo, presumibilmente perché ritenuto un ottimo piatto per gli esseri umani. In effetti, l’ibis eremita è stato, in Europa, tra i primissimi animali a ricevere attenzione dal punto di vista della conservazione: come ricorda un articolo del 2017, esistono documenti storici della metà del Cinquecento a testimonianza di leggi che tentarono di preservarne la specie, ad esempio incoraggiando a lasciare almeno un pulcino nel nido per far sì che gli adulti tornassero a nidificare nella stessa zona. I risultati furono evidentemente scarsi, e anche fuori dall’Europa la caccia, il disturbo ai siti di nidificazione, la predazione da parte di altri animali e, più tardi, l’uso dei pesticidi hanno determinato un drammatico declino della specie.

Oggi, circa il 95 per cento degli animali realmente selvatici, ma stanziali, è concentrato in una singola sottopopolazione in Marocco. In Europa, tuttavia, l’European Association of Zoos and Aquaria, l’associazione dei giardini zoologici e degli acquari, conta circa 2.000 individui cresciuti in cattività, sui quali si sono concentrati gli sforzi di conservazione. Tra questi, il progetto LIFE+ “Reason for hope” per la reintroduzione dell’ibis eremita in Europa, una reintroduzione che consenta agli uccelli di riacquisire le loro rotte migratorie. Come? Sfruttando l’imprinting filiale, quell’apprendimento grazie al quale il pulcino identifica come “madre” l’animale o l’oggetto in movimento che vede nei primi momenti dopo la schiusa dell’uovo, e che seguirà fino all’autonomia comportamentale.

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«L’idea alla base del progetto, guidato dal Förderverein Waldrappteam, è stata proprio quella di capire se l’essere umano potesse diventare l’elemento guida per ricostruire la rotta migratoria nelle mente dell’ibis eremita», spiega Cesare Avesani Zaborra, direttore scientifico del Parco Natura Viva, partner italiano del progetto. «Agli operatori cui è affidato l’imprinting è richiesto un impegno enorme. Da una parte, infatti, sono necessarie le competenze e la dedizione necessarie per l’allevamento dei piccoli; dall’altra, gli operatori devono essere in grado di capire quando gli uccelli sono pronti a migrare, e riuscire a guidarli in un lungo tragitto affrontando non solo le condizioni meteorologiche, ma anche gli attacchi dei predatori allo stormo, come avvenuto lo scorso anno a opera di un’aquila reale in Trentino Alto Adige». Il volo non è privo di pericoli nemmeno per gli ibis. Il rapporto annuale 2018 del progetto riporta che la principale causa di morte per gli animali in Italia è stata il bracconaggio illegale, mentre per la parte austriaca del volo è stata la folgorazione degli uccelli sulle linee elettriche ad alta tensione.

Il progetto, che è iniziato nel 2014 e si conclude quest’anno, ha permesso di compiere sei migrazioni guidate dall’essere umano. Il volo parte dai siti riproduttivi in Austria (a Burghausen, Scharnestein e a Salisburgo) e si conclude in Toscana, nell’oasi del WWF della laguna di Orbetello. «Come altri uccelli migratori, gli ibis eremita sono geneticamente predisposti alla migrazione: all’inizio di agosto accumulano scorte di grasso e aumentano i livelli di corticosterone, pronti a intraprendere il volo verso località a sud, dove potranno trascorrere l’inverno. Tuttavia, hanno bisogno che qualcuno mostri loro la rotta da seguire: in questo caso, operatori umani. Per ragioni tecniche e per non rendere il volo troppo impegnativo né per gli operatori né per gli uccelli, il progetto ha scelto come sito di svernamento l’oasi WWF della Laguna di Orbetello, che presenta un habitat compatibile con l’etologia della specie», spiega Avesani. «Appena maturi, gli ibis vengono abituati a seguire l’ultraleggero: gli operatori, resi più riconoscibili da maglie gialle, richiamano gli uccelli anche con la voce».

Andata e ritorno

«Durante le migrazioni compiute con il progetto LIFE “Reason for hope”, abbiamo mostrato come oltre la metà degli individui guidati all’oasi sia in grado di tornare, intorno ad aprile, ai siti di riproduzione in Austria in modo autonomo. Addirittura, gli uccelli sembrano in grado di “aggiustare” la rotta. Sempre per ragioni tecniche, infatti, gli operatori sugli ultraleggeri aggirano le Alpi nella zona di Tarvisio; gli ibis, tornando indietro, seguono la stessa rotta fino all’ingresso della pianura Padana, poi molti di loro proseguono dritto per il Brennero e le Alpi. Ciò indica che il loro senso dell’orientamento è tale da portarli nei siti di riproduzione senza sprecare le energie in un giro largo».

Ciascuno degli ibis eremita che ha intrapreso la migrazione guidata dall’essere umano è dotato di un trasmettitore GPS che ne consente la localizzazione (i dati sulla posizione sono disponibili anche su un’apposita app che permette a chiunque interessato di seguirne il volo). La migrazione è stata anche l’occasione di studiare le dinamiche di volo di questi animali. Ad esempio, i ricercatori hanno potuto indagare come la posizione assunta dai singoli individui, che volano in formazione a V, sia aerodinamica e si rapporti alla posizione degli altri individui. Questo studio, pubblicato su Nature nel 2014 e di cui OggiScienza ha parlato qui, ha permesso di osservare come gli uccelli immediatamente dietro il “capogruppo” battano le ali in fase per massimizzare l’upwash (l’aria in ascesa), mentre gli uccelli più indietro sbattono le ali in modo anti-fase, per ridurre gli effetti avversi del downwash (la discesa dell’aria) sugli individui che seguono. Lavori successivi hanno indagato, ad esempio, come gli uccelli cooperino per stabilire quale individuo faccia da capogruppo, facendo a turno per stare nelle posizioni più avanzate e vantaggiose dal punto di vista energetico.

«I migratori accompagnati al sito di svernamento dagli esseri umani diventano poi a loro volta le guide per gli esemplari più giovani, che impareranno dagli adulti esperti la rotta», conclude Avesani. «Ciò evita che si debba ripetere l’imprinting con l’essere umano, forse uno dei punti deboli del progetto, perché rischia di rendere gli ibis meno diffidenti nei confronti della nostra specie».


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.