DOMESTICI

Specie esotiche, il mercato illegale è un problema anche in Italia

Molte specie esotiche sono commerciate illegalmente, nonostante i problemi di sicurezza e i danni che il mercato può causare alle popolazioni in natura. Tra le nuove "mode" c'è il tucano domestico.

Ci è capitato, in alcuni articoli di questa rubrica, di scrivere della corretta gestione di alcuni animali esotici tenuti come pet; tra questi, i pappagalli o alcune specie di rettili. Questi articoli sono introdotti da una nota nella quale, come autrici della rubrica, richiamiamo l’attenzione sulla necessità di acquistare queste specie con la massima consapevolezza. In parte perché si tratta di animali selvatici, non selezionati per vivere accanto all’essere umano, ed esotici, ossia provenienti da habitat ben diversi dai nostri appartamenti. In parte perché, purtroppo, la domanda di acquisto per alcune di queste specie ha alimentato – e in alcuni casi continua ad alimentare – il bracconaggio e un eccessivo prelievo degli animali in natura, con effetti a volte molto gravi sulla loro conservazione.

Una panoramica del commercio a livello globale

Abbiamo già parlato di come l’applicazione della CITES regoli il commercio a livello locale, e di come le leggi italiane sulla detenzione di animali selvatici e pericolosi aggiunga un’ulteriore limitazione al numero di specie che possiamo tenere come pet. A livello globale le offerte del mercato degli animali selvatici sono vastissime. A ottobre, una review pubblicata su Science (della quale OggiScienza ha raccontato qui) aveva mostrato, analizzando i dati di oltre 30.000 specie di animali, che quasi un vertebrato terrestre su cinque è interessato dal commercio. A confermare che il commercio rappresenta anche un importante driver dell’estinzione, gli autori dello studio hanno evidenziato che le specie più a rischio sono anche quelle più commercializzate.

È bene precisare che nell’analisi pubblicata su Science rientrano animali venduti per le più svariate ragioni: finiscono a fare da oggetti d’arredamento, in cucina o nella medicina tradizionale, non solo come pet. A ogni modo, i ricercatori si sono soffermati anche sugli scopi per i quali gli animali vengono venduti, scoprendo che nel mercato dei pet finiscono soprattutto anfibi e rettili.

Alcune specie sono particolarmente rappresentative di quanto la moda di un nuovo, esotico compagno di vita possa danneggiarne la popolazione in natura. Uno degli esempi forse più emblematici è quello del pappagallo cenerino: si tratta di uccello di circa mezzo chilo di peso e noto soprattutto per essere uno dei migliori imitatori della voce umana e per le sue notevoli abilità cognitive, che lo rendono in grado, ad esempio, di fare delle inferenze per esclusione. Nativo dell’Africa equatoriale, è in buona parte alla sua popolarità come pet che si deve l’attuale classificazione di “minacciato” nella Red List della IUCN.

Quest’ultima riporta che, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, il solo Camerun ne ha esportato circa 10.000 esemplari all’anno; se si considera l’elevatissimo tasso di mortalità delle specie catturate (la scheda della IUCN riporta che il 90% degli individui muore prima di raggiungere l’aeroporto), è possibile stimare una quota annuale di circa 100.000 esemplari prelevati in natura. Oggi il commercio è regolato più strettamente, ma resta difficile quantificare la dimensione del mercato illegale.

Il pappagallo cenerino, comunque, non è che uno degli esempi. L’ong TRAFFIC, dedicata al monitoraggio del traffico della fauna selvatica, ne raccoglie molti altri; è il caso dello studio, condotto nel 2018 e relativo alle Filippine, che fotografa il fiorente mercato illegale di rettili di ogni specie, comprese quelle gravemente minacciate, via Facebook.

In Italia, tra controlli e sequestri

Sappiamo che in alcuni Paesi il mercato di animali selvatici propone in vendita nei mercati specie di ogni tipo. L’epidemia di coronavirus 2019-20, ad esempio, ha portato all’attenzione il mercato cinese, dove molte specie selvatiche sono commerciate per la carne o la medicina tradizionale, mentre molte altre diventano pet.  Come ricorda lo zoologo Tom Moorhouse in quest’articolo di National Geographic, all’incirca la metà è commerciata illegalmente.

Cosa si può dire di quanto avviene da noi? Quanto ci investe il mercato illegale? «Il sistema di controllo italiano è molto stringente, anche rispetto ad altri Paesi europei», spiega a OggiScienza il maggiore Marco Trapuzzano, comandante del Nucleo CITES dei Carabinieri di Napoli . «L’applicazione della CITES nel nostro paese coinvolge infatti numerosi soggetti istituzionali: il primo è il Ministero dell’Ambiente, che rappresenta l’autorità di gestione; il Ministero dello Sviluppo economico che è deputato al rilascio di licenze di import ed export ed il Ministero delle Politiche agricole che si occupa della certificazione CITES e che si avvale, per l’espletamento di questa funzione, dei Nuclei CITES dell’Arma dei Carabinieri. Infine, ci sono due forze di polizia militari preposte alla verifica del rispetto della normativa CITES, rappresentate dalla Guardia di Finanza, che si occupa dei controlli doganali, ed i carabinieri dei Nuclei CITES che si occupano dei controlli sul territorio».

Ogni anno fa emergere porzioni di mercato illegale. «I controlli svolti dai 47 uffici nazionali dei nuclei CITES nel 2019, con riferimento specifico agli animali esotici vivi, sono 4765. Gli illeciti riscontrati sono stati 207, per un importo notificato di oltre un milione e mezzo di euro in sanzioni. Il reato scatta nel momento in cui il soggetto (il controllo è eseguito su commercianti, allevatori e privati) detiene un esemplare che figura in una delle categorie tutelate e non è in grado di giustificarne la provenienza ( con certificato o altri documenti richiesti dalla normativa nazionale): nel 2019, i reati perseguiti sono oltre 280, con 235 sequestri», spiega Trapuzzano. Il numero esatto di animali sequestrati non è facilmente quantificabile, perché un singolo sequestro può comprendere anche centinaia di esemplari. «Qualche anno fa, ad esempio, abbiamo sequestrato oltre 300 testuggini tutte insieme: erano state introdotte in macchina, ammassate l’una sull’altra in appena due bacinelle».

Tanto per ribadire uno degli aspetti peggiori del traffico illegali di animali: le condizioni di detenzione durante il trasporto sono spesso atroci e portano alla morte diversi esemplari.

Le specie più sequestrate

«Gli animali che troviamo più di frequente sono le testuggini (Testudo graeca, hermanni e marginata) e vari pappagalli, prevalentemente della famiglia dei Psittacidi (cui appartengono il cenerino e i coloratissima Ara) e cacatua. Abbiamo avuto modo di controllare anche alcuni tucani detenuti da privati, che sembrano rappresentare una nuova moda», continua Trapuzzano. Non tutte queste specie sono – per ora – minacciate in natura, perché la CITES tutela la conservazione per via indiretta, regolando il commercio. In altre parole, una specie non viene necessariamente inserita negli allegati perché la popolazione in natura è a rischio, ma perché la domanda commerciale è molto alta ed è necessario controllarne il flusso. Peraltro, di solito il commercio agisce in sinergia con altri fattori che concorrono a determinare il declino delle specie nell’ambiente naturale; quasi sempre, gli animali devono fronteggiare anche la perdita e la frammentazione dell’habitat e gli effetti dell’inquinamento, senza contare i possibili effetti dei cambiamenti climatici.

Ciò non toglie, comunque, che alcune delle specie ritrovate più di frequente nei sequestri siano invece catalogate con diversi gradi di minaccia nella Red List della IUCN; è il caso della testuggine greca, indicata come “prossima alla minaccia”. O della bertuccia, classificata come “in pericolo” e tenuta sia come attrazione commerciale in alcuni Paesi sia come pet. In Italia, la detenzione è vietata dalla legge 150/92 sulle specie pericolose; e tuttavia, secondo il rapporto Zoomafia 2019 della LAV, la Spagna e l’Italia sono i Paesi che registrano il record d’importazione illegale di questi animali dalle aree native (Marocco e Algeria), e l’Italia sembra rappresentare uno snodo per il traffico verso il Nord Europa

Per altre specie ancora, i dati sullo stato delle popolazioni sono scarsi e non permettono una valutazione certa.

Viaggi internazionali, truffe e abbandoni

bertucce, tigri (ebbene sì: sono ancora di pochi anni fa i sequestri di tigri detenute da membri della criminalità organizzata) e alcuni serpenti velenosi trafficati illegalmente sono prelevati dalla popolazione in natura, ciò non significa che valga per tutte le specie. «Non diversamente da quanto avviene con il traffico dei cani di razza, molte specie provengono da allevamenti di paesi europei dove le normative impongono meno obblighi per l’allevatore», spiega Trapuzzano. «Un’altra fonte sono le grandi fiere di animali esotici all’estero, dove possono essere comprate anche specie da noi vietate» Ne è un esempio la fiera erpetologica di Hamm, in Germania.

«Ma il commercio illegale può nascere anche a livello nazionale. Per le specie più protette, infatti, il proprietario deve denunciare la nascita di nuovi esemplari; quindi, sono effettuati dei controlli per verificare l’origine del piccolo con analisi genetiche (ovviamente, è necessario dimostrare anche la provenienza legale dei genitori). A questo punto, sull’esemplare nato sarà impiantato un microchip identificativo e verrà rilasciata la certificazione CITES attestante la nascita in cattività e, conseguentemente, verrà riconosciuta al soggetto la capacità di commercializzazione dell’esemplare, perché non impattante sulla popolazione esistente in natura. Ciò che a volte può verificarsi è che il proprietario rimuova il microchip dal nuovo nato ( certificato) e lo applichi ad un esemplare della stessa specie prelevato in natura, ma di maggior valore (per dimensioni o caratteristiche fenotipiche) per rivenderlo».

Ai sequestri legati ai controlli si affiancano quelli dovuti agli abbandoni (quando l’animale è troppo cresciuto, o il proprietario si è reso conto che l’impegno di gestione è maggiore di quanto credesse) o eventuali fughe, dei cui recuperi abbondano le cronache. «Nel solo mese di agosto, a Napoli abbiamo sequestrato due poiane di Harris, una specie alloctona usata per la falconeria, e due pappagalli amazzoni. Abbiamo anche ricevuto la segnalazione per un serpente del grano, anch’esso alloctono», commenta Trapuzzano.

Combattere l’illegalità, costruire la consapevolezza

Come avevamo già ricordato parlando della normativa che regola il commercio degli animali esotici, purtroppo la maggior parte degli animali sequestrati non può essere rimessa in natura, anche perché ormai abituati al contatto con l’essere umano, un effetto particolarmente marcato in specie sociali come scimmie e pappagalli. Di conseguenza, dovranno essere accolti nei pochi Centri di Recupero Animali Selvatici ed Esotici (CRAS e CRASE). «Oppure possono, dopo confisca e con permesso del Ministero dell’Ambiente, essere riassegnati ad esempio ad soggetti privati particolarmente qualificati, che li possono detenere nel modo corretto. Naturalmente, non possono essere rivenduti», spiega l’Ufficiale.

Ma, in conclusione, come combattere il fenomeno del traffico illegale degli animali venduti come pet? «Si lavora su due livelli. Il primo è quello delle illegalità che nascono come tali, e che vanno fronteggiate con gli strumenti investigativi a nostra disposizione: conoscenza del fenomeno, controllo del territorio e attività di polizia giudiziaria. Il secondo livello d’azione è lavorare sulla mancanza di cultura, perché c’è anche l’illegalità che passa per l’incoscienza di chi non sa come detenere e gestire gli animali, o non conosce la normativa necessaria per acquistarli», spiega Trapuzzano. Se un animale non è in vendita sul mercato legale, infatti, è facile intuire che non possa essere acquistato come pet: è il caso della bertuccia, che non è certo esposta nelle vetrine dei negozi di animali. Altri casi, però, possono sfruttare più facilmente l’ignoranza dei singoli sulla normativa, e offrire esemplari privi dei necessari certificati.

«Per questo facciamo anche moltissime attività preventiva di sensibilizzazione, a partire dalle scuole, per educare alla sostenibilità e al rispetto della natura», conclude Trapuzzano.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.