STRANIMONDI

Tassonomia draconica, dal folklore a Nature

Cosa succede se i draghi vengono studiati dagli scienziati?

Qui su Stranimondi abbiamo recentemente raccontato come diversi autori fantasy siano stati in grado di raccontare il rapporto dell’uomo con la natura evidenziandone sfumature ed elementi di complessità. Potrà sembrare strano, visto che il fantasy è spesso considerato irrazionale e decisamente poco scientifico, ma si tratta di un mito che si basa su fraintendimenti e pregiudizi. Certo non mancano romanzi, film e giochi di questo genere che giocano sulla facile retorica del “ritorno alla natura”, e su rozze contraddizioni fra boschi verdeggianti e città sporche e caotiche, ma ci sono anche autori che hanno saputo trovare interessanti spunti scientifici per le loro storie di maghi ed eroi.

Tanto che c’è chi, come la giornalista e scrittrice americana Annalee Newitz, sostiene che chi è affascinato da biologia, ecologia e scienze naturali deve rivolgersi al fantasy, più che alla fantascienza, perché è questo il genere che – fatte le dovute eccezioni – riesce a trarre più ispirazione da queste discipline per alimentare la plausibilità dei propri mondi secondari. Newitz cita diversi casi letterari come Ursula Le Guin, George R.R. Martin, Nora Jemisin, Marie Brennan (con il suo Natural history of dragons, non ancora tradotto in Italia), Naomi Novik e Jeff VanderMeer.

Questo interesse di diversi autori fantasy per la scienza vale anche nella direzione opposta: il grande successo di Game of Thrones ha spinto diversi scienziati – fra i quali il famoso divulgatore americano Neil deGrasse Tyson – a fare speculazioni sul volo dei draghi o sull’insolito sistema climatico del mondo creato da George R.R. Martin. Ma il premio per la più interessante disputa fra scienziati su temi fantasy va senz’altro a Peter Hogarth, biologo all’università di York, e Robert M. May, professore di ecologia all’università di Oxford.

Una disputa tra scienziati

Nel 1976, Hogarth pubblicò un articolo sul Bulletin of British Ecological Society dal titolo inequivocabile, Ecological aspects of dragons, nel quale si proponeva di fare una revisione dello stato dell’arte della ricerca su questo taxon estinto. Pur lamentando l’assenza di campioni disponibili da studiare, lo studioso britannico analizzava le dinamiche di popolazione di queste mitiche creature, il loro ciclo riproduttivo – la maggior parte sono ovipari, ma alcuni pare siano vivipari – e le loro necessità alimentari, che di certo devono aver avuto un forte impatto sugli ecosistemi. Si soffermava brevemente sul loro comportamento, sottolineando la possibile esistenza di dimorfismo sessuale e citandone la presunta notevole intelligenza, per poi concentrarsi sulle cause della loro estinzione, avvenuta entro la fine del XVIII secolo e dovuta a una serie di cause non sempre facili da indagare. Una è l’eccessivo sfruttamento a fini commerciali, alimentato dal grande valore di mercato di molte parti del drago (zanne, scaglie, cuore, eccetera), alla quale si aggiunge lo sterminio da parte di cavalieri e santi, e soprattutto la perdita di credibilità. Ma c’è anche la possibilità – molto supportata da Hogarth – che la loro nicchia concettuale sia stata occupata, in tempi più recenti e altamente tecnologici, dagli UFO.

Non passa neanche qualche mese che su Nature uscì un altro articolo sul tema, The ecology of dragons, firmato da Robert May. Il quale in parte riprendeva, lodandone l’importanza, diverse osservazioni del collega di York, sollevando però un’importante critica sull’evoluzione dei draghi e di altre creature a essi legate come viverne, grifoni e cockatrici – che secondo Hogarth si sarebbero separati come un unico gruppo tassonomico circa 5000 anni fa. Un’ipotesi implausibile secondo May, che si soffermò su un particolare tutt’altro che secondario: il numero di arti. Grifoni e draghi, secondo le rappresentazioni classiche prese da bestiari e testi di araldica, ne hanno sei (quattro zampe e due ali) mentre viverne e cockatrici ne hanno quattro (due zampe e due ali). Una delle caratteristiche più conservate dell’evoluzione dei vertebrati è la morfologia tetrapode. Draghi e grifoni sarebbero invece esapodi, e quindi la separazione fra questi due sottogruppi sarebbe dovuta avvenire molto prima, sosteneva May, perlomeno nel Devoniano. Inoltre, la struttura esapode di queste creature le renderebbe più vicine, tassonomicamente parlando, ad altre entità come pegasi, centauri e addirittura gli angeli. Quella degli esapodi, insomma, sarebbe un’intera branca dei vertebrati la cui evoluzione, ed estinzione, rimane avvolta nel mistero. D’altro canto, concedeva May, raggruppare insieme draghi e viverne può aver senso da un punto di vista puramente ecologico e rappresentare quindi un ottimo esempio di evoluzione convergente.

Sarebbe interessante conoscere l’opinione dei due studiosi aggiornata al giorno d’oggi, dove i draghi che appaiono in film e serie tv sono tutti tetrapodi (motivo per cui molti li considerano, forse erroneamente, viverne) proprio perché considerati più realistici, e dove uno studente dell’Università di Leicester, Nathaniel Morris, ha pubblicato nel 2018 uno studio sul Journal of Interdisciplinary Science Topics – una “finta” rivista usata come strumento didattico dall’Università di Leicester per addestrare gli studenti alla peer review – sulle origini genetiche dei draghi dove affronta anche il tema del numero degli arti dal punto di vista della biologia dello sviluppo.

Insomma, quando si parla di fantasia, anche gli scienziati non scherzano. E in effetti sembra davvero che fra fantasy e scienze naturali ci siano tanti elementi di incontro.


Leggi anche: Ancestors the humankind odyssey: il gioco sull’evoluzione che aspettavamo?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Crediti immagine: Pixabay

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.