Se il gatto è un copione
Uno studio suggerisce che anche i gatti possano imitare le azioni umane, un’abilità finora osservata solo in poche altre specie
Copycat, in inglese, è il termine che indica il “copione”, l’“emulatore”, come probabilmente ben sa chi ama le serie televisive sui serial killer, nelle quali è impiegato quando un assassino ne imita un altro. Eppure, la parola dovrebbe avere poco a che fare con i gatti perché – almeno finora – non sono stati animali noti per la loro capacità d’imitare le nostre azioni. A settembre, comunque, uno studio pubblicato su Animal Cognition riporta di un gatto in grado di riprodurre alcune azioni umane in condizioni sperimentali. Basato su un metodo di training denominato Do as I do, il lavoro offre un nuovo indizio sulle abilità socio-cognitive dei gatti, che stanno interessando la ricerca scientifica solo da tempi relativamente recenti.
Provare con i gatti
Alcuni animali sembrano imitare le azioni umane senza grossi problemi. Lo fanno i delfini e le scimmie, per esempio. Proprie per queste ultime, e più in particolare per gli scimpanzé, negli anni ’50 due ricercatori, Keith e Catherine Hayes, avevano sviluppato un metodo per insegnare loro a copiare alcuni nostri comportamenti; diversi anni dopo, quel metodo è stato adattato da altri ricercatori per essere impiegato sui cani. È quello oggi noto come Do as I do (“Fai come me”): nella sua versione finale, messa a punto da Claudia Fugazza, ricercatrice alla Eötvös Loránd University e prima autrice anche del nuovo lavoro sui gatti, e dai suoi colleghi, è stato impiegato per dimostrare che i cani erano in grado di prodursi anche nell’“imitazione differita” – erano cioè in grado non solo di copiare un’azione ma anche di attendere il comando per farlo. Apparentemente banale, rivela in realtà che i cani sono in grado di trattenere anche la rappresentazione mentale di quell’azione per ripeterla a distanza di un certo periodo di tempo.
Come abbiamo già avuto modo di scrivere in altre occasioni, delle capacità socio-cognitive dei gatti ancora relativamente poco. Gli studi hanno comunque già cominciato a rivelare che non sono poi così indifferenti – come vengono spesso rappresentati – all’interazione con la nostra specie. Oltre a impiegare alcuni segnali di comunicazione che non usano tra loro, sanno, per esempio, interpretare il gesto di pointing (la puntatura del dito) e anche le indicazioni date con lo sguardo. Non era però noto se fossero in grado d’imitare le nostre azioni. L’informazione non è fine a se stessa ma ci rivela se sono in grado, per esempio, di mappare mentalmente le nostre parti del corpo (e quindi di un animale di specie diversa) e metterle in relazione alle loro.
Fai come me
Ebisu, una gatta giapponese di undici anni, ha dimostrato di essere perfettamente in grado di farlo. I ricercatori hanno impiegato il metodo Do as I do in una versione modificata nella quale, invece di testare diversi soggetti facendo loro compiere due diverse azioni con uno stesso oggetto, veniva testato un singolo soggetto (Ebisu, appunto), su diverse azioni. L’aver potuto lavorare con un gatto non è scontato: in genere, infatti, questa specie è meno motivata dal cibo rispetto ai cani, per cui risulta anche più complessa da addestrare (anche se, come OggiScienza aveva raccontato qui, non è un compito impossibile). Ebisu, in particolare, era una gatta di famiglia che, scrivono i ricercatori, era anche molto motivata dal cibo. La sua padrona, trainer di cani, aveva quindi già potuto lavorare con lei impiegando il metodo Do as I do.
Il test si è svolto nel negozio d’animali della proprietaria di Ebisu perché, come spiega un articolo su Science, la gatta era spaventata dagli estranei. Vale la pena ricordare qui che, in effetti, un altro problema del condurre test sperimentali con i gatti è il loro essere anche meno abituati a uscire, e quindi il trovarsi in un ambiente nuovo come un laboratorio può rappresentare una situazione di stress che influenza i risultati.
Alla gatta, posta di fronte alla sua padrona, è stato chiesto di copiare alcune azioni che le erano già note, aprire un cassetto e mordere una stringa, e due azioni nuove – sempre secondo lo schema del Do as I do, per cui attendendo il comando: toccare una scatola con la zampa e strofinarvi sopra il volto/muso.
Il test è stato ripetuto 16 volte, ed Ebisu ha copiato correttamente l’azione nell’81 per cento dei casi. Usando anche la parte corretta del corpo, a indicare che, in effetti, era in grado di mappare mentalmente le nostre mani e il nostro viso e riprodurne i movimenti. Purtroppo, non è stato possibile procedere con altri test: Ebisu era malata, ed è morta a giugno. Comunque, scrivono i ricercatori, i risultati ottenuti con lei, pur essendo quelli provenienti dal lavoro con un singolo gatto, potrebbero essere replicati. Saranno anche necessarie ulteriori ricerche per capire se tali risultati possano essere generalizzati ai gatti domestici. Intanto, comunque, il lavoro ha potuto dimostrare sperimentalmente, per la prima volta, che anche i gatti possono, almeno in alcune condizioni, essere in grado d’imitare le nostre azioni, a ulteriore conferma che le loro abilità socio-cognitive meritano di essere approfondite.
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