Intelligenza artificiale, in Italia manca la formazione dedicata
L’AI resta spesso relegata agli addetti ai lavori o agli appassionati, ma in Europa i posti di lavoro vacanti per mancanza di professionisti specializzati sono quasi 800.000. L’associazione torinese Pop AI, fondata da Emanuela Girardi, prova ad avvicinarla ai cittadini.
Il MIT di Boston ha lanciato un college dove gli studenti apprendono, oltre alla materia scelta, anche le scienze computazionali. Una proposta che consente di avere una solida base informatica a prescindere dal percorso di studi scelto.
“In Italia manca completamente un approccio strutturale di questo tipo. Le figure ibride, quelle che hanno compreso l’importanza di conoscere anche nozioni informatiche e matematiche, sono persone che si sono formate in modo autonomo. Credo che sia fondamentale intervenire sulla scuola e farlo da subito” dice a OggiScienza Emanuela Girardi, fondatrice e CEO di Pop AI (Popular Artificial Intelligence) e membro del Gruppo di esperti di Intelligenza Artificiale del MiSE. Girardi si è avvicinata all’intelligenza artificiale dopo una prima parte della carriera passata nella new economy, dalla telefonia mobile ai progetti di trasferimento tecnologico per portare la fibra ottica nelle case di tutti.
L’intelligenza artificiale per tutti
“Sono sempre stata convinta che la tecnologia debba essere usata per migliorare le vite delle persone e qualche anno fa ho intravisto le potenzialità che l’intelligenza artificiale avrebbe potuto avere nelle nostre vite. Così, ho deciso di rimettermi a studiare”. Oggi Girardi è tra i massimi esperti in materia e la sua Pop AI, associazione nata nel 2018, ha lo scopo di rendere accessibile a tutti l’intelligenza artificiale, sul modello di ciò che ha fatto Andy Warhol con l’arte.
“L’intenzione è quella di trasmettere le potenzialità di queste tecnologie, senza dimenticare però di rendere consapevoli i cittadini dei rischi associati. In questo modo potranno decidere in modo più consapevole come usare questi strumenti”. Pop AI in questi anni ha sviluppato molti progetti nelle scuole e ne ha dedicati altri alla terza età. “Vogliamo evitare l’emarginazione digitale: oggi chi non ha le competenze per farsi lo Spid, per esempio, non può accedere a moltissimi servizi della Pubblica amministrazione”, nota Girardi.
Nel 2020 a Torino si sarebbe dovuto tenere il primo festival dell’AI. “Per come l’avevamo concepito, sarebbe stata una novità a livello mondiale. Accanto ad alcune conferenze, infatti, avevamo previsto tantissime attività pratiche, per far capire perché l’intelligenza artificiale sarà sempre più importante nelle nostre vite. Purtroppo abbiamo dovuto annullarlo e, proprio perché sarebbe stato destinato a un pubblico generalista, abbiamo scelto di non renderlo virtuale”.
Quale strategia per l’oggi
Girardi è anche tra gli esperti del Mise che ha elaborato la strategia italiana per l’AI, un documento di 120 pagine che definisce quali dovrebbero essere i prossimi passi per il nostro Paese. Definita da molti esperti come una delle migliori strategie al mondo, in Italia non ha avuto molta eco. A luglio è stata pubblicata sul sito del Mise ma non è mai stata presentata ufficialmente, come invece avvenuto in altri Paesi come Francia e Germania.
“Mentre l’approccio europeo è focalizzato sull’uomo, noi abbiamo messo al centro il pianeta e proposto un’intelligenza artificiale al servizio di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Non è solo un documento strategico, contiene anche 82 indicazioni concrete. Il prossimo anno l’Italia ospiterà il G20 e alcuni punti dell’agenda riguarderanno il digitale. L’auspicio è che si parta da questo documento per iniziare a concretizzare”.
L’intelligenza artificiale, senza un ecosistema a supporto, serve a poco. Per questo secondo l’esperta occorre partire adesso, investendo soprattutto sull’educazione e la formazione. “Gli studi ci dicono che nei prossimi anni 9 professioni su 10 saranno impattate dall’AI. Oggi in Europa ci sono quasi 800.000 posti di lavoro vacanti perché mancano le competenze digitali necessarie per svolgerli. Abbiamo bisogno di una scuola che viva nel presente e che fornisca agli studenti gli strumenti tecnici e le soft skills per muoversi al meglio nel mondo del lavoro che troveranno tra qualche anno. “Se non lo facciamo, dovranno imparare da soli e solo i più motivati lo faranno”.
L’altro aspetto da implementare è la formazione: “Io faccio parte di Claire, la confederazione dei laboratori di ricerca e di intelligenza artificiale in Europa, una sorta di Cern europeo dell’AI. Siamo circa 3.500 tra scienziati, ricercatori, esperti di intelligenza artificiale. Quando è partita la pandemia di Covid-19, abbiamo deciso di mettere a disposizione le nostre competenze e abbiamo formato sette gruppi di lavoro per fornire aiuto concreto agli ospedali. Quando ci siamo approcciati loro, però, abbiamo visto che erano molto carenti nella raccolta e nell’analisi dei dati. Oggi la maggior parte dei medici non ha queste competenze e noi non gliele stiamo insegnando a scuola. Dobbiamo assolutamente intervenire in modo sistematico su questo aspetto”.
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