DOMESTICI

Un coniglio in casa

Il coniglio è un animale preda, ma anche un animale sociale. Sono entrambe caratteristiche etologiche da considerare per garantire il suo benessere in casa.

Inizialmente allevati per la carne e la pelliccia, i conigli si sono pian piano affermati anche come animali da compagnia. Sebbene non siano disponibili cifre ufficiali specifiche per i conigli, il Rapporto ASSALCO-Zoomark 2019 stima che siano 1,8 milioni i piccoli mammiferi (tra cui i conigli) tenuti come pet in Italia; nel Regno Unito, il 2% della popolazione adulta ne possiede uno. Ma chi è davvero il coniglio? E quali sono gli aspetti etologici da prendere in considerazione per garantirne il benessere in casa?

Il coniglio europeo

Il termine “coniglio” è in realtà piuttosto generico. Identifica infatti sette generi (Brachylagus, Bunolagus, Caprolagus, Nesolagus, Orycatolagus, Pentalagus,, Poelagus, Pronolagus, Romerolagus, Sylvilagus) appartenenti alla famiglia dei Leporidi, ordine Lagomorfi. A quest’ultimo appartengono la famiglia degli Ochotonidi (di cui fanno parte i pica) e quella dei Leporidi, che raccoglie lepri e conigli. L’unica specie a essere stata domesticata è l’Oryctolagus cuniculus o coniglio europeo. Sul quando sia stata domesticata restano però ancora alcuni dubbi. Secondo studio pubblicato nel 2018 sulla rivista Trends in Ecology and Evolution, l’opinione diffusa che le origini domestiche del coniglio risalgano al 600 d.C. non è supportata documenti storici, dai reperti archeologici né dai risultati delle indagini genetiche.

Questo animale sembra essere una delle specie domesticate più di recente. «È probabilmente per questa ragione che il coniglio ha mantenuto molto della sua indole selvatica», spiega a OggiScienza Dario d’Ovidio, veterinario che si occupa di animali da compagnia non convenzionali e specializzato in medicina dei piccoli mammiferi tramite lo European College of Zoological Medicine.

In natura il coniglio europeo è essenzialmente un animale preda, ottimo pasto per un gran numero di predatori dai rapaci ai gradi carnivori. È, inoltre, l’unico leporide sociale. Come spiega un articolo del 2016, forma con i suoi consimili ampi gruppi, delimitati territorialmente (le “conigliere”), con un maschio dominante e diverse femmine e maschi subordinati; la gerarchia è strettamente lineare sia tra i maschi che tra le femmine. La socialità e la natura di preda del coniglio sono due aspetti essenziali da considerare quando si sceglie di accoglierne uno in casa, perché è proprio sulla base di queste caratteristiche etologiche che si può impostare la corretta gestione dell’animale.

In due è meglio… ma con alcuni accorgimenti

«È altamente consigliabile accogliere almeno una coppia di conigli. In compagnia i conigli giocano, si rincorrono e soddisfano tutte le più importanti esigenze etologiche; ciò contribuisce a mantenerli attivi e previene le patologie legate alla sedentarietà», spiega d’Ovidio. «Le coppie ideali sono quelle maschio-femmina oppure femmina-femmina sebbene, a seconda dei casi, possano andare d’accordo anche due maschi: l’interazione è sempre tutta da valutare in base alla personalità e alle esperienze dei diversi individui. Inoltre, è importante prendere conigli dallo stesso gruppo sociale, meglio ancora se della stessa famiglia». I conigli cresciuti insieme, infatti, hanno maggiori probabilità di andare d’accordo, mentre possono dimostrarsi molto aggressivi con i nuovi individui e i morsi, in caso di lotta, causano ferite anche gravi.

«Bisogna fare molta attenzione quando s’introduce un nuovo coniglio in una casa che già ne ospita uno (o più di uno). L’inserimento dev’essere cauto: i primi incontri con il nuovo arrivato devono avvenire in un territorio neutro, lontano da quello normalmente abitato dal “primo arrivato” della casa. È bene inoltre evitare il contatto diretto, lasciando che i conigli si conoscano attraverso, ad esempio, un recinto o gabbie separate e allontanandoli l’uno dall’altro al primo segno di ostilità; le interazioni amichevoli possono essere incoraggiate con il rinforzo positivo e cercando di creare situazioni piacevoli in cui i due individui possano interagire e abituarsi alla reciproca presenza, ad esempio mettendo l’uno accanto all’altro e accarezzandoli», continua il veterinario. «Ma il processo d’inserimento non può essere pensato come immediato. Deve invece avvenire gradualmente e può richiedere settimane o anche mesi; inoltre, non è detto che vada a buon fine».

La caratteristica territorialità dei conigli si mantiene spesso anche negli individui sterilizzati o castrati, soprattutto nelle femmine, perché si tratta di un comportamento che deriva dalla difesa del nido. La sterilizzazione o castrazione restano comunque fondamentali sia per prevenire la riproduzione di una specie notoriamente molto fertile sia per prevenire la territorialità strettamente legata al comportamento riproduttivo. «Non diversamente da quanto avviene ad esempio nel cane, la gonadectomia elimina gli effetti degli ormoni sessuali, ma molto del comportamento dipende comunque dall’indole e dalle abitudini del singolo coniglio. Resta una pratica assolutamente consigliata, che dev’essere effettuata al raggiungimento della maturità sessuale, tra i sei e gli otto mesi d’età, per prevenire le cucciolate e alcune malattie dell’apparato riproduttore. Le femmine di coniglio, in particolare, hanno un ciclo ormonale importante e sono facilmente soggette a tumori dell’utero», spiega d’Ovidio.

E con gli altri animali?

«Molti si stupiscono che il coniglio sia in grado di creare legami molto forti con le persone, ma questo rispecchia la sua indole sociale: cerca l’interazione. Soprattutto in assenza di un conspecifico, i conigli cercano attivamente l’interazione con il proprietario e gli altri membri della famiglia, compresi se presenti gli altri animali domestici», continua il veterinario. Naturalmente, molto dipende dall’indole del singolo individuo e da quali altri animali vivono in casa.

«La letteratura in materia è ancora scarsa, ma in termini di esperienza personale posso dire che i conigli si possono rapportare molto bene con i gatti, mentre l’interazione con i cani può essere difficile se il cane è grande e irruento». Sconsigliata, inoltre, la convivenza con il furetto, che è stato selezionato proprio per la caccia al coniglio.

Essere una preda: i segnali di stress e l’approccio corretto

«Sebbene il coniglio domestico abbia imparato a interagire anche con l’essere umano e altri animali, un’altra ragione per cui è importante che condivida la casa con un suo conspecifico è che “parlano” la stessa lingua e questo garantisce, a un animale pauroso per natura, di rassicurarsi molto più facilmente», spiega d’Ovidio. La natura di preda del coniglio influenza infatti tutto il suo comportamento. In natura, i conigli evitano i predatori rimanendo immobili (il comportamento di freezing), nascondendosi e scappando nei tunnel scavati in terra. Questi stessi comportamenti si riscontrano come segnali di stress nel coniglio domestico.

«Infatti, analogamente ad un coniglio selvatico, anche un coniglio domestico, stressato o estremamente impaurito va in freezing: si schiaccia al suolo con la testa appoggiata al piano e le orecchie indietro. Il massimo indice di stress si raggiunge quando il coniglio vocalizza emettendo delle urla», spiega d’Ovidio. «La comunicazione del coniglio è scarsamente legata alla vocalizzazione: se urla, lo fa quando è terrorizzato o ha un dolore importante. Un altro segnale di nervosismo e fastidio, che si osserva di frequente dal veterinario, è il thumping, ossia sbattere violentemente le zampe posteriori per terra».

Osservare un comportamento del genere è un chiaro indizio che il coniglio percepisce un pericolo, è in allarme ed è estremamente irritato. È, appunto, la natura di preda dell’animale a stabilire che non sia giusto rapportarsi con lui come si potrebbe fare con un cane o un gatto. «Rincorrere un coniglio, prenderlo e sollevarlo bruscamente da terra, sono comportamenti che richiameranno in lui la predazione, spaventandolo», spiega ancora il veterinario. «È preferibile che sia il coniglio a cercare l’interazione con noi e, quando lo manipoliamo, dobbiamo farlo con grande delicatezza. Inoltre, su un coniglio, le urla e le punizioni fisiche sono particolarmente traumatizzanti e assolutamente da evitare». A livello ambientale, il coniglio dovrebbe avere a disposizione un luogo in cui nascondersi e, come ricorda un articolo di qualche anno fa, l’entrata del nascondiglio dovrebbe avere un ingresso grande giusto per il passaggio del coniglio, che mimi le tane scavate in natura.

Paura e aggressività

Un aspetto interessante da notare è che, nonostante la natura di preda del coniglio abbia ancora una parte molto importante anche nel suo comportamento domestico, gli effetti della domesticazione sembrano averla parzialmente modificata. In uno studio pubblicato su PNAS nel 2018, i ricercatori hanno confrontato otto conigli domestici con otto conigli selvatici, studiandone il cervello attraverso con tecniche di imaging a risonanza magnetica ad alta risoluzione. Dai risultati del loro lavoro è emerso che il coniglio domestico presenta una struttura cerebrale alterata rispetto al selvatico, con un’amigdala (la regione deputata al processamento della paura e dell’ansia) ridotta del 10 per cento e una corteccia prefrontale mediana (responsabile invece dei comportamenti aggressivi) più grande dell’11 per cento. In generale, i cambiamenti osservati sembrano essere legati alla minor pressione predatoria cui è sottoposto il coniglio domestico e alla selezione da parte dell’essere umano per una maggior docilità.

Il comportamento nei confronti della nostra specie, inoltre, sembra essere correlato anche al sesso del coniglio. Uno studio del 2016 condotto da d’Ovidio e dai suoi colleghi ha rilevato che le femmine di coniglio tendono a essere più aggressive sia verso il proprietario sia verso gli estranei, mentre i maschi cercano molto più di frequente il contatto. Secondo gli autori, questi risultati potrebbero essere correlati ai modelli comportamentali naturali dei due sessi, ma potrebbero essere amplificati anche dal tipo di legame e dal grado d’interazione che si stabilisce tra i conigli e il proprietario: dai questionari cui erano stati sottoposti questi ultimi era infatti emerso che le femmine sono quelle più di frequente tenute in gabbia, con minor possibilità d’interazione.

«Le conoscenze su quest’animale sono andate aumentando negli ultimi vent’anni, in particolare per quanto riguarda il coniglio tenuto come pet. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per diffondere queste conoscenze tra i proprietari, perché un proprietario poco informato rischia di commettere errori gestionali che pesano sul benessere dell’animale. Oggi, molti tra coloro che scelgono di prendere un coniglio lo fanno mossi dalla convinzione che sia un animale semplice da gestire e ignorandone le necessità etologiche e di cura generale», commenta d’Ovidio. «È vero che la gestione del coniglio presenta degli aspetti di maggior semplicità se confrontata con quella di un cane o di un gatto, ad esempio perché non dev’essere portato fuori e la sua alimentazione si limita a fieno e verdure. Ma la semplicità non può essere un pretesto per curarsene di meno, pensando di poterlo mettere in gabbia con un po’ di mangime, l’esatto opposto di ciò che significa avere un pet: il proprietario dev’essere comunque attento alla salute dell’animale e consentirgli di esprimere tutte le caratteristiche etologiche per garantirgli il benessere psicofisico»


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Foto: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.