Oltre natura e cultura, di Philippe Descola
In questo libro l'antropologo francese Philippe Descola, allievo di Claude Lévi-Strauss e suo successore al Collège de France e al Laboratoire d'Anthropologie Sociale di Parigi, tenta di decostruire la separazione tra cultura e natura
Lo scopo del libro Oltre natura e cultura (a cura di Nadia Breda, traduzione di Nadia D’Orsi, Raffaele Cortina Editore) viene definito dallo stesso autore, l’antropologo francese Philippe Descola, nell’introduzione: è un tentativo di trasformare l’antropologia, liberandola dal proprio dualismo costitutivo in cui si contrappone tutto ciò che è umano a quello che non lo è. Questo conflitto tra natura e cultura che noi, abitanti di quello che Descola definisce l’Occidente moderno, abbiamo preso a paradigma del mondo, è invece solo una delle visioni possibili, create dagli esseri umani per potersi adattare a vivere nell’ambiente che li circonda.
A questo proposito, Descola identifica quattro diverse cosmologie co-esistenti nel mondo: animismo (“presta ai non umani l’interiorità degli umani, ma li distingue per i loro corpi”), totemismo (“sottolinea la continuità fisica e interiore fra umani e non umani”), naturalismo (“ci associa ai non umani per continuità fisiche ma ci separa in virtù delle nostre capacità culturali”) e analogismo (“postula fra gli elementi del mondo una rete di discontinuità strutturata da relazioni di corrispondenza”). Tutte queste cosmogonie sono relative: nessuna può rappresentare una visione universale del mondo.
Naturalismo e Antropocene
Le domande che spingo Philippe Descola a scrivere Oltre natura e cultura nascono durante una spedizione in Ecuador, nell’Alta Amazzonia, dove l’antropologo entra in contatto con la popolazione Achuar. Nella loro cosmogonia, umano e non umano sono sullo stesso piano. Animali e piante vengono considerati dagli Achuar come dei familiari, per questo le loro relazioni si basano su un comportamento etico – per esempio si uccide solo per necessità di sfamarsi – e non su una superiorità umana. Entrambi i gruppi, infatti, appartengono allo stesso mondo e sono governati dalle stesse regole perché tutti dotati di un’anima. Inizia così un viaggio lungo quasi cinquecento pagine in cui Philippe Descola tenta di decostruire la separazione tra cultura, che definisce l’essere umano e lo rende diverso dagli altri esseri, e natura.
Secondo Descola, l’emergere del naturalismo – ovvero la visione imperante nell’Occidente moderno – è “il risultato di un processo complesso dove sono inestricabilmente mescolati l’evoluzione della sensibilità estetica e delle tecniche pittoriche, l’espansione dei confini del mondo, il progresso delle arti meccaniche e il maggiore controllo che questo permetteva su certi ambienti, il passaggio da una conoscenza fondata sull’interpretazione delle similitudini a una scienza universale dell’ordine e della misura”. Merleau-Ponty sintetizza bene il concetto: “non sono le idee scientifiche che hanno provocato il cambiamento dell’idea di Natura. È il cambiamento dell’idea di Natura che ha permesso queste scoperte”. Razionalizzando l’essere umano, la cultura occidentale ha cominciato a percepire l’umanità come qualcosa di esterno alla natura, di superiore, relegando il resto a qualcosa da dominare e sfruttare. E l’era dell’Antropocene è una dimostrazione del limite che questo concetto ci ha portato a raggiungere. Tra le certezze che dà il naturalismo, infatti, i diritti dei non umani dove si collocano? A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, negli Stati Uniti, in Australia, in Germania e nei paesi scandinavi si è sviluppata una riflessione morale sui rapporti degli esseri umani con l’ambiente. In altri paesi come la Francia e in quelli che Descola definisce nazioni latine, questo movimento non ha attecchito, venendo interpretato come un insulto alla ragione e al progresso o come un pericolo per gli ideali illuministici e per i diritti inalienabili della persona.
Un nuovo rapporto tra esseri umani e ambiente
In un’ottica evoluzionista potrebbe sembrare che la contrapposizione tra umani e non umani sia stata il naturale superamento di uno stadio di convivenza precedente, a cui sono arrivate solo le grandi civiltà della storia dell’umanità. Per smentire questa tesi, Descola ci presenta il caso del Giappone, un paese che ha seguito l’evoluzione industriale e capitalistica del moderno Occidente ma ha mantenuto inalterata la propria visione d’integrazione con il mondo naturale. Shizen è il termine con cui si traduce il concetto di natura in Giappone, ma “non ricopre in alcun modo l’idea di una sfera di fenomeni indipendenti dall’azione umana, poiché non c’è spazio nel pensiero giapponese per un’oggettivazione riflessiva della natura, per un separarsi dell’uomo da quanto lo circonda”. Allo stesso modo, il giardino giapponese non è concepito per essere la massima espressione di un addomesticamento della natura ma diventa una raffigurazione epurata del cosmo, dove “ritrovare nella frequentazione di uno spazio familiare l’associazione intima con un universo dai percorsi poco accessibili”.
Il libro di Philippe Descola è molto complesso, e alcune parti sono difficilmente comprensibili se non si è tra gli addetti ai lavori. Ma il suo pregio è introdurre e argomentare una riflessione che può portare a un cambiamento non solo nell’antropologia ma anche nel modo in cui gli esseri umani ancora legati al naturalismo possono aprirsi a un nuovo rapporto con l’ambiente, iniziando, per esempio, a parlare di nature al plurale.
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