TECNOLOGIA

Covid-19, il ruolo della robotica durante una pandemia

Telemedicina, produzione industriale, interazioni sociali: come la robotica potrebbe aiutarci nel gestire una pandemia (e il futuro).

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Credit: IIT/A. Ajoudani & M. Bianchi

Siamo ufficialmente entrati nella Fase 2 della gestione della pandemia in corso ma che ruolo può avere la robotica? In un articolo su Science Robotics, Guang-Zhong Yang a capo dell’Institute of Medical Robotics della Shanghai Jiao Tong University, si interroga insieme ad altri esperti su quali siano le macroaree in cui sia possibile utilizzare i robot e le tecnologie esistenti per la gestione dell’emergenza dettata dal COVID-19 a livello globale.

Già nel 2015, l’epidemia di Ebola in Africa aprì un dibattito nella comunità scientifica sul tema e in quell’occasione furono definite tre aree di intervento per limitare l’esposizione al contagio.

La telemedicina, con la possibilità di gestione del paziente attraverso i robot, che possono essere facilmente sterilizzati utilizzando la luce ultravioletta. La logistica, per gestire le consegne di farmaci o beni di prima necessità, oppure il trattamento dei rifiuti contaminati. E infine il monitoraggio a distanza, per garantire il rispetto di quarantena e isolamento per i positivi.

La pandemia di COVID-19 ha introdotto una quarta area di sviluppo della robotica: quella del garantire la continuità della produzione industriale, permettendo il mantenimento delle funzioni socioeconomiche. Un aspetto da non sottovalutare, dato che il coronavirus ha rapidamente e seriamente afflitto la produzione industriale e l’economia di tutto il mondo.

Ne abbiamo parlato con Arash Ajoudani, a capo del laboratorio Human-Robot Interfaces and physical Interaction (HRI2) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, che si occupa di robotica collaborativa e in particolare dello studio di interfacce uomo-robot che siano affidabili e intuitive, oltre che a migliorare le prestazioni delle interazioni fisiche uomo-robot-ambiente.

Ajoudani sottolinea che oltre alle quattro aree citate nell’articolo di Science Robotics, un altro aspetto da valutare nella lotta al COVID-19 è quello del mantenimento delle interazioni sociali a chi si trova in isolamento in quarantena.

Per Ajoudani, questo è un buon momento per spingere sulla robotica collaborativa, di cui si occupa nel suo laboratorio: “Nel settore dell’industria, l’implemento nella produzione di robot collaborativi avrebbe permesso nell’emergenza coronavirus di mantenere aperte buona parte delle industrie, garantendo la sicurezza dei lavoratori e limitando l’impatto negativo sull’economia”.

Anche nel campo della medicina, sottolinea Ajoudani, si sarebbero potuti introdurre robot in ospedale, che svolgendo compiti semplici come la consegna di farmaci o la misurazione della temperatura ai pazienti positivi in isolamento, avrebbe ridotto l’esposizione del personale sanitario al contagio.

COVID-19, la robotica e la telemedicina al servizio di pazienti e operatori sanitari

Da un punto di vista medico, durante un’epidemia le aree di maggiore importanza riguardano la prevenzione, la diagnosi, lo screening delle malattie infettive, oltre che l’assistenza e la gestione dei pazienti infetti.

Per questo motivo, spiega Ajoudani, affidare ai robot autonomi o controllati da remoto dagli operatori sanitari alcune “task”, o compiti, molto semplici è un vantaggio. Immaginiamo ad esempio i test diagnostici, che implicano la raccolta, gestione e trasferimento dei tamponi per il COVID-19.

I robot potrebbero velocizzare il processo eseguendo i tamponi in sicurezza, lasciando il tempo al personale sanitario di svolgere altri compiti, spiega Ajoudani: “Per svolgere task facili non c’è bisogno di robot complicati come quelli per la telechirurgia. Un robot su una piattaforma mobile, con una o due braccia meccaniche anche teleoperate da un medico o un infermiere, potrebbe ricevere i pazienti, misurare la temperatura con una telecamera a infrarossi, eseguire un tampone e consentire al personale sanitario di lavorare in sicurezza”.

I canali di trasmissione del COVID-19 sono dopo mesi ancora oggetto di studio, ma sembra assodato da diverse ricerche che, oltre alla al contatto con saliva e secrezioni infette, il contagio possa avvenire anche dal contatto con superfici contaminate. Un altro vantaggio dei robot, quindi, è la semplicità di disinfezione: “I robot possono essere disinfettati ponendoli per 5-10 minuti sotto luce ultravioletta. Un procedimento sicuro, rapido ed economico per la disinfezione delle superfici esposte al virus. Affidando ai robot di cui ora disponiamo compiti semplici negli ospedali, o anche nelle farmacie e in altri luoghi dove ora c’è un contatto diretto tra personale sanitario e soggetti potenzialmente infettati, si riduce esponenzialmente il rischio di contagio”.

Inoltre, permetterebbero un risparmio di tempo per gli operatori sanitari: “Pensiamo anche agli infermieri e ai medici che devono entrare in contatto con un paziente in isolamento, anche solo per consegnare un farmaco, cibo o misurare la temperatura. Impiegano circa 30 minuti per indossare indumenti protettivi, come mascherina, occhiali, guanti e camici. E altri 30 minuti per toglierli. Solo pochi minuti restano a disposizione per il paziente”.

Se si utilizza un robot, invece, quel tempo potrebbe essere destinato ad altro, sottolinea Ajoudani: “Un robot potrebbe far risparmiare circa un’ora di tempo, dato che richiede solo di essere disinfettato in circa 10 minuti sotto la luce ultravioletta dopo l’esposizione. Questo lascerebbe a medici e infermieri la possibilità di dedicarsi a compiti delicati che un robot non può fare, come intubare un paziente o fare prelievi. Oppure quel tempo potrebbe essere impiegato per parlare col paziente, anche se in remoto attraverso il robot, e curare quindi anche l’impatto emotivo dell’isolamento”.

COVID-19, la robotica collaborativa nell’industria

La teleoperazione ad oggi è una tecnologia matura che può trovare applicazione anche nel campo della produzione industriale. L’obiettivo dei robot diventa quello di svolgere lavori che potrebbero risultare noiosi, difficili o anche pericolosi, non solo in tempo di pandemia da COVID-19, ma in un sistema produttivo moderno.

“Ancora oggi nella maggior parte dell’attività industriale il lavoro manuale viene svolto dagli operai – spiega Ajoudani -. Un nuovo trend a cui noi di IIT stiamo lavorando è quello della robotica collaborativa, cioè lo sviluppo di robot che siano abbastanza intelligenti da svolgere una serie di compiti, anche complessi, che possano aiutare e facilitare il lavoro degli operai. Si tratta di sistemi che vogliono offrire soluzioni robotiche non solo alla grande industria, ma soprattutto alle piccole e medie imprese”.

Nel caso del COVID-19, sottolinea Ajoudani, la robotica collaborativa rappresenta elemento chiave per rispettare il distanziamento sociale: “Un robot che lavora in sinergia con un operaio potrebbe facilitare il mantenimento di almeno un metro o 2 di distanza tra i soggetti umani, limitando al minimo il rischio di contagio tra i lavoratori e riducendo l’impatto negativo sulla produzione, e quindi sull’economia”.

La principale limitazione dei robot collaborativi è che sono al momento una soluzione più sicura, ma non più intelligente, spiega Ajoudani: “I robot di cui disponiamo al momento svolgono gli stessi compiti dei robot industriali, quello che chiamiamo il “pick and play”, cioè lo spostamento degli oggetti, ma richiedono comunque un controllo umano. La tecnologia non è abbastanza “intelligente” da rispondere all’esigenze dell’uomo e in caso di problemi sulla linea di produzione, il robot non sarebbe in grado di fare valutazioni e capire come risolvere il problema”.

Al momento sono diversi i progetti di studio in questo campo, spiega il coordinatore del laboratorio HRI2 dell’IIT: “In questo periodo sto coordinando il progetto SOPHIA, che è realizzato dall’IIT insieme ad altri 12 partner tra cui università, industrie private e anche l’Inail. L’obiettivo è creare un robot collaborativo intelligente nel campo dell’industria logistica che limiti il rischio di danni biomeccanici ai lavoratori, come quelli provocati ad esempio dal sollevamento di pesi”.

Un tipo di applicazione robotica che potrebbe essere utile non solo durante l’emergenza COVID-19, ma in generale nello svolgimento di mansioni pesanti: “Il risultato non solo migliorerebbe la sicurezza e la salute dei lavoratori, ma renderebbe anche il lavoro più attrattivo per i giovani nell’industria, che si troverebbero ad assumere nuove professioni al fianco dei robot”.

COVID-19, l’interazione sociale in quarantena

Anche la mancanza o la limitazione di interazioni sociali potrebbero essere alleviate dall’utilizzo della robotica. Si tratta di una sfida importante, quanto delicata, sottolineano nell’articolo di Science Robotics, anche perché le interazioni sociali richiedono la costruzione e il mantenimento di complessi modelli di interazione, che includono anche credenze, emozioni, conoscenze e contesto ambientale in cui l’interazione si svolge.

D’altronde, l’isolamento che stiamo vivendo e la prospettiva in diversi scenari presentati dagli epidemiologi di un lungo periodo di quarantena intermittente, mette a dura prova anche la salute mentale della popolazione.

Chi per esempio è costretto a vivere solo in quarantena, potrebbe trovare benefici nelle interazioni sociali coi robot, spiega Ajoudani: “Oggi disponiamo di strumenti come Google Home e Alexa che sono intelligenze artificiali in grado di fare alcune cose. Sviluppare un robot per le interazioni sociali, che sia in grado di aiutare ad esempio un anziano solo in casa durante l’isolamento a fare sport, parlare o giocare, potrebbe garantire quel minimo di interazione sociale che permette di gestire la quotidianità e ridurre il senso di solitudine”.

COVID-19, quali limiti per i robot nel prossimo futuro?

L’esperienza di Ebola nel 2015, e del COVID-19 ora, hanno fatto emergere le aree della società e del sistema economico umano in cui la robotica potrebbe apportare benefici. Questo è il momento per puntare sulla ricerca e sugli investimenti, sottolinea Ajoudani, dato che una delle grandi limitazioni è proprio il passaggio dal prototipo sviluppato per fini di ricerca del robot collaborativo alla sua produzione su larga scala.

“Spesso i fondi ci permettono di sviluppare un robot e una volta raggiunto l’obiettivo si passa ad altri tipi di ricerche – spiega Ajoudani -, invece sarebbe importante continuare a lavorare sullo stesso prototipo per poi completarlo, migliorarlo e inserirlo nell’ambito socio-economico per cui è stato realizzato”.

Se una delle grandi resistenze all’introduzione dei robot nell’opinione comune è quella che possa “rubare” lavoro all’uomo, Ajoudani conclude: “I robot non possono sostituire l’uomo, ma possono migliorare l’esperienza lavorativa umana lì dove uomo e robot si interfacciano e interagiscono, andando così a lavorare in sinergia. L’emergenza del COVID-19 ci mostra le possibilità di rivoluzione che la robotica offre alla nostra società e quale aiuto avrebbe potuto fornire sia nell’ambito ospedaliero e industriale, che nella gestione della quotidianità in quarantena”.


Leggi anche: Il ruolo di algoritmi e AI nell’emergenza COVID-19

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.