LIBRI

“Homo pharmacus”: come e quando siamo diventati il popolo delle pillole

Dall’aprile dello scorso anno, la compagnia biotech Novavax rincorre Desert King, una società californiana che produce additivi per alimenti dalla corteccia della Quillaja saponaria, una quercia nota come albero del legno saponario. Come mai? Da questa pianta si ricava anche un adiuvante a base di saponine di cui la Novavax ha disperato bisogno, se vuole riuscire a produrre quantità sufficienti del suo nuovo, atteso vaccino.

Questa vicenda, raccontata in dettaglio su The Atlantic, sarebbe forse potuta rientrare a buon diritto tra quelle che compongono le pagine di “Homo Pharmacus. Dieci Farmaci che hanno scritto la storia della medicina”, di Thomas Hager, pubblicato in Italia da Codice Edizioni. Il libro di Hager, giornalista scientifico americano specializzato in storia della medicina, raccoglie infatti le storie di dieci farmaci che hanno contribuito in modo rilevante al progresso delle cure medicali, dieci ritratti-biografie che svelano chi sono i protagonisti, scienziati e non solo, e i contesti storico-sociali che hanno portato alla produzione di ciascuno di questi farmaci, individuando qualche filo conduttore che li accomuna, sebbene siano collocati in momenti assai diversi tra loro, a distanza anche di secoli. 

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui si poteva morire facilmente di diarrea o anche solo per un’infezione causata da un taglio, i medici potevano contare al massimo su una ventina di farmaci di efficacia comprovata: potevano fare buone diagnosi ma erano, in sostanza, quasi impotenti. Oggi, invece, abbiamo a disposizione tecniche sofisticate impensabili fino a pochi decenni fa, come l’immunoterapia per il cancro o i farmaci innovativi per l’epatite C, i vaccini, le cure monoclonali.

Sono talmente tanti i farmaci che riempiono i nostri armadietti, che la loro influenza nelle nostre vite ci autorizza a pensarci come testimoni di un’epoca eccezionale, siamo di fatto un Popolo delle pillole, ci potremmo battezzare gli Homo pharmacus, appunto. Con questa nuova identità battezzata nel libro di Thomas Hager, bisogna però mettere in conto anche i lati più oscuri di questi progressi. Tra pillole legali e illegali, gli abusi nella loro assunzione possono provocare ogni anno la morte di decine di migliaia di persone, numeri paragonabili a un bollettino di guerra.

Storie che vengono da lontano

La cornice storica utilizzata da Hager consente di mettere a fuoco questi e altri aspetti. L’autore inizia questo percorso indietro nel tempo proprio da una delle sostanze più emblematiche dei rischi mal gestiti, il Papaver somniferum, ovvero l’oppio, o la “pianta della gioia”, che fa la sua comparsa la prima volta quasi con l’inizio dell’umanità stessa, circa 10.000 anni fa, quando ancora non esisteva nemmeno l’agricoltura. L’oppio e i suoi primi derivati sarebbero stati usati come antidolorifici anche dai Greci e dai Romani, diventando nel corso del tempo una presenza costante quanto preoccupante.
Nel libro si parla quindi dei primi antipsicotici, a partire dall’idrato di cloralio, usato dai malviventi dell’America di inizio ‘900, fino alla clorpromazina, sostanze che hanno contribuito a svuotare e a trasformare gli ospedali psichiatrici, ma anche a dar vita a quel sistema che oggi chiamiamo Big Pharma. Si raccontano le vicende di Lady Mary Wortley Montagu e del suo intuito pionieristico nell’introdurre la tecnica di inoculazione del vaiolo, di tradizione ottomana, nelle pratiche mediche occidentali del 18° secolo e, in tempi più recenti, di come e quando è arrivata la famosa pillola blu che aiuta a risolvere i problemi di disfunzione erettile, con tanto di dimostrazione pubblica o di come le prime statine siano state prodotte in Giappone, negli anni ’60, per poi essere messe in stand by perché ritenute pericolose.

Non si tratta di un compendio dei medicinali più famosi e prevedibili o di scoperte epocali con risonanza mondiale – se qualcuno si aspetta grandi classici come la scoperta della penicillina o dell’aspirina, rimarrà deluso – Hager lo mette in chiaro subito. I toni e lo stile sono volutamente non accademici, non si rivolge ad esperti, o comunque non a loro in prima battuta.
Ciononostante, si riescono comunque a intravedere alcuni “grandi temi”, come lo stesso mondo di Big Pharma, che Hager però non affronta di petto, ma preferisce piuttosto parlarne seminando spunti di riflessione sparsi. Forse per questo la sua posizione a riguardo può sembrare a un primo sguardo un po’ ambigua: mentre riconosce i meriti dell’ascesa delle grandi compagnie, che hanno facilitato la distribuzione di massa dei farmaci, anche grazie alle strategie di marketing, ne sottolinea anche il rovescio della medaglia, la colpa di aver spaventato i pazienti per convincerli ad  acquistare farmaci nuovi e costosi o di aver nascosto dati e studi compromettenti sulla loro condotta. In altri casi, le riflessioni sul rapporto farmaci-società possono risentire un po’ troppo delle opinioni personali dell’autore, per esempio quando Hager spiega quando e perché non ha voluto assumere statine, in un capitolo intero a loro dedicato.

Il massimo dell’attenzione viene comunque riservato ai derivati dell’oppio, a cui sono dedicati altri due capitoli oltre all’apertura. In questo senso, si può dire che il libro è pensato in gran parte per la realtà americana, visto che i cittadini statunitensi consumano l’80% di tutti gli oppiacei prodotti, una dipendenza inarrestabile che causa più vittime degli incidenti stradali e degli omicidi e che non ha trovato ancora soluzione. 

Si riesce in conclusione ad avere uno sguardo complessivo sul perché i farmaci abbiano conquistato questo ruolo così preminente nelle nostre società, perché siamo sempre alla ricerca di una pillola “definitiva”, quasi magica, valutando anche i nuovi orizzonti di innovazione, dalle cure monoclonali e i farmaci biologici, fino alle previsioni di cure personalizzate e sempre più digitali.

Il libro è stato scritto prima della corsa ai vaccini anti Covdi-19, forse ora si potrebbe già ampliare lo spettro delle biografie di Homo Pharmacus, pensando ai nuovi vaccini a m-RNA o magari proprio alle saponine adiuvanti.
Di certo non cambierebbe il suo messaggio di fondo: i farmaci sono prodotti dell’uomo, e in quanto tali possono essere buoni o pericolosi, a volte entrambe le cose. 


Leggi anche: “Genetica e destino” di Alberto Piazza

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.