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Cresce l’allerta, ma il coronavirus di Wuhan resta un rebus

Per arginare l’epidemia in Cina sono state prese misure senza precedenti: basteranno a evitare una pandemia?

[Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2020 e viene aggiornato dalla redazione di OggiScienza con gli ultimi dati messi a disposizione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità]

L’allarme per l’epidemia scatenata dal coronavirus di Wuhan non si placa e il numero dei contagi deve essere aggiornato di continuo: in Cina il bilancio è di 14.411 casi confermati e 304 decessi. In totale i casi confermati in tutto il mondo sono 14.557 e gran parte delle persone che ha contratto il virus lo ha fatto durante un soggiorno in Cina. Dove purtroppo il numero delle vittime è destinato a salire, perché le autorità sanitarie riferiscono di centinaia di persone ricoverate in condizioni critiche. Per fronteggiare l’emergenza, a Wuhan sono in costruzione due nuovi ospedali da ultimare in tempi record per offrire altri 2.600 posti letto.

Nonostante una decina di città della provincia di Hubei siano state praticamente isolate, il contagio non sembra rallentare. Basta dare uno sguardo alla mappa realizzata dai ricercatori della Johns Hopkins University (Stati Uniti) per farsi un’idea della rapidità con cui si diffonde l’epidemia. Fare previsioni su quel che accadrà è però ancora un azzardo perché, a due mesi dai primi casi di infezione, restano molte incertezze su origini, contagiosità, letalità e modalità di trasmissione del coronavirus. Gli scienziati che studiano l’epidemia e le autorità sanitarie chiamate a gestire il rischio sono di fronte a un vero rompicapo.

Clicca qui per accedere alla mappa interattiva (Johns Hopkins University)

Un rebus a RNA

Per le autorità cinesi l’epidemia sarebbe partita dal mercato del pesce di Wuhan, dove si vendono anche animali selvatici vivi. L’ipotesi più accreditata è che il virus sia di origine animale, ma non è chiaro quale specie lo abbia trasmesso agli esseri umani. Nei giorni scorsi uno studio pubblicato sul Journal of Medical Virology aveva puntato il dito sui serpenti: dopo aver comparato l’RNA del virus 2019-nCoV con quella di altri 276 coronavirus identificati in diverse specie animali, i ricercatori hanno concluso che il nuovo agente patogeno, molto affine a quello che provoca la SARS, sia passato dai pipistrelli ai serpenti e dai serpenti all’uomo. Altri esperti, tuttavia, non sono affatto convinti di questa spiegazione, che al momento resta solo un’ipotesi. È più probabile che il passaggio all’uomo sia avvenuto da un mammifero come il pipistrello, ma a conti fatti l’origine della malattia è ancora misteriosa.

Tanto più che secondo una ricostruzione della rivista medica The Lancet la prima persona in cui è stato riscontrato il nuovo coronavirus non avrebbe mai messo piede al mercato di Wuhan. Molti esperti restano però convinti che l’origine del primo focolaio vada cercata tra quelle bancarelle affollate dove, prima che il mercato fosse chiuso, si vendevano anche animali selvatici in grado di agire da bacino per il coronavirus, compresi pipistrelli e serpenti. Circa due terzi dei primi contagi, del resto, hanno coinvolto persone che avevano frequentato il mercato di Wuhan poco prima di ammalarsi. Difficile però stabilire se il contagio sia partito da un animale infetto o se sia stato diffuso tra gli avventori del mercato da una persona che si è infettata altrove.

Un secondo elemento di incertezza riguarda la contagiosità del virus. Sappiamo che può trasmettersi per via aerea da persona a persona, ma non è chiaro con quanta facilità avvenga il contagio. Un agente patogeno si diffonde velocemente se, in media, ogni individuo infettato contagia più di un’altra persona. Secondo una stima dell’Imperial College di Londra, le persone infettate dal nuovo coronavirus hanno contagiato in media altre 2,6 persone. Se così fosse, saremmo in presenza di un agente infettivo capace di trasmettersi piuttosto velocemente: più o meno come la comune influenza stagionale, ma meno di patogeni molto contagiosi come il morbillo.

Infine, è ancora troppo presto per dire quanto sia pericoloso il nuovo virus: gran parte delle persone infettate guarisce e la letalità sembra inferiore a quella davvero temibile della SARS, capace di uccidere una persona contagiata su dieci. Il bilancio si potrà fare soltanto al termine dell’epidemia, e come andrà a finire dipenderà anche dalle mutazioni che il virus potrebbe subire nel tentativo di adattarsi all’organismo umano, aggiungendo incertezza all’incertezza.

I dubbi dell’OMS

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera il rischio «molto elevato» in Cina ed «elevato» a livello regionale e globale. Diversamente da quanto riportato da alcuni giornali nei giorni scorsi, l’OMS non è stata costretta a correggersi alzando la valutazione del rischio da moderato a elevato: il termine «moderato» era apparso in tre report per un errore di stampa, non di valutazione. Finora l’OMS ha tuttavia scelto di non dichiarare l’emergenza internazionale, confidando che le misure di contenimento prese dal governo cinese riescano a impedire che il contagio si diffonda nel resto del mondo.

Questa cautela, forse eccessiva, si deve probabilmente alle critiche ricevute dall’OMS per avere dichiarato l’allerta internazionale durante le recenti epidemia di Ebola e di Zika, che a posteriori si sono rivelate una minaccia soltanto a livello regionale. Si tratta onestamente di decisioni molto difficili perché devono essere prese in condizioni di grande incertezza. Oggi nessuno è in grado di prevedere come evolverà l’epidemia, ma è proprio per questo motivo che in passato l’OMS aveva preferito dichiarare l’emergenza internazionale, seguendo un principio precauzionale. Better safe than sorry, si dice nella comunicazione del rischio: meglio eccedere nelle precauzioni, anche a costo di essere accusati di allarmismo, piuttosto che doversi scusare per non avere fatto abbastanza quando le cose si mettono male.

Per fortuna, le esperienze pregresse hanno insegnato che la tempestività è cruciale per contenere il contagio e oggi possiamo contare su un sistema di monitoraggio coordinato a livello globale per condividere le informazioni sul rischio e approntare in tempi rapidi le contromisure necessarie. Che l’OMS decida o meno di dichiarare l’emergenza pandemica, l’allarme si è comunque diffuso in tutto il mondo e molti governi si sono già attrezzati per identificare e isolare ogni caso sospetto.

Arginare il contagio

Poiché al momento non c’è cura, e per un vaccino serviranno mesi, in effetti l’epidemia può essere arginata soltanto con l’identificazione e l’isolamento dei casi sospetti. Oltre naturalmente a informare le persone che si trovano nelle aree a rischio sui comportamenti da adottare per proteggersi: lavarsi spesso le mani, evitare luoghi affollati, cuocere bene la carne e lavare con cura frutta e verdura fresca, coprirsi naso e bocca quando si tossisce o starnutisce.

Purtroppo sembra confermato che il virus possa trasmettersi anche durante il periodo di incubazione, che secondo l’OMS può durare da 2 a 10 giorni. In altre parole, il contagio può avvenire anche se la persona infetta non manifesta alcun sintomo. È quel che pare sia accaduto per il primo caso registrato in Germania: un uomo infettato da una collega rientrata dalla Cina che non aveva febbre né altri sintomi tipici della malattia. Sebbene sia un fenomeno comune per i virus influenzali, è considerato un ulteriore motivo di preoccupazione dagli esperti dell’OMS perché renderà più difficile arginare l’epidemia. Gli scanner installati negli aeroporti per misurare la temperatura corporea dei viaggiatori, ad esempio, non potranno rivelare le persone contagiose se non hanno la febbre.

Oggi il grande dubbio è se la Cina riuscirà a contenere l’epidemia entro i confini nazionali. Sebbene il sindaco di Wuhan sia stato costretto a scusarsi per non avere prontamente diffuso le informazioni su quanto stava accadendo quando, a metà dicembre, era ormai chiaro che un nuovo virus aveva contagiato diverse persone, l’allarme si è comunque diffuso più in fretta di quanto non fosse avvenuto con la SARS. E le misure draconiane imposte dal governo di Pechino per contenere l’epidemia non hanno precedenti.

Dal 23 gennaio, Wuhan e una decina di altre città della provincia di Hubei sono praticamente isolate: sospesi a tempo indefinito i trasporti pubblici, chiusi gli aeroporti, predisposti controlli sulle strade principali. Vietati anche molti luoghi pubblici: mercati, parchi, cinema. Nel complesso, le restrizioni hanno coinvolto decine di milioni di persone. Provvedimenti impensabili in molti altri Paesi e non privi di implicazioni etiche, visto che comportano il confinamento in un’area a forte rischio di così tante persone. Nessuno, tuttavia, può dire se basterà e anche questa sarà una lezione importante per il futuro.


Leggi anche: Il coronavirus di Wuhan allarma il mondo

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Giancarlo Sturloni
Sono un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio. Svolgo attività di comunicazione, formazione e consulenza in campo sanitario e ambientale. Sono co-fondatore del collettivo NatCom - Communicating nature, science & environment di Trento. Insegno Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, all’Università degli Studi di Udine e all'Università degli Studi dell'Insubria. Sono autore di diversi libri tra cui "La comunicazione del rischio per la salute e per l'ambiente" (Mondadori Università, 2018) e "Il pianeta tossico" (Piano B, 2014). Con Daniela Minerva ha curato il volume "Di cosa parliamo quando parliamo di medicina" (Codice, 2007).