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Cause di morte, l’inquinamento è al quarto posto

Nel 2019 quasi sette milioni di persone sono morti per cause legate alla bassa qualità dell’aria. I dati del rapporto State of Global Air.

Il report The state of global air 2020 ci racconta in che stato è l’aria che respiriamo sul nostro pianeta. Realizzato dall’Health Effects Institute (HEI), dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) e dalla University of British Columbia il report è giunto quest’anno alla sua quinta edizione. Questo studio ci racconta di un mondo spaccato in due: mentre i paesi africani, asiatici e mediorientali stanno soffrendo di un inquinamento atmosferico ben oltre le soglie di tollerabilità stabilite dall’OMS, nei paesi “più ricchi” esso appare più sotto controllo (sebbene in molti casi vengano comunque superate le soglie raccomandate). È infatti proprio nel cosiddetto “sud del mondo” che le conseguenze dell’inquinamento atmosferico sono più gravi.

L’inquinamento atmosferico: i dati

Il report è diviso in due parti: la prima è dedicata a descrivere e quantificare tre tipi di inquinamento atmosferico, e la seconda studia l’impatto di questi inquinanti sulla salute umana. I tre tipi di inquinanti analizzati sono: il particolato PM2,5, l’ozono troposferico e l’inquinamento domestico.

Il PM2,5, è descritto dal Ministero della Salute come “l’insieme delle particelle atmosferiche solide e liquide sospese in aria ambiente. Il termine PM2,5 identifica le particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 µm”. L’ozono troposferico è invece un “inquinante secondario che si forma attraverso processi fotochimici in presenza di inquinanti primari quali gli ossidi d’azoto (NOx) e i composti organici volatili (COV)” (Ministero della Salute).
Infine, gli inquinanti domestici sono per lo più causati da combustibili solidi utilizzati per riscaldare le abitazioni o cucinare in assenza di metodi più sicuri. Esso è causato dalla combustione senza una adeguata areazione di legna, carbone, sterco animale o altro all’interno delle mura domestiche.

Come possiamo vedere dai grafici, i paesi più colpiti da questi tre tipi di inquinamento sono certamente quelli africani e asiatici. L’OMS raccomanda che l’esposizione della popolazione al particolato PM2,5, non superi i 10 μg/m3. Nel 2019 ben il 90% dei paesi del mondo ha superato questa soglia, e in alcuni casi di molto (i dati sono ponderati in base alla popolazione). India, Nepal e Niger hanno registrato numeri oltre gli 80 μg/m3; Qatar e Nigeria sopra i 70 μg/m3 ed Egitto, Mauritania, Camerun, Bangladesh e Pakistan oltre i 60 μg/m3. L’Italia si è mantenuta tra i 30 e i 45 μg/m3.  I paesi del mondo dove il particolato PM2,5 rispetta invece la soglia consigliata dall’OMS sono Australia, Brunei, Canada, Estonia, Finlandia, Islanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e USA.

Sebbene molti stati abbiano effettuato importanti cambiamenti per abbassare i livelli di esposizione al particolato, purtroppo molti dei paesi più inquinati sono anche quelli che negli ultimi 10 anni non solo non hanno migliorato la situazione, ma devono convivere oggi con un aumento del particolato nell’atmosfera, di ben 7,5 μg/m3 in Nigeria, di 7 μg/m3 in Bangladesh, e di 6,5 μg/m3 in India. Egitto, Tailandia e Vietnam invece i paesi più virtuosi della rosa, che hanno diminuito in un decennio la presenza di particolato nell’aria di molti microgrammi.

Relativamente all’ozono, l’OMS raccomanda di non superare l’esposizione a oltre 50 ppb (parti per miliardo) in 8 ore. Anche in questo caso sono molti i paesi, soprattutto dell’Asia e del Medioriente, che superano la soglia raccomandata. Il Qatar e il Nepal per esempio sono primi in questa classifica con 67 ppb rilevate. Cina, Russia e Filippine sono stati invece i paesi che nell’ultimo decennio si sono impegnati di più per ridurre l’inquinamento da ozono.

Infine l’inquinamento domestico: ben il 49% della popolazione mondiale fa ancora affidamento sui combustibili solidi per cucinare e riscaldare la casa. 3,8 miliardi di persone ogni giorno sono quindi costrette a respirare aria inquinata all’interno delle loro abitazioni, soprattutto in Africa e in Asia meridionale. Nell’ultimo decennio in Cina sono diminuite di 220 milioni le persone che facevano affidamento su questo tipo di combustibili, riducendo la quantità di popolazione esposta a rischi connessi dal 54% al 36% della popolazione. Anche l’India, nell’ultimo decennio, ha fatto in modo che le persone che utilizzavano questo tipo di combustibili pericolosi passasse dal 73% al 61%, numeri comunque molto elevati. Paesi come la Nigeria invece, sebbene si sforzino di rendere più comuni altri tipi di combustibili domestici più sicuri, si scontrano però con un forte aumento demografico, che rende più difficile la diminuzione di persone esposte all’inquinamento domestico. Il paese è infatti passato dall’82% della popolazione che usa combustibili solidi al 77%, ma il forte aumento demografico fa si che ben 29 milioni di persone siano ancora nelle condizioni di dover ricorrere a quel tipo di combustibili.

Inquinamento come causa di morte: i dati

Nel 2019, l’inquinamento atmosferico è passato dall’essere globalmente il quinto fattore di morte al mondo al quarto, preceduto solo da malattie connesse all’obesità, fumo e ipertensione. Ben 6,67 milioni di persone sono infatti morte per cause legate alla bassa qualità dell’aria nel 2019. È stato inoltre calcolato quanto la qualità dell’aria incida sulle morti dei neonati: l’inquinamento atmosferico è stato tra le cause nel 2019 di circa 476.000 morti tra i neonati nel primo mese di vita, attestandosi come la causa del 20% delle morti di neonati al mondo. Il PM2,5 ha causato 4,14 milioni di morti, l’ozono troposferico ha rappresentato la causa di circa 365.000 decessi e l’inquinamento domestico ne ha causate 2,31 milioni. Nel complesso, queste forme di inquinamento atmosferico hanno rappresentato la causa di morte per più di 1 su 9 decessi in tutto il mondo nel 2019.

India, Cina e Pakistan negli ultimi 10 anni hanno visto purtroppo aumentare le morti legate al PM2,5: +373.000 morti in India, +238.000 in Cina e +35.000 in Pakistan. La Russia invece ha visto nell’ultimo decennio un calo di morti legate a questo inquinante atmosferico (-48.400).

L’India è purtroppo in testa anche nella classifica dell’andamento delle morti legate all’ozono nell’ultimo decennio, con +76.500. La Cina invece vede un calo di -51.700 casi.

Non sono stati rilevati paesi in cui sono aumentati, rispetto a un decennio fa, i morti per inquinamento domestico. Cina e India sono i paesi in cui è diminuito di più il numero di morti legate a questo tipo di inquinamento, con -236.000 morti in Cina e -208.000 in India negli ultimi 10 anni. Le misure che hanno portato a questi miglioramenti sono imputabili alla diffusione su larga scala di combustibili sicuri come il GPL.

In questo report è stata infine data particolare importanza alla salute di madri e neonati in relazione all’inquinamento atmosferico. Le donne che sono cronicamente esposte all’inquinamento dell’aria tendono a partorire neonati che nascono sottopeso (meno di 2,5kg) o prematuri (meno di 37 settimane di gravidanza). Nel 2019 sono stati circa 2,42 milioni i bambini che sono morti tra il primo e il ventisettesimo giorno di vita, soprattutto perché sottopeso o prematuri. Inoltre, dei neonati che muoiono per cause imputabili all’inquinamento, quasi due terzi sono correlati all’inquinamento domestico. I bambini che nascono in Africa subsahariana e in Asia meridionale sono quelli a rischio più elevato. Tra i 9.000 e i 13.100 su 100.000 bambini nati vivi muoiono infatti per ragioni legate all’uso di combustibili solidi nelle abitazioni.

Inquinamento e Covid-19

Durante il lockdown della scorsa primavera abbiamo visto come il parziale arresto delle attività umane abbia causato un abbassamento, per lo meno temporaneo, dei livelli di inquinamento atmosferico. Si è anche parlato molto della possibilità che la qualità dell’aria abbia una relazione con la diffusione della pandemia. Secondo il report State of Global Air ci potrebbe essere una correlazione tra inquinamento atmosferico e pandemia, nel senso che certe patologie aggravate dall’inquinamento renderebbero gli individui meno resistenti in caso di incontro con il coronavirus: “SARS-CoV-2, il coronavirus che causa il Covid-19, è un virus respiratorio che può colpire i polmoni, i vasi sanguigni e molte altre parti del corpo. È stato dimostrato che l’esposizione all’inquinamento atmosferico influisce sul corpo e sulla difesa immunitaria, rendendo un individuo più suscettibile infezioni respiratorie e di altro tipo. Inoltre, molte delle condizioni di salute che sono state associate a una maggiore vulnerabilità al Covid-19 – come diabete, malattie cardiovascolari, e malattie polmonari ostruttive croniche – sono anche causate da esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Francesca Zanni
Ho frequentato un corso di Giornalismo Culturale e tre corsi di scrittura creativa dopo una laurea in Storia Culture e Civiltà Orientali e una in Cooperazione Internazionale. Ho avuto esperienze di lavoro differenti nella ricerca sociale e nella progettazione europea e attualmente mi occupo di editoria. Gattara, lettrice accanita e bingewatcher di serie TV.