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Cercare una cura per il Covid-19 con l’aiuto dei supercomputer

Per arrivare a un nuovo farmaco sono necessari dieci anni e un investimento di miliardi di euro, ma siamo ancora in una fase di emergenza nella quale non c'è cura per chi ha contratto il Covid-19. Nel frattempo, si fa ricerca sui farmaci già noti.

La sfida da affrontare per trovare una cura per il Covid-19 consiste nell’individuazione di una sostanza chimica capace di bloccare l’azione del virus e la necessità di fare in fretta ci impone di partire dalle sostanze che già conosciamo. Le molecole che abbiamo a disposizione sono come tanti mattoncini Lego: si tratta di provarli tutti per trovare quello che si adatta perfettamente a quel punto del modellino che stiamo costruendo. Proprio in questo modo stiamo cercando la molecola capace di interagire con certe strutture virali, collegate con processi importanti per la sopravvivenza e replicazione del virus. Inserita la chiave molecolare nella toppa corretta, dovremmo riuscire a “spegnere il motore” che mantiene il virus in vita. Raccontarlo sembra semplice, ma lo sforzo è immane. Le molecole sono miliardi, le combinazioni possono essere anche in numero superiore.

L’enorme mole di calcoli

Un tipo di approccio che consente di accelerare la fase di ricerca relativa alle interazioni tra farmaco e target oggi può avvenire fuori dal laboratorio. Un computer si sostituisce all’essere umano per disegnare modelli molecolari e per testare le loro interazioni. Il progetto Exscalate4Cov, coordinato da Dompé Farmaceutici e sostenuto dal contributo di 18 istituzioni, ha provato a percorrere questa strada.

La piattaforma EXSCALATE ha confrontato una libreria di 500 miliardi di molecole alla ricerca di quella giusta per contrastare il Sars-Cov-2. È capace di confrontare 100 miliardi di interazioni in 60 ore di lavoro, e per raggiungere una capacità di calcolo di tale potenza è necessario affidarsi a supercalcolatori. Il Cineca ha fornito l’infrastruttura di calcolo: all’inizio si trattava del supercomputer Galileo, poi sostituito da MARCONI-100 e affiancato da HPC5 di Eni. A livello europeo danno il loro contributo al calcolo il Barcelona Supercomputing Center e il FZ Jülich.

Si è trattato di un progetto di urgent computing e il Cineca ha dovuto mettere a disposizione rapidamente le risorse di calcolo per affrontare l’emergenza. “Eravamo pronti solo perché abbiamo potuto sfruttare le infrastrutture che avevamo messo a punto per lo Zika virus. Con il progetto Antarex avevamo già una collezione di molecole e una piattaforma di calcolo sviluppata”, spiega a OggiScienza Andrew Emerson, ricercatore presso il Cineca di Bologna. Il CINECA insieme a Dompé sta lavorando dal 2005 sullo sviluppo di software legati al supercalcolo, che consentano di fare CADD (computer-aided drug design).

Che cosa ha scoperto il supercomputer?

“Con il processo in silico è possibile fare una simulazione virtuale delle operazioni compiute in laboratorio. Quindi possiamo selezionare a priori e in modo mirato alcune molecole. Inoltre è possibile valutare la stabilità delle interazioni tra molecole nel corso del tempo”, dice Emerson. “Ma i nostri modelli non sono così accurati, mentre il sistema in cui il farmaco agisce, il corpo umano, è troppo complicato. Quindi non possiamo fare a meno del laboratorio. E non possiamo escludere la ricerca clinica”. E infatti, il Raloxifene, la molecola che per ora è stata individuata da Exscalate4Cov come potenzialmente promettente per trattare Covid-19, è nella fase III di sperimentazione clinica presso l’IRCSS Lazzaro Spallanzani di Roma e l’IRCSS Humanitas di Milano.

“Durante le prime fasi del progetto ci siamo concentrati sul drug repurpososing. Abbiamo testato farmaci già noti per curare altre malattie. Il Raloxifene è stato un risultato molto fortunato: è un farmaco noto, generico e ha già superato i test di tossicologia. Quindi se la fase clinica darà risultati positivi, potremo usarlo rapidamente” ha detto Andrew Emerson. Il Raloxifene è uno de farmaci più promettenti individuati a livello mondiale. Secondo il sito Clinical Trials, sono attivi 4981 trial clinici relativi ai trattamenti contro il Covid-19. 232 sono vaccini, mentre 1522 studi sono dedicati alla ricerca di farmaci. Nella sperimentazione sono coinvolti 135 stati diversi.

Guardando al futuro

Exscalate4Cov ha permesso di simulare il comportamento di Sars-Cov-2 e di individuare 15 siti virali che potrebbero essere attaccati da farmaci. La seconda fase del progetto proseguirà con la ricerca di nuove molecole ad azione farmacologica. Inoltre dovrà essere approfondito lo studio delle regioni del genoma del virus che lo aiutano ad adattarsi al nostro corpo e a generare la malattia.

La ricerca computazionale verrà affiancata da una più ampia sperimentazione in laboratorio. Ma la ricerca di dati e modelli tramite l’intelligenza artificiale non può fermarsi qui. “C’è bisogno di una molteplicità di dati per condurre una ricerca scientifica. Ad esempio, quelli inerenti la struttura o le proprietà chimico-fisiche delle molecole che studiamo” ci dice Giorgia Frumenzio dell’Associazione Bigdata. “Sarebbe importante integrare sempre di più i dati raccolti tramite il sequenziamento genomico nella ricerca farmacologica. Infine bisognerebbe considerare le informazioni provenienti dal quadro clinico dei pazienti. Ma per arrivare a questo occorre tutelare e rispettare la privacy dei pazienti”.

Più infrastrutture per essere preparati

Se tutto questo concorre a comprendere meglio i meccanismi di azione dei processi cellulari, gli altri limiti riguardano la disponibilità di utilizzo delle risorse di super calcolo. Il progetto Exscalate4Cov, nato per rispondere all’emergenza, ha la sua naturale prosecuzione in un altro progetto, LIGATE, che durerà tre anni e riceverà un finanziamento complessivo di 5,9 milioni di euro, la metà dall’Europa. LIGATE intende sviluppare un software leader di settore per la scoperta di farmaci.
“Vorremo creare infrastrutture più veloci e con una migliore capacità di simulazione dei modelli. Il superamento dei software attuali ci consentirà di affrontare meglio e con maggiore prontezza la pandemia del futuro”, dice Emerson. Il cambiamento climatico in corso e il nostro scarso rispetto della natura fanno pensare agli scienziati che nel futuro ci saranno, probabilmente, altre pandemie.

Migliorare la soluzione CADD e puntare su tale metodo di drug design significa produrre più dati e informazioni sulle molecole oggetto di studio. E soprattutto accorciare tempi e costi. “Già adesso l’approccio CADD dà risultati promettenti, ma dobbiamo sviluppare metodi che ci consentano di fare previsioni in maniera ancora più accurata e attendibile”, ha commentatoFrumenzio. Ad esempio, i modelli attuali non ci permettono di prevedere le interazioni delle molecole selezionate con le molecole del nostro corpo. Quindi effetti collaterali o reazioni indesiderate non sono prevedibili.

L’etica della ricerca

“La tecnologia CADD potrebbe essere l’opportunità per impostare una ricerca del farmaco più etica. Le simulazioni potrebbero diminuire il numero degli animali impiegati in fase di sperimentazione”, ha aggiunto Andrew Emerson. “Se riuscissimo a introdurre anche dati relativi all’uomo potremmo produrre modelli molto più accurati”.

Infine, tutto il progetto è opensource e opendata, cioè interamente trasparente e accessibile, ed è possibile collaborare con il consorzio Exscalate4Cov come partner esterni. La piattaforma del progetto, nel frattempo, è disponibile per testare l’efficacia di farmaci studiati presso altri laboratori: progetti come questo costituiscono un’occasione per rendere più trasparente e collaborativa la ricerca sui farmaci.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia. 

(Ph – Francesco Pierantoni | CINECA)

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.