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Più di 300 gli attivisti morti nel 2020 in difesa di ambiente e diritti umani

Secondo il rapporto di Front Line Defenders, almeno 331 difensori dei diritti umani sono stati assassinati in 25 Paesi diversi. Con le loro azioni di protesta promuovevano giustizia sociale, ambientale, razziale e di genere.

È importante ricordare le persone che hanno sacrificato la loro vita per i diritti umani proprio oggi. Il 3 di marzo, o meglio nella notte tra il 2 e il 3 marzo, ricorre il quinto anniversario della morte di Berta Càceres. Ambientalista attiva in Honduras, con le sue campagne ha evitato la costruzione di una diga sul Rio Gualcarque.

Molti attivisti perdono la vita dopo aver subito arresti, attacchi fisici, torture e intimidazioni. Oggi anche internet minaccia la loro sicurezza. Dalle segnalazioni raccolte e documentate da Front Line Defenders possiamo stimare che nel 2020 siano morti 287 uomini e 44 donne. Il 69% di loro si impegnava nella difesa della terra, dei diritti ambientali e delle popolazioni indigene. Un 26% si concentrava solo per i diritti di queste ultime. Infine, il 28% degli assassinati operava in nome dei diritti delle donne.

Il numero degli omicidi è in aumento

Purtroppo l’aumento del numero degli assassinati è costante. Front line Defenders spiega il dato ammettendo che ha migliorato la sua capacità di rintracciare i casi di persecuzione degli attivisti. Il rafforzamento della rete di collaboratori, in parte, giustifica l’aumento del 9% di omicidi registrati tra il 2019 e il 2020. Non è quindi il risultato di meno democrazia di per sé. dall’altra parte,  sembra stiano aumentando anche le persone che si espongono come difensori dei diritti umani.

Che cosa succede dopo la morte di un attivista?

“Uccidono gli attivisti per porre fine al loro lavoro”, spiega a OggiScienza Laura Renzi, campaigner di Amnesty International Italia. “Ma anche per dimostrare cosa accade alle persone che perseguono una certa battaglia”. Quando avvengono crimini contro gli attivisti, la prima cosa che succede è la prolungata impunità. La morte di Berta Càceres è emblematica. Dopo la morte dell’attivista arrestarono otto persone. Solo quattro di queste hanno ricevuto una condanna, dopo quasi due anni dalla morte della Càceres. “In questo caso, hanno colpito solo gli esecutori materiali. A cinque anni di distanza Amnesty International chiede ancora di fare giustizia. È necessario individuare i mandanti dell’omicidio di Berta. Lo facciamo attraverso una raccolta firme e con le pressioni sulle ambasciate dell’Honduras nel mondo. Cerchiamo di mantenere alta l’attenzione mediatica sul suo caso”

Ma è sufficiente uccidere un attivista per fermare la sua protesta? La risposta è no. Il movimento che ha creato Berta prosegue la sua lotta. “Oggi Bertita porta avanti la protesta della madre. E c’è anche Amnesty International a monitorare a fianco del Consiglio delle organizzazioni popolari ed indigene dell’Honduras”. Meglio noto come COPINH, l’organizzazione fondata da Berta Càcares, è dedita alla difesa dell’ambiente e della salvaguardia della cultura e dei valori della popolazione nativa Lenca.

Il Sud America reo del maggior numero di omicidi

Cala il numero dei Paesi che hanno assistito alla morte di un attivista  rispetto al 2019. 25 Paesi nel 2020 contro 31 dell’anno precedente. Ciò significa che una manciata di Paesi è responsabile della maggior parte degli omicidi. Da Front Line Defenders notano che “sono avvenute molte più uccisioni nelle democrazie de facto che in stati più autocratici dove le libertà sono più limitate. Gli omicidi sono più diffusi negli stati con forti tendenze neo-capitaliste insieme alla leadership populista“.

“Soprattutto in America Latina i popoli nativi sono impegnati in una guerra impari contro le multinazionali e i governi. Vogliono impedire lo sfruttamento delle ricchezze dei loro territori, come la costruzione di dighe”, ha spiegato Laura Renzi. Più di tre quarti di tutti gli omicidi dei difensori dei diritti umani nel 2020 sono avvenuti nel Sud America. 177 solo in Colombia. La mancanza di protezione da parte del governo e la diffusione di bande armate mette in serio pericolo la vita dei difensori dei diritti umani in questo stato.

Per quanto riguarda gli altri paesi del Sud America il fenomeno è sottostimato. Come ammette Front Line Defender, hanno una rete di contatti in Cile, Ecuador e Perù meno sviluppata.

L’impatto del Covid -19 sull’attivismo

La pandemia ha avuto un duro impatto sui difensori dei diritti umani. “Buona parte dei difensori dei diritti umani di tutto il mondo si è trovata ad assumere una moltitudine di nuovi ruoli oltre al loro lavoro quotidiano di difesa dei diritti”, ha detto Laura Renzi. “Ovunque i diritti umani hanno riempito i vuoti e salvato vite. Negli stati in cui i governi hanno cercato di minimizzare la gravità della pandemia gli attivisti si sono occupati dell’educazione alle misure di prevenzione del virus. Dove lo stato era in gran parte assente o aveva abdicato alle proprie responsabilità hanno svolto un lavoro umanitario“. Alcuni dei difensori dei diritti umani sono anche morti a causa del Covid-19. Il report di Front Line Defenders li ricorda.

In Messico l’8 giugno scorso è stata arrestata Susana Prieto. È stata accusata di resistenza e incitamento alla violenza per aver denunciato gli scarsi interventi per proteggere i lavoratori dal Covid-19. “Ma è stato solo un pretesto, perché la Prieto era stata in passato più volte presa di mira per la sua attività in difesa dei lavoratori”.

Anche chi difende gli ecosistemi non è stato risparmiato. Spesso la sicurezza è garantita da un continuo spostamento da un luogo di domicilio a un altro. Tale strategia è venuta meno a causa delle restrizioni legate al Covid-19. Inoltre, durante la pandemia l’attenzione dei media si è spostata sul coronavirus, lasciando al buio contadini e attivisti. I meccanismi di protezione sono venuti meno e, secondo l’ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, il lockdown è stato sfruttato da imprese irresponsabili per mettere sotto silenzio i difensori.

Aiutare i difensori dei diritti umani dall’Europa è possibile

Dall’informazione e dai media parte il primo sostegno per i difensori dei diritti umani. “In Europa, come prima azione, possiamo impegnarci a restare informati su quanto accade negli altri paesi del mondo”, ha detto Laura Renzi. Amnesty International organizza campagne e petizioni per far sentire sui governi la pressione internazionale. Anche per Berta Càceres saranno in programma attività per chiedere giustizia. “Noi non suggeriamo azioni di boicottaggio. Solo con le interlocuzioni e le relazioni con i governi rendiamo possibile il cambiamento”.

Grazie alla società civile, sempre più spesso, alcune battaglie legali sono portate fuori dallo stato in cui avvengono i crimini. “Con la mediazione delle ONG, i tribunali europei si stanno assumendo sempre maggiori responsabilità”. Alcuni importanti processi sono avvenuti in Europa. Ad esempio quello contro la Shell, responsabile dell’inquinamento in Nigeria. La Shell è stata infatti citata in giudizio presso un tribunale civile olandese per la complicità nell’arresto illegale, nella detenzione e nell’esecuzione di nove uomini, impiccati nel 1995 sotto la giunta militare nigeriana. A portare in tribunale il gigante petrolifero sono stati la moglie di uno dei primi attivisti nigeriani, Ken Saro Wiwa, e le ONG che hanno supportato il caso.

Oggi molti Stati si stanno accorgendo del cambiamento climatico. Ci sono anche numerose azioni strutturate, come ad esempio le Conference of the parties. Proprio a partire da COP21 di Parigi nel 2015, si è creato una specie di filo rosso tra le associazioni, i presidi, le iniziative in difesa della terra. A oggi sono stati registrati 649 casi di movimenti o attività di resistenza e protesta che hanno portato alla cancellazione di 1/4 dei progetti programmati da parte delle imprese. Ciò è accaduto soprattutto nei casi di iniziative di resistenza comunitarie e collettive.

La speranza è che COP26, che si terrà a Glasgow in novembre, sia l’occasione per molti stati di integrare i difensori della terra e dei popoli nativi nelle strategie di mitigazione del cambiamento climatico.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.