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Underground: mappe digitali di mondi sotterranei

Il Ground Penetrating Radar è uno strumento che permette di rilevare strutture ed oggetti sepolti sotto terra, e di rappresentarli con mappe 3D. Una società spin-off dell’Università di Trieste lo ha impiegato ad Aquileia per aiutare gli archeologi a capire dove condurre gli scavi. Il risultato della loro indagine è recentemente uscito su Applied Science.

Il Fondo Pasqualis di Aquileia è un rettangolo di erba un poco smussato sugli angoli. Qua e là pavimenti di pietra e basi di colonne fanno capolino tra gli steli, simili a vecchie ossa ingrigite. Sono lo scheletro dell’antico mercato romano, che il tempo, il suolo e le radici hanno coperto e custodito.

Tra 2019 e 2020 l’Università di Verona, con il supporto della Fondazione Aquileia, ha condotto un nuovo scavo nel Fondo. Per decidere dove procedere si sono avvalsi di Esplora, una spin-off dell’Università di Trieste che, attraverso droni, radar e altri strumenti per rilievi ambientali di precisione, sono capaci di vedere nel profondo del terreno.

Davide Martinucci, specializzato nei Sistemi Informativi Geografici (GIS) per l’analisi e la rappresentazione del territorio, e Roberta Zambrini, amministratrice di Esplora nonché esperta di geofisica applicata, hanno preso parte ai rilievi.

A loro abbiamo chiesto di raccontarci come funziona uno degli strumenti utilizzati sul Fondo Pasqualis: il ground penetrating radar, o georadar. Sulle potenzialità di questo apparecchio in ambito archeologico i ricercatori di Esplora hanno di recente pubblicato un paper per Applied Science.

Anatomia di un georadar

«Il georadar è uno strumento che consente di indagare sia il sottosuolo sia le strutture artificiali, rivelando la presenza e la posizione di oggetti sepolti, attraverso la riflessione delle onde elettromagnetiche. È dotato di due tipi di antenne: le prime emettono onde elettromagnetiche, le seconde invece le ricevono quando tornano indietro».

In parole semplici, la macchina sfrutta le stesse onde che consentono ai nostri occhi di vedere, sebbene lavora con frequenze non percepibili dai nostri sensi. Ma in che modo queste macchine vedono attraverso il suolo?

Vedere con le macchine

Le onde emesse dai georadar penetrano nel sottosuolo. Una parte però viene riflessa dalla materia che incontra. Ritorna allora verso la superficie, dove viene registrata dalle antenne in ascolto.

Quando incontrano un oggetto, un tipo di terra diverso, un sottoservizio o un vuoto, le onde che ritornano indietro subiscono una modifica. In gergo tecnico, si dice che incontrano una discontinuità, e che questa produce un’anomalia nelle registrazioni del radar.

«Il georadar produce un segnale diverso ogni volta che cambia la costante dielettrica dei materiali», cioè la loro capacità di interferire (e riflettere) le onde elettromagnetiche. «Se incontra un oggetto, non ci dice di quale materiale è fatto o cosa sia, ma ci racconta che lì effettivamente qualcosa c’è».

Come fare dunque a capire cosa stiamo guardando? È qui che entrano in gioco gli esperti.

Interpretare i dati

Il risultato di un rilievo fatto con un georadar assomiglia a una nuvola di onde: «è uno dei più complessi da interpretare».

Sono gli esperti di Esplora, geofisici specializzati in rilievi terrestri e marini, nell’elaborazione dei dati e nella rappresentazione del territorio che, attraverso software specifici e l’esperienza maturata nell’usarli, riescono a trasformare questa nuvola di punti in una mappa tridimensionale dell’area.

Per leggere queste mappe è necessario avere chiaro come funziona un rilievo.

«Solitamente si procede così: l’area che va esaminata viene suddivisa in settori più piccoli, in base alla forma e alle esigenze dello strumento impiegato. Il georadar 3D usato da Esplora, ad esempio, può indagare strisce di terreno non più larghe di 64 centimetri» spiega Zambrini.  «Man mano che lo strumento avanza nel suo esame, associa a ciascuna informazione rilevata una coordinata geografica. In sostanza, il radar annota, con una precisione al centimetro, in che punto dello spazio ha acquisito quel determinato segnale».

È proprio grazie a queste coordinate che i punti raccolti possono essere combinati e ordinati in mappe tridimensionali. «Una volta mosaicate assieme, dalle singole strisce rilevate si ottiene un volume continuo, perché alla sua rappresentazione in x e y, corrisponde poi una profondità z, sotto, nel terreno».

«Sapere esattamente dove ogni punto si trovi nello spazio non serve soltanto per ordinare le informazioni che raccogliamo con il radar» chiarisce ancora Davide Martinucci «ma anche per poterle integrare coi rilievi effettuati con altre strumentazioni» creando un risultato davvero affascinante: una mappa multilivello navigabile nelle tre dimensioni, che restituisce la stessa complessità di un paesaggio che cambia mano a mano che ci si sposta in esso.

Fette di suolo

«Una volta che i dati sono stati ordinati, quello che facciamo è seguire e interpretare le anomalie all’interno della mappa digitale» racconta Zambrini.

Immaginiamo di avere individuato un tubo. In ogni porzione di suolo passata al vaglio del georadar (una fetta, traducendo letteralmente dall’inglese che domina il gergo degli specialisti) troveremmo la stessa anomalia, sempre nello stesso punto e con lo stesso ingombro volumetrico. Riordinate tutte le fette, una a fianco all’altra, la geometria delle anomalie rivela oggetti, fratture, falde, strutture: in altre parole, paesaggi sotterranei, altrimenti invisibili.

«Queste mappe possono essere navigate non solo in lunghezza o larghezza» come se guardassimo il paesaggio dall’alto «Ma anche in profondità. Nelle nostre ricostruzioni digitali, possiamo scendere e vedere come il paesaggio cambia» da uno strato a quello sottostante.

Mille usi del georadar

«Siamo particolarmente affezionati al lavoro svolto ad Aquileia» sorride soddisfatta Roberta Zambrini «Gli archeologi hanno scavato il terreno in uno dei punti da noi individuati, trovando esattamente ciò che il georadar ci aveva segnalato: i resti della piazza del mercato, con un porticato di colonne a delimitarla. Insomma, è stata l’ennesima, preziosa conferma dell’attendibilità degli strumenti e delle tecniche che usiamo».

Ma gli ambiti in cui il georadar può essere applicato vanno oltre l’archeologia, per approdare all’ingegneria civile e alla salvaguardia dei monumenti storici.

«Siamo stati chiamati ad esempio dal gestore di un aeroporto che voleva controllare cosa ci fosse sotto la pista di atterraggio, ma anche dall’Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPo), per monitorare dove i tassi e nutrie avevano scavato le loro gallerie negli argini dei fiumi»

Mappare il sottosuolo è importante per molte ragioni di utilità pubblica. Ma non soltanto. Fra i committenti di Esplora ci sono anche i «Cavalieri Templari Cattolici che, nell’ex chiesa di San Giacomo, a Ferrara, ci hanno chiesto di trovare la tomba del loro fondatore» sorride Davide Martinucci. «Non possiamo ancora dirvi come è andata a finire» ma è certo che le mappe del sottosuolo, qualche volta, nascondono vere sorprese.


Leggi anche: Tra vette e abissi: quando l’archeologia si fa estrema

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Elisa Baioni
Laureata in Scienze Filosofiche all'Università di Bologna. Frequenta il Master in Comunicazione della Scienza 'Franco Prattico' di Trieste. Ha scritto per Galileonet; per Rickdeckardnet e per Animal Studies. Collabora con le scuole per attività di didattica formale e informale. Appassionata di scienza, etiche ambientali e postumanesimo. Preoccupata per il brutto clima.