ANIMALI

Usare strumenti, un’abilità non solo umana

Molti pensano sia una capacità tipica della nostra specie, ma non è affatto così. Quali altri animali usano strumenti nella vita quotidiana e perché?

Usiamo strumenti ogni giorno, per fare un’innumerevole quantità di cose. Abbiamo progettato – e continuiamo a progettare – strumenti diversi per le più disparate attività; e per una determinata azione possiamo usare uno strumento pensato apposta (ad esempio, l’apribottiglie per stappare una birra) o arrangiarci con qualcosa pensato per tutt’altro (come una forchetta per aprire la stessa bottiglia di birra). E sappiamo sfruttare gli oggetti che la natura ci mette intorno, se necessario: i sassi per tenere ferma la tovaglia del picnic, il ramo trovato a terra per camminare più agevolmente.
L’uso di strumenti ha avuto un ruolo centrale nell’evoluzione della nostra specie, e tutt’oggi è una componente base delle nostre vite. Ma che dire del resto del regno animale?

Dagli invertebrati ai vertebrati

Non sempre è facile discriminare se il comportamento di un animale non umano possa essere effettivamente definito “uso di strumenti“. Come scrivono Elisabetta Visalberghi e i suoi colleghi nel capitolo dedicato al tema del testo “APA Handbook of Comparative Psycology”, infatti, a seconda della definizione data, un certo comportamento può o meno essere considerato un vero e proprio “uso di strumenti”. Al di là della definizione specifica, comunque, è certo che non siamo gli unici a impiegare strumenti. Anzi: questo comportamento è stato osservato in insetti, crostacei, ragni, pesci, polpi, uccelli e mammiferi.

Allo stesso tempo, rappresenta un fenomeno abbastanza raro. «Meno dell’un per cento dei generi animali attualmente conosciuti fa uso di strumenti», spiega Gloria Sabbatini, ricercatrice all’Unità di Primatologia Cognitiva e Centro Primati dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR. «In altre parole, si tratta di un fenomeno diffuso, osservato dagli invertebrati ai mammiferi, ma il numero complessivo di specie coinvolte non è alto».

Alcuni esempi dell’utilizzo di oggetti da parte degli invertebrati sono rappresentati dalle formiche tessitrici che, come ricorda questo saggio pubblicato sul sito della Treccani, usano le larve, in grado di secernere seta, per incollare le foglie durante la costruzione o la riparazione del nido. Oppure dai polpi che trasportano i gusci di noci di cocco sul fondale marino per poi nascondervici dentro (sebbene non tutti fossero concordi nel considerarlo un valido esempio di uso di strumenti).

C’è però un’importante differenza da considerare quando si parla di uso di strumenti negli animali non umani. «Mentre negli invertebrati questo comportamento ha un’alta componente genetica, in uccelli e mammiferi è in gran parte appreso nel corso della vita, anche attraverso le interazioni sociali», spiega Sabbatini.

Da una parte, ricorda un numero speciale della rivista Philosophical Transactions of the Royal Society B, ci sono infatti animali che usano gli strumenti in modo fortemente specializzato, nel senso che impiegano un unico strumento e non altri per fare un’unica cosa, e questo comportamento è fortemente insito nel repertorio comportamentale della specie. Dall’altra, gli animali nei quali l’uso di oggetti è più flessibile e deriva dall’apprendimento individuale e sociale.

Dai primati ai corvi, dagli elefanti alle lontre

Alcuni degli esempi migliori in questo senso vengono dalle scimmie, il cui uso di strumenti è stato ampiamente indagato dalla ricerca scientifica. In particolare, tra i casi meglio documentati vi sono quelli che Jane Goodall ha descritto negli scimpanzé (Pan troglodytes). Questi primati rimuovono le foglie da bastoncini che poi infilano nei termitai; gli insetti attaccano “l’intruso”, così che quando lo scimpanzé estrae il bastone lo trova coperto di termiti di cui nutrirsi. Questo sistema di procurarsi una ricca fonte di proteine, che altrimenti sarebbe di difficile accesso, ha attirato l’attenzione degli studiosi, anche perché prevede non solo di usare un oggetto per poter arrivare al cibo, ma anche di modificarlo in modo che funzioni in modo ottimale. Uno studio del 2009, ad esempio, evidenzia come popolazioni di scimpanzé nella Repubblica del Congo modifichino in modo deliberato i bastoncini usati in modo da sfrangiarne un’estremità.

Un altro esempio classico di utilizzo di strumenti da parte dei primati è rappresentato dall’impiego di sassi per rompere noci dal guscio molto duro, un comportamento osservato, in natura, per scimpanzé, macaco cinomolgo, cebo barbuto e quello dal ventre dorato.

I primati, comunque, non sono certo gli unici animali non umani a utilizzare strumenti. Sono stati ampiamente studiati, ad esempio, i corvi della Nuova Caledonia: non solo anch’essi usano bastoncini modificati per procurarsi insetti e larve, ma sembrano anche essere in grado di combinare elementi diversi per ottenere uno strumento funzionale, come ha suggerito uno studio pubblicato su Scientific Reports e condotto su corvi prelevati dall’ambiente naturale. E ancora, gli elefanti asiatici modificano i rami caduti per usarli come scaccia-mosche, mentre alcune popolazioni di delfino si coprono il rostro con spugne per predare sul fondale marino, e le lontre di mare usano sassi per rompere la conchiglia dei molluschi. Recentemente, come OggiScienza ha raccontato qui, uno studio ha anche riportato l’osservazione dell’uso di strumenti nei pulcinella di mare, che si grattano con un bastoncino tenuto tra le zampe.

Per molti animali, comunque, questi comportamenti sono osservati di rado in natura, e più frequentemente in cattività. «È il caso di alcune specie come i bonobo e i gorilla, che in natura, per quanto ne sappiamo, non usano quasi per nulla gli strumenti. In cattività si sono invece dimostrati in grado di usarli, e anche di riconoscere lo strumento adatto per risolvere un determinato compito. A livello cognitivo, dunque, non sembrano avere limitazioni; eppure in natura il comportamento non si osserva», spiega Sabbatini. Una review del 2013 definisce questo fenomeno “bias della cattività” (captivity bias) cercando d’identificare i fattori sociali e ambientali che vi contribuiscono, almeno per quanto riguarda i primati: tra questi, l’autore evidenzia maggiori tempo ed energia a disposizione (ad esempio perché gli animali non si devono procacciare il cibo o monitorare la presenza di predatori) e il maggior contatto con altri individui che utilizzano strumenti, nonché umani che possono indirizzarli.

Questione di cultura

«Per poter usare uno strumento, l’animale deve essere in qualche modo predisposto sia dal punto di vista anatomico sia da quello cognitivo», spiega Sabbatini. «È più facile, ad esempio, osservare questo comportamento in animali che hanno arti adatti ad afferrare un oggetto, come i primati. Oppure in uccelli il cui becco, e la disposizione tra questo e gli occhi, è tale per cui riescono sia a prendere gli oggetti sia a coordinare visione e direzione del movimento, per cui vedono come lo stanno utilizzando. Alcune capacità cognitive favoriscono poi l’abilità di usare strumenti: si tratta ad esempio della propensione a esplorare gli oggetti e combinarli fra loro, la capacità d’imparare dall’ambiente circostante, anche senza avere una ricompensa di cibo immediata (ad esempio attraverso il gioco e l’esplorazione). Anche la socialità favorisce l’apprendimento di uso di strumenti: i piccoli e giovani hanno la possibilità di stare vicino ai compagni e ai genitori e vederli mentre usano strumenti e di interagire loro stessi con gli strumenti e i cibi utilizzati».

Questo tipo di uso degli oggetti, non trasmesso geneticamente, è anche legato al concetto di tradizione culturale negli animali non umani, definibile come “un’informazione o un comportamento, condiviso all’interno di una comunità, che è acquisito dai conspecifici attraverso qualche forma di apprendimento sociale”. «La cultura si perpetua nel tempo: un comportamento compare in una popolazione, all’interno della quale viene diffuso, e poi viene trasmesso verticalmente alle generazioni successive, che lo portano avanti», spiega Sabbatini. E l’utilizzo di strumenti è stato dimostrato rientrare nell’ambito culturale. «Ad esempio, le popolazioni di scimpanzé dell’Africa occidentale utilizzano tronchi o sassi per rompere il guscio di noci molto dure, ma la tecnica non è presente nelle popolazioni orientali. Gli scienziati hanno cercato di capire se questa differenza fosse dovuta a fattori ecologici: se in un’area non sono presenti noci molto dure o sassi appropriati, è ovvio che gli scimpanzé non hanno modo di usare strumenti per aprirle. Invece, le condizioni ecologiche sono risultate comparabili. Questo uso di strumenti può quindi essere considerato “cultura”, che non si è diffusa oltre un certo limite geografico, individuato nel fiume Sassandra in Costa D’Avorio».

Un altro esempio è dato dai tursiopi della Shark Bay, in Australia, che utilizzano le spugne per coprire il rostro quando si foraggiano. Uno studio pubblicato su PNAS nel 2005 ha dimostrato come non vi fosse una componente genetica di questo comportamento, che è piuttosto trasmesso in modo matrilineare, dalle madri alle figlie femmine – e, stranamente, è invece poco presente nei maschi.

La trasmissione culturale nell’uso degli strumenti nel corvo della Nuova Caledonia, invece, si è dimostrata avvenire attraverso un processo che i ricercatori chiamano mental template matching. I corvi non solo hanno le abilità cognitive di utilizzare gli strumenti, ma addirittura, grazie a questo processo, sono in grado di ricrearli se osservano un consimile che ne usa.

Pianificare per il futuro

La possibilità di usare strumenti ha ovviamente molto a che fare con la capacità di risolvere problemi. Ma gli animali non umani sono in grado anche di rivolgere la mente al futuro? La capacità di pianificazione correlata all’uso di strumenti è in effetti stata indagata su diverse specie. Prime tra tutte, quelle dei primati. Uno degli esperimenti più interessanti in questo senso è stato condotto dai ricercatori del Max Planck Institute nel 2006. A un gruppo di oranghi e scimpanzé è stato insegnato a usare uno strumento per raggiungere una ricompensa; quindi, sono stati posti di fronte a un set di vari altri strumenti, tra cui si sono dimostrati in grado di selezionare solo quelli adatti al compito. A questa prima parte di esperimento, che ha permesso di capire che le scimmie sapevano riconoscere gli strumenti necessari distinguendoli da quelli inutili, i ricercatori hanno aggiunto un secondo passaggio: dopo aver selezionato uno strumento, scimpanzé e oranghi erano portati fuori dalla stanza del test, cui potevano accedere nuovamente solo dopo un certo tempo (un’ora all’inizio, poi estesa a 14). Per poter arrivare alla ricompensa, quindi, dovevano portarsi fuori dalla stanza lo strumento adatto e riportarvelo in seguito. In effetti, entrambe le specie hanno dimostrato di saper pianificare l’azione, attrezzandosi dello strumento giusto nella prospettiva di poterlo usare in seguito.

Anche il corvo imperiale, pur non essendo un utilizzatore abituale di strumenti, sembra avere questa capacità. Come OggiScienza ha raccontato qui, infatti, in uno studio del 2017 ha replicato quello condotto su scimpanzé e oranghi: è stato insegnato ad alcuni corvi a usare una pietra oblunga per aprire una scatola contenente una ricompensa in cibo. Quindi, i ricercatori hanno guardato se, in assenza della scatola con la ricompensa, i corvi fossero ancora in grado di selezionare lo strumento giusto, cosa che sono riusciti a fare pur dovendo aspettare fino a 17 ore prima di poter usare lo strumento. Hanno anche dimostrato un certo autocontrollo: in uno degli esperimenti condotti, tra le possibilità di scelta veniva posta anche una piccola ricompensa immediata – che i corvi disdegnavano se potevano avere più cibo a breve distanza di tempo.

Infine, è interessante notare che la pianificazione può avvenire su diversi livelli. Analizzando nel dettaglio l’uso degli strumenti, infatti, gli scienziati hanno anche indagato il livello motorio della pianificazione, che può consentire di capire meglio i processi mentali che avvengono nel momento in cui un animale usa un oggetto a seconda del compito per il quale gli serve. In pratica, uno strumento può essere afferrato con una presa che tenga in conto non solo della forza e della postura necessaria a tenerlo, ma anche di come poi lo vogliamo usare. Questo tipo di pianificazione è presente sia nella nostra specie sia in alcuni primati: uno studio di Sabbatini e dei suoi colleghi, ad esempio, ha dimostrato che si trova anche nei cebi dai cornetti, supportando l’ipotesi che questa capacità sia comparsa precocemente nella linea evolutiva dei primati.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagini: Christian Morel / christianmorel.net / The Nansen Legacy Project

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.