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La plastica ai tempi del Covid-19: nella pandemia, non dimentichiamoci dell’ambiente

Guanti, mascherine, camici monouso. Prima dell’emergenza stavamo lavorando per un mondo plastic-free, ora la questione ambientale sta passando in secondo piano. Servono soluzioni a breve termine per contenere l’enorme massa di rifiuti che stiamo producendo.

Mascherine abbandonate per terra, alla fermata dell’autobus. Bicchieri di carta da caffè dimenticati negli angoli più nascosti della città. Guanti di tutti i tipi lasciati cadere per strada: talvolta sono trasparenti, e ne trovate a decine fuori dai supermercati, mentre svolazzano insieme. In alternativa sono blu, oppure bianchi: non li vedrete quasi mai in coppia, stanno sui marciapiedi oppure infilati nei posti più strani e sono fatti in lattice, in vinile, in nitrile oppure in polietilene. La differenza sta nella resistenza del materiale, nell’ergonomia e nella sensibilità.

Sia mascherine che guanti sono dei dispositivi di protezione necessari per frenare il contagio da Covid-19. Insieme al distanziamento sociale, saranno gli strumenti che ci permetteranno di passare dalla “fase 2” a una lenta ripresa di tutte le attività sociali e produttive. Se da un lato ci permetteranno di contenere l’emergenza pandemica, dall’altro sono fonte di un nuovo problema: l’inquinamento ambientale da plastica, oltre che una mole di materiale difficile da smaltire in modo sostenibile.

La lotta alla plastica degli ultimi anni

Ne produciamo troppa, la utilizziamo anche quando non serve, la smaltiamo male. L’ambiente è pieno di rifiuti plastici ai quali servono secoli e secoli per decomporsi. Pensiamo all’ormai famosa “isola di plastica”, il cui ritrovamento ha sicuramente prodotto degli effetti importanti sull’opinione pubblica. Formatasi nell’Oceano Pacifico a causa delle correnti marine, si tratta di un agglomerato  ampio tre volte la superficie della Francia, formato da imballaggi, reti da pesca e oggetti vari, risalenti anche agli anni ‘70. Più dell’80% del materiale controllato dai ricercatori contiene sostanze tossiche; inoltre, rappresenta un pericolo a causa delle microparticelle che vengono ingerite dalla fauna marina. Secondo uno studio del 2019 commissionato dal WWF e condotto dall’Università di Newcastle ogni settimana ingeriamo 5 grammi di plastica, contenuti nell’acqua che beviamo, nel pesce e nei frutti di mare.

Il parlamento Europeo ha raccolto l’istanza di cambiamento che arriva dall’opinione pubblica e dal mondo dell’attivismo, la quale va verso una progressiva diminuzione della produzione e dell’utilizzo della plastica. Nel 2018, a decorrere dal 2021, ha approvato la SUP – Single Use Plastics, mettendo a bando tutti gli oggetti di plastica monouso per i quali esistano delle alternative in commercio. Sempre nello stesso anno in Italia sono stati sostituiti i sacchetti di plastica nei reparti ortofrutta dei supermercati con degli equivalenti biodegradabili, mentre a partire da gennaio 2020 è stata approvata nella legge di Bilancio la cosiddetta plastic tax, una tassa che grava su produttori, fornitori e consumatori finali. Niente più cannucce di plastica nei bar quindi, sostituite da fantasiose alternative biodegradabili o lavabili, niente più posate e piatti di plastica: via libera a mater-bi, prodotti derivati dalla Canapa e altre bioplastiche.

Una battuta d’arresto

Tutto ciò, fino al Covid-19. Per molti settori, la condizione per tornare alle proprie attività è quella di dotarsi di dispositivi monouso. Secondo la normativa Inail, ad esempio, i parrucchieri dovranno essere in possesso di “borsa/sacchetto individuale monouso per raccogliere gli effetti personali del cliente da restituire al completamento del servizio” e dovranno “fornire al cliente durante il trattamento/servizio una mantella o un grembiule  monouso ed utilizzare asciugamani monouso; se riutilizzabili, devono essere lavati ad almeno 60°C per 30 minuti. Una volta utilizzati debbono essere posti e conservati in un contenitore con un sacco di plastica impermeabile poi chiudibile”.

Per quanto riguarda i bar, fino ad ora sono permessi solo l’asporto e il take away: i prodotti spesso vengono serviti in contenitori raramente smaltibili nella raccolta differenziata. I servizi alla persona che non possono garantire la distanza interpersonale consentita, come i centri per disabili o le case di riposo, devono dotarsi di camici di plastica monouso per tutti gli operatori. Insieme a guanti e mascherine, questi ultimi devono essere buttati nell’indifferenziata, possibilmente previo inserimento in un sacchetto di plastica chiuso.

L’utilizzo di questo materiale plastico non può essere ridotto. Essendo ad alto impatto ambientale, necessita però di norme specifiche per essere smaltito correttamente. Ne parla a Radio3 Scienza Claudia Brunori, dell’ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Se tutti le utilizzassimo, ci troveremmo ogni giorno a dover smaltire 40 milioni di mascherine chirurgiche monouso. Essendo composte da più materiali, quali il ferretto sul naso e gli elastici sulle orecchie, anche sanificandole non potremmo mai differenziarle. Parliamo di 120 tonnellate circa di materiale plastico al giorno (senza considerare guanti e camici) nelle nostre discariche. Se nella fase acuta dell’emergenza pandemica era comprensibile che la questione passasse in secondo piano, alla lunga questo rappresenta un problema al quale bisogna trovare una soluzione.

Proposte in campo

Secondo la dottoressa Brunori, bisogna ripensare completamente il ciclo produttivo di questi dispositivi di protezione, in modo da poterlo alla fine chiudere sanificando e differenziando i vari materiali. E, cosa molto importante, queste soluzioni devono essere disponibili nel breve periodo.

La proposta è quella di produrre delle mascherine di cotone lavabili, contenuti all’interno un filtro monouso di tessuto-non tessuto uguale a quello delle mascherine chirurgiche. Tale filtro potrebbe essere conferito in appositi contenitori, posti fuori dai supermercati e in vari luoghi della città. Le caratteristiche? Dovranno essere chiusi e avere un sistema per sanificare immediatamente i rifiuti. Sarebbero molto probabilmente adatti anche a smaltire altri dispositivi di protezione, come guanti e camici. L’idea in più: a ogni utilizzo potrebbe essere emesso un gettone valido per l’acquisto di altri filtri. In questo modo, oltre a incentivare l’utilizzo di un tale sistema, si promuoverebbe l’idea della partecipazione attiva delle persone e la consapevolezza di tutti i cittadini.

Si tratterebbe di un sistema di smaltimento efficace, in quanto prenderebbe in considerazione sia la sicurezza delle persone, sia la questione ambientale. A causa di questa emergenza che sta stravolgendo le nostre vite qui ed ora, non possiamo infatti dimenticare il problema dell’inquinamento.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Francesca Zavino

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Francesca Zavino
Laureata in filosofia, ho fatto il mio ingresso nel mondo della scienza grazie al Master in Comunicazione Scientifica alla Sissa di Trieste. Quello che più mi interessa è avere uno sguardo aperto, critico e attento sull'attualità e sul mondo scientifico, grazie ai mezzi che la filosofia mi ha fornito durante gli anni