CERVELLI ARTIFICIALI

La sfida Cnr-Google a colpi di qubit

L’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche ha “battuto” il colosso tech brevettando un algoritmo che permette ai computer quantistici di lavorare in modo più efficiente

Non è così raro che più gruppi di ricerca nel mondo si occupino contemporaneamente dello stesso problema. Quando gli altri lavorano per colossi come Google o Intel, però, il livello della competizione si alza. E se alla fine si riesce a spuntare un risultato migliore rispetto a queste big company, allora non resta altro che festeggiare.

È quanto è successo al gruppo coordinato da Enrico Prati dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifn) di Milano, che è riuscito a mettere a punto, grazie all’intelligenza artificiale, una soluzione che permette di velocizzare le operazioni con i computer quantistici, macchine con una potenza di calcolo di gran lunga superiore a quella dei nostri pc. Questo è legato al fatto che l’unità minima di informazione non è il bit (che ha solo due configurazioni, 0 e 1), ma il qubit, un fotone o un elettrone in grado di trasportare molta più informazione (e dunque di velocizzare i calcoli).

Si tratta di ricerca di frontiera: “In questo momento i computer quantistici rappresentano il futuro – spiega Prati, che ha collaborato con l’Università di Milano e il Politecnico meneghino – Non abbiamo ancora un hardware abbastanza potente, ma nel frattempo possiamo costruire dei software che ci permettano di sviluppare al meglio la tecnologia non appena l’infrastruttura sarà pronta”.

I computer quantistici

Il nucleo della scoperta di Prati e compagni (che è stata brevettata) ruota attorno alle porte logiche: “Nei computer tradizionali, sono circuiti che permettono le operazioni tra i bit. – spiega il ricercatore – A partire da queste operazioni elementari, si costruiscono tutte le operazioni possibili per un computer, come se fossero dei piccoli mattoncini”. Allo stesso modo, un computer quantistico si basa sui bit quantistici, “mattoncini con cui si costruiscono tutte le operazioni di livello più alto”.

In un computer quantistico le porte logiche sono una quantità finita e dunque possono essere “combinate” solo in un certo numero di modi. “Con il nostro metodo, è possibile costruirle in tempo reale: se mentre si sta lavorando a un problema ci si accorge che servirebbe una porta logica per risolvere un calcolo già in corso, la si può creare sul momento. Questo significa modificare il programma in tempo reale, mentre viene eseguito”. Di fatto, si tratta di un compilatore quantistico in grado di programmare un algoritmo su qualsiasi computer quantistico basato su porte logiche. Si tratta di un capovolgimento non da poco: invece di adattare il proprio lavoro a quello che già esiste, si possono creare soluzioni adatte al tipo di calcolo in corso.

“Dal punto di vista tecnico, ci siamo ispirati al lavoro che ha fatto DeepMind con AlphaGo, l’algoritmo che ha battuto il campione del mondo (umano) di Go. Utilizzando l’apprendimento con rinforzo abbiamo insegnato all’intelligenza artificiale a vincere costruendo la porta logica. L’apprendimento è finito quando l’Ai è riuscita a realizzare tutte le porte logiche che le abbiamo affidato nelle sessioni di allenamento”. A eseguire materialmente il lavoro è stato Lorenzo Moro, all’epoca laurendo in Fisica all’Università di Milano e oggi dottorando al Polimi.

L’apprendimento con rinforzo è una tecnica di machine learning basata sull’esperienza, in cui un algoritmo si adatta al variare delle condizioni ambientali. “Sulla carta può sembrare qualcosa di semplice, in realtà è difficilissimo perché l’intelligenza artificiale deve imparare a muoversi in un ambiente molto complesso come quello quantistico. La mente umana non riesce a intuire come possa essere lo spazio in cui si muovono i qubit. La sfida era che l’intelligenza artificiale ci riuscisse”.

La sfida con Google

“Quando abbiamo iniziato a lavorare sul problema non sapevamo che anche Google si stesse muovendo in questa direzione. – rivela Prati – Quando è stato reso pubblico il loro brevetto, abbiamo visto che il loro algoritmo risolve un caso specifico, trovando la singola porta logica con le operazioni disponibili. Noi ci siamo posti un problema un po’ più generale e lo abbiamo risolto. Il nostro algoritmo è quindi più generale di quello di Google”.

Il fatto che più team stessero lavorando in parallelo allo stesso problema dimostra che i tempi sono maturi per questa tecnologia, sebbene ai più sembri ancora qualcosa di futuribile.

Oggi, infatti, programmare un computer quantistico è una materia per super esperti in fisica, ma in un futuro non così lontano per i ricercatori non sarà più così. “I computer quantistici dovranno essere un oggetto che qualsiasi programmatore dovrà saper usare, in modo analogo a come noi utilizziamo un computer normale: possiamo scrivere un testo anche senza conoscere che cosa avviene a livello di circuiti. Bisogna dividere il controllo della parte hardware dalla programmazione dei software che si vogliono utilizzare. Per farlo, serve uno strato di compilazione, che possiamo definire firmware quantistico, che separa il lavoro che vuol fare il programmatore che scrive il software rispetto a quello che invece è il controllo dell’hardware”. Un sottile film a dividere i due aspetti, come se fossero in due bolle di sapone diverse.

“A oggi i problemi che si possono risolvere sono ancora a livello di prototipo: dovremo aspettare ancora qualche anno prima che ci sia dell’hardware potente a sufficienza, – afferma Prati – però nel frattempo dobbiamo sviluppare quella parte di firmware che separa l’hardware dal software, in modo da essere pronti”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Michela Perrone
Appassionata di montagna e di tecnologia, scrivo soprattutto di medicina e salute. Curiosa dalla nascita, giornalista dal 2010, amo raccontare la realtà che mi circonda con articoli, video e foto. Freelance dentro e fuori, ho una laurea in Comunicazione e un master in Comunicazione della Scienza.