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Bluma Zeigarnik. Al crocevia tra psicologia e psichiatria

A lei dobbiamo l'analisi dell'effetto mentale che porta il suo nome: perché ci ricordiamo meglio le cose lasciate a metà?

Vi è sicuramente capitato di non riuscire a togliervi dalla testa una canzone, o una persona. Oppure di ricordarvi perfettamente il finale di stagione di una serie tv anche a mesi se non anni di distanza quando siete pronti sul divano per guardare la nuova stagione. In psicologia questo strano effetto della nostra memoria si chiama effetto Zeigarnik dal nome (da sposata) della più importante esponente della psicopatologia sperimentale del secolo scorso.

Tra l’Unione Sovietica e la Germania: gli anni della formazione

Zhenya Bljuma Vul’fovna nacque il 27 ottobre – o 9 novembre secondo il calendario russo – 1901 a Pernai, in Lituania. I suoi genitori, Volf Gerstein e Ronya, erano di origine ebraica ed erano proprietari di una piccola bottega in città. Erano molto colti e attenti all’educazione della loro unica figlia. In casa si parlava, oltre il russo, anche l’yiddish, “la lingua degli adulti” come la ricordava Bluma, perché i suoi genitori la usavano di fronte a lei per non renderla partecipe delle “cose degli adulti”, anche se la bambina lo capiva benissimo.

Nel 1916 s’iscrisse al ginnasio femminile di Minsk, dove studiò lingue. Nel 1918 ottenne il diploma e decise di proseguire gli studi aggiungendo al suo curriculum anche matematica, scienze naturali, fisica, pedagogia e altre materie. Nello stesso anno tentò un esame di ammissione per corsi superiori necessari per accedere all’università, esami molto più difficili per lei che arrivava da una scuola femminile. Nonostante l’alto punteggio, le fu consigliato di seguire corsi di logica e psicologia.

È in questo periodo che conobbe Albert Zeigarnik, con cui si sposò nel 1919. La famiglia non era molto contenta della scelta della figlia diciottenne, ciononostante aiutarono la coppia a trasferirsi a Berlino nel 1922, dove Bluma s’iscrisse a filosofia.

All’università seguì i corsi di Wolfgang Köhler, Max Wertheimer e Kurt Lewin, tre tra i maggiori esponenti dalla corrente della psicologia della Gestalt. Furono soprattutto i corsi di Lewin a interessarla di più, un professore giovane per la media dei docenti tedeschi i cui interessi scientifici spaziavano dalla psicologia clinica alla metodologia della ricerca. Lewin incoraggiava le discussioni tra i suoi studenti e puntava l’attenzione sulla necessità della verifica sperimentale delle proprie ipotesi. Presto Bluma cominciò a seguire gli esperimenti di Lewin, laureandosi in filosofia nel 1925.

On finished and unfinished tasks

La storia vuole che Bluma stesse cenando in un ristorante a Vienna quando, osservando i camerieri al lavoro, le balenò nella mente il soggetto del suo studio più celebre, pubblicato nel 1927 sulla rivista Psychologische Forschung e argomento della tesi di dottorato che difese nel luglio dello stesso anno, sotto la supervisione di Lewin.

Bluma notò che i camerieri riuscivano a ricordare a mente tantissime ordinazioni ma una volta serviti i piatti dimenticavano ciò che avevano appena portato al tavolo. Quello che incuriosì Bluma era che, a distanza di un po’ di tempo, i camerieri tendevano a ricordare meglio gli ordini lasciati a metà. Forte dell’insegnamento di Lewin, cominciò a verificare la sua ipotesi.

A 164 soggetti e a due differenti gruppi – uno di 47 adulti e l’altro di 45 bambini – furono presentati una serie di compiti e operazioni da completare in un tempo massimo di 5 minuti. Bluma doveva interrompere alcune delle operazioni, senza un preciso pattern, chiedendo al soggetto di passare a un nuovo compito. Al termine di tutte le operazioni, Bluma chiedeva al soggetto quali operazioni aveva svolto. Confermando quanto visto nel caffè a Vienna, i compiti interrotti erano ricordati meglio del 50% rispetto a quelli completati.

Immediatamente ribattezzato effetto Zeigarnik, Bluma provò che i compiti lasciati a metà rimangono meglio impressi nella nostra mentre per il 90% nei soggetti adulti e per il 110% nei bambini. Le motivazioni di questo fenomeno Bluma le rintracciò da una parte nello “shock” dell’interruzione che enfatizzava la prova stessa e una non poca dose di voglia di riprendere il lavoro interrotto. Vale a dire che tutti noi non vediamo l’ora di rimetterci a fare quel qualcosa lasciato a metà.

Due nuovi mentori

Quando nel 1931 il marito ottenne una posizione all’interno del Ministero sovietico per il commercio estero, la coppia si ritrasferì a Mosca e Bluma prese servizio come patopsicologa (oggi diciamo psicopatologa) accanto a Lev Vygotsky all’Istituto per l’attività superiore nervosa, che aveva da poco riorganizzato la sezione di medicina sperimentale accogliendo anche neuropsicologi clinici.

Il clima ostile poco incline all’apertura verso l’Occidente dell’Unione Sovietica dei primi anni Trenta le causò non pochi problemi sia professionali sia familiari. Nel 1935 dovette prendere un nuovo diploma in scienze biologiche perché il suo dottorato tedesco non era riconosciuto in URSS: in questa circostanza le venne rubata da casa la tesi che stava preparando, costringendola a dover bruciare le bozze che aveva con sé per paura di essere accusata di plagio. I bolscevichi cominciarono a censurare il lavoro di molti scienziati russi e Bluma perse i contatti con i suoi colleghi tedeschi. Nel frattempo erano nati i suoi due figli, Yuri (1934) e Vladimir (1939). Poi, all0 scoppio della Seconda guerra mondiale, la vita personale di Bluma va a pezzi. Nel 1940 il marito viene arrestato con l’accusa di essere una spia tedesca e deportato in un gulag da cui non ritorna mentre lei viene perseguitata per le sue origini ebraiche. Ostracizzata e sola, per Bluma fu fondamentale il sostegno di Alexander Lurija, suo collega nelle ricerche sulle lesioni cerebrali e i metodi di riabilitazione di pazienti dopo lesioni gravi. Nel 1941 fu spedita in un distaccamento dell’Istituto nell’oblast di Čeljabinsk, sugli Urali, dove rimase fino al 1943.

Dopo la repressione, il successo

Dopo la guerra, diresse il laboratorio di psicologia dell’Istituto di psichiatria, alla cui creazione partecipò attivamente, occupandosi principalmente dei disturbi del pensiero. Fu in questo periodo, al crocevia tra psicologia e psichiatria, che la psicopatologia sperimentale venne costituita come branca della psicologia, facendo una sintesi delle teorie di Vigotsky e Luria. Considerata tra le fondatrici della nuova disciplina, Bluma nel 1949 venne nominata professoressa di patopsicologia all’università statale di Mosca, posizione che dovette abbandonare pochi mesi dopo per la campagna anti semita del regime staliniano. Potè riassumere la carica nel 1957 e la mantenne per altri dieci anni.

Tra gli inizi degli anni Sessanta e il 1988, anno della sua morte, Bluma riprese a pubblicare i e finalmente, caduta la cortina di ferro, a oltre cinquant’anni dalla pubblicazione dell’articolo che la rese mondialmente nota, l’intera comunità scientifica ha potuto conoscere la persona dietro alla firma di B. V. Zeigarnik, trovando con enorme sorpresa una piccola anziana signora con alle spalle anni di ricerca con i maggiori esponenti della moderna neuopsicologia.


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Immagine: Wikimedia Commons

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Serena Fabbrini
Storica della scienza di formazione, dopo un volo pindarico nel mondo della filosofia, decido per una planata in picchiata nella comunicazione della scienza. Raccontare storie è la cosa che mi piace di più. Mi occupo principalmente di storie di donne di scienza, una carica di ispirazione e passione che arriva da più lontano di quanto pensiamo. Ora dedico la maggior parte del mio tempo ai progetti di ricerca europei e alla comunicazione istituzionale.