I costi dei disastri naturali in Italia
L’Italia è un paese che paga un prezzo altissimo per le calamità naturali: per diminuire questo costo, la messa in sicurezza e la prevenzione sono l’unica strada percorribile.
Un lavoro di ricerca economica porta le cifre: prevenire costerebbe meno che curare anche per quanto riguarda i conti pubblici. Lo studio ha provato a calcolare gli impatti di terremoti, alluvioni ed eventi climatici sulle casse dello Stato, analizzando diversi indicatori. Si tratta di “Natural disaster in Italy: evolution and economic impact”, studio preliminare a firma di Pietro Lazzaretto e pubblicato sul proprio sito da Prometeia, società di consulenza, ricerca economica e sviluppo software.
Lo studio ha individuato 149 calamità naturali sul territorio italiano dal secondo dopoguerra al 2018 e, sfogliando database e testi di interventi legislativi dei vari governi che hanno affrontato le crisi, ha ottenuto una cifra su quanto è stato speso dalla Repubblica italiana: quasi 310 miliardi di euro. La cifra ottenuta è stata calcolata parametrando i costi al valore del denaro nel 2018.
Le alluvioni sono l’evento più frequente (35%), ma quello che impatta più sul piano economico sono i terremoti. Dei 310 spesi in totale, infatti, 150 miliardi e più sono stati destinati alle ricostruzioni a seguito dei sette terremoti più violenti.
I costi della prevenzione e quelli della cura
Sarà pure un vecchio e banale adagio, ma anche i numeri lo confermano: prevenire è meglio che curare. Per quanto sia ovvio sul piano delle vite umane, esso è confermato anche anche su un versante economico. Lo studio di Prometeia, che si rifà a stime dell’Associazione delle Organizzazioni di Ingegneria e di Consulenza Tecnico-Economica, calcola in 36 miliardi di euro quanto costerebbe mettere in sicurezza gli edifici e le strutture più esposte al rischio sismico in Italia. Considerando solo i terremoti in Abruzzo del 2009, in Emilia nel 2012 e nell’Italia centrale nel 2016, lo studio stima in 40 miliardi abbondanti i costi pubblici sostenuti. L’Unione Europea parla di 46 miliardi di danni complessivi: dieci in più di quanto costerebbe un piano intensivo di adeguamento degli edifici nelle zone più esposte ai rischi.
Al momento, però, lo Stato italiano ha allocato poco meno di un miliardo (965 milioni) in virtù di una legge del 2009, promulgata sull’onda del drammatico sisma abruzzese, che ha distribuito questi fondi per i 7 anni successivi, come si legge anche sul sito della Protezione Civile. Una minima parte, quindi, di quelli di cui ci sarebbe bisogno per un territorio che per il 44% della sua estensione è esposto a un rischio sismico giudicato alto. Inoltre, un altro problema del nostro paese è di non avere una tradizione antisismica nelle costruzioni. La prima legge che introdusse criteri di costruzione antisismica risale al 1974, solo 45 anni fa: molto tardi, se si considera che, riporta lo studio, il 60% degli edifici italiani è stato costruito prima del 1971, oltre a un 16% eretto negli anni Settanta che potrebbe non rispettare i criteri antisismici introdotti per legge. Oltre a ciò, le mappe del rischio sismico sono poi state aggiornate ulteriormente negli anni, con la conseguenza che oggi si è anche allargata l’area in cui dovrebbero valere le norme antisismiche previste da quella legge.
Lo strano caso del reddito locale in aumento
Prometeia riporta anche una beffarda anomalia legata ai terremoti: si potrebbe registrare un aumento dei redditi locali in comuni colpiti da sismi. Detto altrimenti: un terremoto può contribuire a migliorare il PIL di un comune. Com’è possibile? La ricostruzione porta con sé un notevole flusso di reddito, scrive Prometeia, che viene immesso dallo Stato nei territori feriti. In occasione del sisma emiliano, ad esempio, nei due anni successivi al terremoto alcuni comuni sono cresciuti del 9%, alcuni distretti industriali anche dell’11%. Cifre paragonabili a quanto successo in Abruzzo tra 2009 e 2011. Inoltre, anche i distretti industriali contigui alle aree colpite, ma al riparo da danni, aumentano spesso i propri volumi assorbendo quote di mercato dei distretti in difficoltà. Ma questa vera e propria bolla è lungi dall’essere positiva: maggiore è l’aumento del PIL locale maggiore è il danno, scrive Prometeia.
Inoltre, il gioco è a somma zero per la collettività. Lo Stato italiano è in sostanza colui che garantisce come “assicuratore finale” per i suoi territori, vista l’assenza di estesi piani privati di assicurazione in caso di calamità naturale. Quella liquidità immessa nei territori colpiti rimane comunque a carico delle casse pubbliche. La ricchezza totale ovviamente non aumenta, anzi. E come abbiamo visto, queste cifre sono maggiori di quelle per mettere in sicurezza. Quello dei redditi incrementati nelle zone colpite è semplicemente un effetto falsamente positivo di durata peraltro molto incerta.
L’Italia e l’European Solidarity Fund
La fragilità dell’Italia è mostrata anche da un altro indicatore. Nell’agosto 2002, una serie di spaventose alluvioni colpì l’Europa centrale, coinvolgendo molti paesi fra cui Austria, Germania e soprattutto Repubblica Ceca. Morirono decine di persone e i danni furono ingenti. Dopo quelle drammatiche alluvioni l’Unione Europea ha inaugurato un programma di aiuti per contrastare i disastri naturali nei paesi membri, il cosiddetto European Solidarity Fund. Da allora, il paese che ha ricevuto più fondi è stata l’Italia.
Dai dati della Commissione Europea si evince come in totale il programma di sostegno sia intervenuto soprattutto in occasione di alluvioni, che sono il disastro naturale più frequente in Europa così come in Italia. Ma, ancora una volta, i conti più salati arrivano dai terremoti. Dal 2002 a oggi l’Europa ha messo nel fondo 5 miliardi e mezzo di euro e l’Italia è il paese che ne ha ricevuti di più, ovvero 2,8 miliardi di euro. Più di metà.
Lo studio di Prometeia, che ha un carattere preliminare per quanto riguarda l’ambito accademico, punta però a stimolare il dibattito non solo nel merito della questione italiana, ma anche in generale sull’economia dei disastri naturali come disciplina scientifica. Un ramo degli studi economici che, purtroppo, potrebbe diventare sempre più rilevante se i cambiamenti climatici faranno aumentare calamità legate a fenomeni meteorologici sempre più violenti. Tendenza che, per altro, è anche evidenziata nel database elaborato, che censisce un numero sempre maggiore di eventi climatici negli ultimi anni.
Leggi anche: La ricerca che ascolta la voce dei torrenti
Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Immagine: Pixabay