Quando una specie domestica diventa invasiva: lo studio sui conigli
Una recente ricerca indaga alcune caratteristiche ecologiche di due popolazioni di conigli domestici inselvatichiti, rilasciati nell’ambiente dai proprietari
Più volte, su questa rubrica, abbiamo ricordato l’importanza di una gestione consapevole dei propri pet. Questo sia nei termini del loro benessere, sia allo scopo di tutelare la biodiversità: l’abbandono o il rilascio volontario nell’ambiente degli animali di casa, siano domestici o selvatici, può infatti avere conseguenze negative per l’ambiente stesso, oltre naturalmente a mettere a rischio la vita dell’animale, in quanto abituato alla vita in cattività. Molte specie, infatti, possono diventare invasive e rappresentare un pericolo per l’ecosistema (per esempio competendo con le specie autoctone o trasmettendo loro patogeni) e le attività umane (per esempio danneggiando le coltivazioni).
In Italia, i parrocchetti che popolano città come Roma e Pavia (e non solo) sono forse tra gli esempi più conosciuti – e più facilmente osservabili – di specie aliena invasiva derivante da rilasci volontari o da fughe accidentali causate da una gestione impropria degli animali. Il parrocchetto dal collare, tuttavia, non è l’unica specie aliena invasiva presente in Italia. Un esempio meno noto, e scarsamente studiato, è infatti quello del coniglio (Oryctolagus cuniculus), la cui variante domestica ha formato, in seguito al rilascio sconsiderato di esemplari, alcune popolazioni inselvatichite, in alcune aree urbane e periurbane dell’Italia peninsulare (per esempio nel parco della Caffarella, a Roma). A due di esse è dedicato un articolo firmato da un gruppo di ricercatori italiani e pubblicato sullo European Journal of Wildlife Research, in cui sono state studiate sia alcune caratteristiche ecologiche della popolazione sia, nell’ottica d’indirizzarne la gestione, la percezione di chi vi viene a contatto (residenti e turisti).
Dinamica di invasione, rapporto con i predatori e potenziali rischi per l’ecosistema
I ricercatori hanno indagato due diverse aree presso il Parco del Mincio, in provincia di Mantova, che coprivano sia zone protette ad alta naturalità che periurbane in cui si sono stabilite due popolazioni di conigli domestici rilasciati volontariamente dai proprietari o fuggiti dalla cattività. «Per confermare l’origine domestica degli animali, allevati sia come pet sia per la carne, non sono state necessarie indagini genetiche: è bastato osservarne il fenotipo, ossia l’insieme delle caratteristiche manifestate da un individuo. I conigli da noi studiati, infatti, oltre che per la taglia, si distinguevano dal coniglio selvatico – che è sempre di colore agouti – per l’ampia gamma di colorazioni della pelliccia, spesso pezzata. Talvolta, inoltre, gli animali presentavano orecchie pendenti o pelo semilungo intorno alla testa, caratteri tipici di alcune razze domestiche da compagnia», spiega Davide Sogliani, primo autore dell’articolo.
La raccolta dei dati sulla popolazione, durata all’incirca due anni e basata sia su osservazioni dirette sia sulle informazioni raccolte dalle fototrappole, ha permesso di stabilire innanzitutto alcune dinamiche di popolazione. I conigli formavano due popolazioni capaci di autosostenersi che, tra il 2018 e il 2019, sono aumentate di consistenza e densità, ampliando quindi il proprio areale. Le conte effettuate, tuttavia, rappresentano probabilmente una sottostima, dal momento che alcuni conigli potrebbero non essere stati individuati a causa del fenotipo identico o per la presenza di alcune aree private inaccessibili.
Tale crescita, scrivono gli autori, può dipendere dall’elevato potenziale riproduttivo del coniglio (cui abbiamo già accennato, evidenziando l’importanza della sterilizzazione) in unione alla mancanza di competizione con altri lagomorfi e all’abbondanza di cibo, talvolta fornito dai visitatori.
Un secondo aspetto evidenziato dalla ricerca riguarda il rapporto tra il coniglio e il suo principale predatore nell’area, la volpe. Gli autori dello studio hanno infatti evidenziato, tramite analisi delle feci, che questi predatori cacciavano attivamente i conigli inselvatichiti, che a loro volta sembrano aver modificato i loro ritmi circadiani. Infatti, mentre le volpi si sono confermate una specie perlopiù crepuscolare e notturna, i conigli si sarebbero adattati diventando diurni – forse facilitati dalla loro origine domestica – andando così a limitare il rischio di essere predati.
Questi risultati portano ad alcune riflessioni sui potenziali rischi rappresentati dai conigli. Da una parte, infatti, sottolineano l’elevata capacità dei conigli di disperdersi dal sito di introduzione, una caratteristica che potrebbe portare alla rapida colonizzazione di nuove aree. «Sebbene il nostro lavoro non si sia concentrato sullo studio degli effetti negativi che questi conigli possono avere sull’ecosistema, sappiamo che, come riporta anche il Global Invasive Species Database, questi possono verificarsi, soprattutto per quanto riguarda la competizione diretta e indiretta con specie native e sul rinnovamento degli arbusti», spiega Sogliani. Inoltre, i conigli scavano tane nel terreno che possono contribuirne all’erosione dello stesso e, aggiunge il ricercatore, «Un altro effetto negativo del coniglio sulle specie native potrebbe verificarsi tramite competizione indiretta in seguito all’aumento della densità dei predatori naturali come le volpi. In Italia, questo è già stato osservato tra il silvilago, un’altra specie alloctona, e la lepre europea, una specie nativa, e crediamo che un effetto simile possa avvenire anche in seguito al rilascio di conigli domestici, almeno in alcuni ambienti».
Aspetti sociali: la percezione del coniglio nei visitatori
Un altro aspetto indagato nella ricerca era invece sulla percezione delle persone nei confronti dei conigli presenti nel parco. Si tratta di uno step importante per poter pensare di mettere in atto, in futuro, strategie di gestione e contenimento: se queste venissero percepite negativamente dai visitatori del parco, infatti, il loro successo potrebbe essere limitato e potrebbero verificarsi conflitti con le autorità incaricate della gestione dei conigli. Sottoponendo dei questionari ai visitatori del parco, i ricercatori hanno potuto notare come la presenza del coniglio non sia vissuta in modo negativo ma anzi vi sia un’interazione stretta, con molte persone che riportano addirittura di essere state in grado d’interagire fisicamente con i conigli presenti. Lungi dal percepirli come una minaccia per l’ecosistema, molti di coloro che hanno risposto ai questionari ritenevano anzi che fossero una presenza positiva per il parco e una piacevole esperienza per i visitatori.
«Questo è per noi un risultato significativo, perché suggerisce che le operazioni di controllo potrebbero essere difficili. Tanto più se si considera che questi conigli popolano una zona mista, che comprende anche terreni privati cui è difficile accedere», commenta Sogliani. «Allo stesso tempo, la maggior parte dei partecipanti al nostro questionario ha mostrato interesse nei confronti di eventuali iniziative educative: questo indica che potrebbe essere importante implementare campagne comunicative e informative che aiutino ad aumentare la consapevolezza della popolazione nei confronti delle specie invasive e del loro effetto sull’ecosistema. Al momento, la popolazione è stata fortemente ridotta da un’epidemia di rabbit hemorrhagic disease, una forma di epatite virale altamente contagiosa e spesso fatale del coniglio, e pertanto questo potrebbe essere il momento migliore per catturare e sterilizzare i pochi animali rimasti».
Sebbene i risultati di questo studio richiedano ulteriori approfondimenti, per esempio per valutare l’impatto dei conigli nell’area, con monitoraggi a lungo termine visto che le popolazioni di coniglio vanno incontro a importanti fluttuazioni nel tempo, questi dati sottolineano comunque l’elevata adattabilità del coniglio domestico, la sua capacità di formare popolazioni capaci di autosostenersi e di essere una specie iconica e altamente apprezzata e quindi potenzialmente difficile da gestire. Risulta inoltre importante indagare le interazioni che possono instaurarsi tra conigli e altre specie come lagomorfi e predatori. La sua capacità di diventare invasivo è comunque ben nota (tanto che il coniglio è elencato nelle 100 specie tra le più invasive al mondo), eppure nei rilasci avvenuti nel Parco del Mincio si coglie ancora una generale inconsapevolezza di quest’aspetto.
«Al di là del fatto che rilasciare in natura un animale domestico è illegale e irresponsabile, i conigli rischiano di causare un danno ecologico non indifferente, soprattutto per l’ambiente ripariale dei laghi di Mantova», conclude Ramj Marco Turetta, naturalista co-autore dello studio. «E anche per quanto riguarda il benessere stesso del coniglio, questa non è certo la soluzione ideale: anche se la presenza di un parco può far pensare a un habitat idoneo, in realtà abbandonare in natura animali di casa li espone a grossi rischi e a un forte stress; infatti, alcuni degli individui che abbiamo osservato, quelli con un fenotipo meno adatto alla vita selvatica, sono scomparsi quasi subito, presumibilmente perché predati più facilmente a causa del loro colore molto visibile o per la loro taglia grande, che li rendeva meno abili nella fuga».
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