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Una vita in isolamento: l’evoluzione della cultura sull’Isola di Pasqua

Un articolo firmato da un gruppo di antropologi statunitensi indaga come le interazioni e l’organizzazione delle diverse comunità nell’Isola di Pasqua possano averne influenzato l’evoluzione culturale.

Negli studi dedicati a comprendere come evolve la cultura di una popolazione, i fattori che influenzano i cambiamenti culturali sono tra i principali elementi d’indagine. E un interessante campo di studio è offerto dalle comunità che per lungo tempo sono rimaste isolate, come può avvenire sulle isole. Un esempio è quello degli abitanti dell’Isola di Pasqua o, per usare il nome locale, Rapa Nui, cui è dedicato un articolo recentemente pubblicato su PLOS ONE. Nel loro lavoro, i ricercatori hanno usato un modello per simulare le interazioni sociali delle comunità e capire come influenzino le variazioni culturali: i loro risultati suggeriscono che, nel guidare i cambiamenti culturali, la struttura di una popolazione sia importante quanto la dimensione di quest’ultima.

Isolati

L’isola di Rapa Nui, oggi sito patrimonio mondiale dell’umanità, è uno dei luoghi abitati più remoti al mondo. Ed è anche piccola, con i suoi circa 24 chilometri di lunghezza e 13 al massimo di larghezza. Prima di diminuire rapidamente con l’arrivo degli europei a partire dal Settecento, la popolazione indigena rimase a lungo isolata, organizzata in clan e piccole comunità con caratteristiche culturali distinte: gli studi archeologici mostrano che, per esempio, si possono osservare differenze stilistiche tra manufatti di gruppi che vivevano ad appena 500 metri di distanza l’uno dall’altro.

Un isolamento così marcato può avere effetti importanti sulla cultura di una popolazione. Un po’ come i tratti genetici, alcuni elementi culturali si possono conservare nel tempo e altri andare invece perduti: uno dei meccanismi è il random drift, o deriva casuale. Il concetto è mutuato dalla genetica, dove il concetto di “deriva casuale” indica le fluttuazioni nelle varianti dei geni, dovute al caso, che si possono osservare in una popolazione; per gli studi sull’evoluzione della cultura, invece, le varianti sono diverse forme culturali.

E se, per esempio, perdere un certo modo di decorare i vasi può non avere un impatto significativo sulla società, perdere o meno una certa tecnologia può invece influenzarla profondamente. «Poniamo che mio padre sia morto prima di avermi potuto insegnare una qualche tecnologia importante e lui fosse l’unica persona a conoscerla: questo può avere un impatto negativo su una popolazione piccola e isolata, che non interagirà con altri gruppi che possono riportare quell’idea», spiega in un comunicato Robert DiNapoli, antropologo della Binghamton University e co-autore dello studio.

In questo senso, «Rapa Nui è un caso di studio affascinante per indagare cosa succede nell’assoluto isolamento», commenta Carl Lipo, primo autore dello studio e anch’egli antropologo della Binghamton University.

Demografia, struttura di popolazione e tratti culturali

Tra i fattori che appaiono più importanti nel determinare come i tratti culturali varino nel tempo vi è la demografia della popolazione: più persone la compongono, più le nuove idee riescono a girare. Viceversa, ci si potrebbe aspettare che in una comunità molto piccola sia maggiore il rischio che si perdano alcuni elementi culturali. Questo in linea generale, ma possiamo immaginare anche situazioni diverse: per esempio, se i gruppi di una popolazione, per quanto vasta, sono isolati, ci sarà meno scambio culturale. È per questa ragione che, scrivono gli autori, le dimensioni della popolazione hanno ricevuto molta attenzione da parte dei ricercatori.

Nel loro lavoro, gli autori hanno valutato invece come la struttura della popolazione influenzi i tratti culturali impiegando un modello nel quale hanno simulato i diversi modi in cui le varie comunità di Rapa Nui potevano interagire, e valutando gli effetti che i diversi tipi d’interazione possono avere sulla persistenza dei tratti culturali.

Ciò che hanno osservato può sembrare contro intuitivo: maggiore è il numero di sottogruppi in una popolazione che hanno un contatto limitato, maggiore è la probabilità  i diversi tratti culturali permangano nel tempo, un aspetto di particolare beneficio dal momento che può avere implicazioni importanti per la sopravvivenza della comunità. Un esempio semplice è il presentarsi di un avvenimento che si era già verificato in passato: la comunità che ricorda come rispondervi può affrontarlo in modo efficace.

«Se ci sono tante piccole sottopopolazioni, si finisce con una diversità maggiore, raccolta in ciascuno di questi sottogruppi», spiega DiNapoli. «In base alla simulazione modellistica, la struttura della popolazione risulta davvero importante nel guidare e mantenere la diversità culturale. Questo potrebbe essere stato, potenzialmente, un fattore significativo per il cambiamento anche, in generale, nella storia umana».


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Photo by Emerson Moretto on Unsplash

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.