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Dai neuroni al tatto: capire meglio la sensorialità autistica

Gli stimoli sensoriali, dal contatto fino a luci, rumori e temperatura, possono essere difficili da gestire per un autistico. La ricerca sui neuroni sensoriali aiuta a capire meglio i meccanismi fisiologici dietro questa ipersensibilità.

Tra i tratti tipici dell’autismo c’è una sensibilità particolare, a volte estrema, agli stimoli sensoriali: gli esempi più noti riguardano il tocco leggero e la pressione – forse ricorderete la macchina degli abbracci inventata da Temple Grandin, ispirata ai cattle chute e in grado di calmare persone autistiche tramite l’importante pressione – ma vi sono anche l’ipersensibilità al calore, alla luce, a determinati tessuti e consistenze, ai rumori. Si tratta di stimoli che una persona neurotipica riesce facilmente a filtrare, anche quando ne arrivano molti tutti insieme, ma che possono facilmente sopraffare una autistica e portarla a un meltdown. Uno studio di qualche anno fa su 258 bambini ha mostrato che quasi il 70% dei bambini autistici è ipersensibile agli stimoli sensoriali. Mancano dati su larga scala per gli adulti ma il profilo sensoriale – tramite apposito test – è in genere un elemento nell’iter diagnostico, a qualsiasi età lo si intraprenda.

Complici ricerca scientifica e una maggior conoscenza dei disturbi dello spettro autistico (ASD, autism spectrum disorders), da parte dei professionisti sanitari e del grande pubblico, l’incidenza dell’autismo è andata aumentando negli anni. A oggi le stime per gli Stati Uniti ci dicono che 1 persona su 59 è autistica. Al contempo l’eziologia dell’autismo resta poco chiara e in molti casi la ricerca genetica offre risposte solo parziali, che potrebbero richiedere decenni prima di andare a influire in modo concreto sulla quotidianità degli autistici. Trovare una continuità e un comune denominatore tra i tratti autistici – dalle difficoltà sociali fino a interessi ristretti, ipersensibilità sensoriale, alessitimia… – resta una sfida enorme per la scienza, così come decidere cosa fare di eventuali scoperte apre importanti parentesi etiche.

Un interessante approccio alla ricerca è quello che inizia a guardare anche “al di fuori” del cervello umano. Ad Harvard la scienziata Lauren Orefice coordina un laboratorio dove si studiano le esperienze sensoriali: nello specifico lo sviluppo, il funzionamento e le disfunzioni legate al sistema somatosensoriale. Il lavoro di Orefice e colleghi sul tema è appena stato premiato con il The Eppendorf and Science Prize for Neurobiology per aver mostrato come dei neuroni che controllano il senso del tatto, al di fuori del cervello, abbiano il potenziale di alterare la funzione cerebrale e portare a comportamenti che sono stati associati agli ASD. Una scoperta che si allontana dalla visione dell’autismo come disturbo legato specificamente alle funzioni del cervello mostrando che è, perlomeno, incompleta.

Dal neurone al tatto

La ricerca nel laboratorio di Orefice è svolta su modelli animali specifici per la ricerca sull’autismo (in questo caso topi) e parte dalle conoscenze che già abbiamo sugli stimoli sensoriali: per il tatto, ad esempio, la percezione parte dai neuroni somatosensoriali periferici che ricevono segnali dall’intero corpo umano. Come spiega la scienziata, le reti somatosensoriali nei ratti sono state ampiamente mappate e questo permette di cercare le cellule nelle quali i geni già associati ai disturbi dello spettro autistico (come Mecp2, Gabrb3 e Shank3) possono influenzare la sensibilità al tocco.

“Siamo rimasti piuttosto sorpresi, all’inizio, nello scoprire che un funzionamento scorretto dei neuroni sensoriali periferici contribuisce a comportamenti atipici nei ratti ASD”, ha spiegato la scienziata. Quando i neuroni deputati agli stimoli del tocco lieve sono mutati, ad esempio, la conseguenza è una maggior sensibilità al tocco. Nei topi del tutto privi dei tre geni in questi neuroni, oltre all’ipersensibilità, i ricercatori hanno notato difficoltà sociali e comportamenti associabili all’ansia simili a quelli che sperimentano le persone autistiche. Ripristinare l’attività dei geni ha permesso di ridurre, anche se solo parzialmente, questi tratti.

La domanda chiave, per i ricercatori, resta una: come è possibile che delle mutazioni genetiche a carico di neuroni fuori dal cervello possano andare a influire su comportamenti e difficoltà che, per quanto ne sappiamo, vengono controllati dai neuroni che si trovano all’interno del cervello? Secondo Orefice, decenni di ricerche mostrano che gli input sensoriali guidano lo sviluppo del cervello e il comportamento. Se alterati da mutazioni nei neuroni sensoriali periferici, potrebbero influenzare lo sviluppo e il funzionamento dei circuiti neurali del cervello. Migliorare la funzione dei neuroni periferici, ipotizzano i ricercatori, potrebbe alleviare la sensibilità al tocco ma anche influenzare altri tratti autistici.

Dal laboratorio alla persona

Insieme ai colleghi, Orefice sta iniziando a percorrere proprio questa strada. L’obiettivo di un approccio di questo tipo, a lungo termine, sarà identificare composti che possano agire in modo selettivo sui neuroni sensoriali, riducendone l’eccitabilità senza andare a influenzare il funzionamento del cervello.

A margine, come per molte altre branche della ricerca di base sull’autismo, potrebbe volerci molto tempo perché la scoperta dal laboratorio passi alla vita quotidiana, diventando qualcosa che aiuta effettivamente gli autistici a navigare con meno stress un mondo spesso ostile. Anche se di autismo si parla in genere rispetto all’età evolutiva, non scompare certo crescendo ed è dagli autistici adulti che, molte volte, arrivano gli insight più utili su come funziona un cervello autistico. Ma anche i consigli, per altri autistici, su come gestire meglio difficoltà come quelle sensoriali. Tattili e non. Ambienti per tanti “normalmente” quotidiani come un ufficio open space, un mezzo pubblico con pessima ventilazione e forti odori o un negozio con il riscaldamento troppo alto durante l’inverno possono diventare incredibilmente impegnativi.

Cuffie antirumore, tappi per le orecchie, occhiali da sole, vestiti comodi e in materiali che fanno sentire a proprio agio. Ma anche oggetti antistress (stim-toys come i fidget spinner) che permettono di sfogare le esigenze di auto-stimolazione sensoriali e non (lo stimming). Sono solo alcune delle strategie che si possono mettere in atto per gestire meglio un sovraccarico sensoriale, che è dietro l’angolo in ambienti facilmente gestibili per un cervello non autistico ma spesso complessi da affrontare per chi è nello spettro.


Leggi anche: Se tuo figlio è autistico

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Fotografia: Pixabay
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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".