ANIMALI

Il futuro degli animali con i cambiamenti climatici

Se cambiano le temperature, gli animali si devono adattare: alcuni studi ipotizzano come potrebbe modificarsi la fauna selvatica. Se farà in tempo.

All’inizio dell’Ottocento, i biologi avevano identificato una serie di “regole” in grado di descrivere gli impatti della temperatura a livello ecologico ed evolutivo. Queste regole, dette ecogeografiche, descrivono le relazioni tra vari fattori ambientali e variazioni morfologiche o fisiologiche di alcuni organismi, rilevate su basi statistiche. Possono riguardare, per esempio, la taglia, la forma o il colore degli animali.

Quali sono queste regole?

Per la regola di Bergmann, all’interno di una stessa specie o in specie molto prossime, a parità di fattori ambientali come la disponibilità di cibo, la densità di popolazione, gli effetti di competizione o di predazione, gli animali che vivono in ambienti più freddi – e a latitudini maggiori – hanno corpi più grandi rispetto a chi vive più al caldo – e a latitudini inferiori. Basti pensare ai pinguini, oppure agli orsi: corpi più grandi sono d’aiuto nel trattenere il calore. Secondo quella di Allen chi si trova al freddo presenta una diminuzione della superficie delle appendici (orecchie, becco, coda…) rispetto a chi è al caldo: un esempio potrebbe essere quello della lunghezza delle orecchie e del muso nella volpe, dal deserto all’Artico.

 

Per la regola di Gloger gli animali che vivono in ambienti umidi e caldi dovrebbero avere colori più scuri rispetto a quelli in zone più fredde e secche – che possiedono meno melanina e sono quindi più chiari. Tra i mammiferi, si pensava che pelle e pelo più scuri servissero a proteggerli contro i danni della luce ultravioletta, più abbondante nelle aree equatoriali, mentre tra gli uccelli la melanina nelle piume più scure sembra resistere alle infestazioni batteriche, cosa estremamente utile nelle zone tropicali.

Esempi contrari sono rappresentati dalle livree degli animali che vivono nei deserti, di solito bruno-chiare, giallastre o color sabbia: qui, però, entrano in gioco altri fattori, come il mimetismo. La regola di Hesse sottolineava come gli animali negli ambienti freddi avessero un cuore più grande – in relazione al peso corporeo -, rispetto a specie strettamente imparentate che vivessero al caldo.

Secondo la regola di Jordan per i pesci ci sarebbe proporzionalità inversa tra la temperatura e il numero di raggi nelle pinne o di vertebre: acque più calde significherebbero meno vertebre/pinne con meno raggi. Per quella di Thorson alcuni tipi di invertebrati marini, alle basse latitudini, producono in genere un gran numero di uova che si sviluppano in larve, ampiamente disperse, mentre ad alte latitudini questi organismi hanno meno uova, ma prole più grande, e ci sono più casi di ovoviviparità o viviparità. Per quella a cui Eduardo Hugo Rapoport, lo scienziato più recente, ha dato il nome, piante e animali che si trovano più vicine ai Poli riescono in genere a adattarsi a un range di latitudini più ampio rispetto a chi è più vicino all’Equatore. Questo perché devono sopravvivere in ambienti che presentano una variabilità più elevata nel corso dell’anno, mentre nelle fascia centrale del Pianeta di solito le condizioni sono più stabili. Il medesimo discorso può essere fatto anche per le altitudini.

Queste sono le regole principali legate alle questioni climatiche.

Dalle regole possiamo prevedere cosa accadrà?

A luglio, Li Tian della China University of Geosciences e Michael Benton della University of Bristol hanno acceso i riflettori su queste ormai quasi dimenticate regole, nel momento in cui i due paleontologi le hanno utilizzate per prevedere come i cambiamenti climatici potrebbero modificare i corpi degli animali. Secondo il loro studio, gli animali dovrebbero essere più piccoli, con appendici più lunghe, con cuore e polmoni di dimensioni inferiori e – per quanto riguarda i pesci – con un minor numero di vertebre. Tra le altre cose, si sono basati sulla regola di Gloger per proporre che, quando la Terra si riscalda, la maggior parte degli animali diventerà più scura.

Eppure, prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici globali sulla colorazione degli animali può essere complesso: Kaspar Delhey, un ornitologo che vive in Australia e lavora in remoto per il Max Planck Institute for Ornithology in Germania, ha pubblicato con tre colleghi una risposta su Current Biology all’articolo di Tian e Benton. Per Delhey, nel momento in cui ci sono variazioni sia nella temperatura che nelle precipitazioni, animali diversi possono andare incontro a cambiamenti opposti.

In Amazzonia, per esempio, dove si prevede che la colonnina di mercurio salga e le precipitazioni scendano, ci si aspetta che gli animali diventino più chiari, come si evince sia dall’ipotesi del melanismo termico – negli ambienti più caldi gli animali più chiari rischiano meno di surriscaldarsi -, che dalla regola di Gloger – nei climi più asciutti vengono selezionati gli individui più chiari, probabilmente per mimetismo.

Nelle regioni che dovrebbero diventare più calde e umide, invece, come le foreste boreali, gli effetti di temperatura e precipitazioni sarebbero opposti: è più difficile, quindi, fare previsioni. Per gli ectotermi, animali a sangue freddo, la cui temperatura corporea dipende dall’ambiente esterno, la termoregolazione potrebbe incidere maggiormente, in questo modo dovremmo vedere un cambiamento verso colori più chiari. Per gli endotermi, gli animali a sangue caldo, ovvero (principalmente) uccelli e mammiferi, la selezione legata alla termoregolazione potrebbe essere meno importante rispetto a quella sul mimetismo, portando a colori più scuri.

La presenza di condizioni ambientali molto peculiari, poi, potrebbe portare le popolazioni a sviluppare cambiamenti molto specifici per il luogo in cui vivono. È il caso di chi vive, magari, in zone montuose o ad alte latitudini: il cambio del clima comporta precipitazioni nevose sempre più sporadiche e scarse, rendendo meno necessari per mimetizzarsi i colori chiari nelle aree (un tempo) più fredde. Quello che ci si aspetta, quindi, è una grande eterogeneità.

Il dibattito

Tian e Benton hanno poi pubblicato una risposta al gruppo di Delhey, ringraziando per le precisazioni, ma citando casi in cui la loro previsione che in climi caldi ci saranno animali più scuri è vera. È il caso degli allocchi (Strix aluco) in Finlandia: pur trattandosi della stessa specie, si possono trovare individui con un morfismo rosso, grigio chiaro o intermedio tra i due. Il grigio chiaro permette loro di mimetizzarsi sulla neve, ma ora che la dama bianca si fa sempre più eccezione che regola, gli allocchi color ruggine sono aumentati dall’essere il 12% della popolazione negli anni Sessanta, al 40% nel 2010.

Hanno riconosciuto, però, come la questione del colore possa essere complicata: le regole ecogeografiche non sono degli assoluti, e anche quando sembra possibile riconoscere un trend, non è detto poi che la singola specie effettivamente lo segua.

È un esempio quello delle farfalle nelle regioni a elevate altitudini, studiate dalla biologa della University of Washington, Seattle, Lauren Buckley: non in tutte è accaduto quello che si pensava, anche a causa del fatto che la porzione delle ali che viene utilizzata per assorbire calore è più piccola di quanto ci si potrebbe aspettare. Quindi, anche se la variazione che ci si attendeva in funzione dei cambiamenti climatici avrebbe previsto un calo del melanismo nelle ali ventrali, è avvenuto il contrario nella maggior parte dei casi. A volte la complessità delle interazioni con l’ambiente è tale da rendere molto difficile far previsioni.

L’aspetto positivo di questo dibattito è che entrambe le “fazioni” hanno in programma di approfondire i propri studi, Tian con vasche riscaldate di molluschi e coleotteri, cercando di indurre cambiamenti in modo attivo, mentre Buckley vorrebbe ampliare i periodi di tempo in esame grazie agli esemplari già a disposizione nei musei – anche se il colore è una caratteristica particolarmente soggetta allo scorrere degli anni. In ogni caso, gli scienziati potrebbero avere presto altri dati, anche se non è proprio il caso di rallegrarsi per questo. In più, se le temperature del Pianeta dovessero alzarsi in maniera troppo repentina, piante e animali potrebbero non avere abbastanza tempo per adattarsi, e anche la miglior regola ecogeografica servirebbe a poco se gli habitat spariscono e le specie si estinguono.


Leggi anche: Il riscaldamento globale è più veloce dell’evoluzione, almeno per i pesci

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine allocco: Martin Mecnarowski (http://www.photomecan.eu/) – Opera propria, CC BY-SA 3.0)

Immagini volpi: Pixabay

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.