NOTIZIE - Il fattaccio di ieri su Twitter (link al post) mi ha costretto a notare la coincidenza con la pubblicazione pochi giorni fa su PLoS one fa di uno studio il cui oggetto è “come i social network predicono le epidemie”. Andiamo con ordine (per chi non fosse del tutto informato sui fatti): ieri Twitter (link), il social network di microblogging, diffusissimo da noi ma soprattutto nel mondo anglosassone, è andato in tilt. In un interessante articolo sul Guardian (link) - che vi consiglio di leggere -, Martin Robbins paragona l’evento a una pandemia (“una nuova forma di vita artificiale di tipo sfuggente è nata” scrive sulle pagine del quotidiano anglosassone). Vi riassumo brevemente la spiegazione di Robbins: qualche astuto hacker ha trovato un baco nel codice del sito e ci ha inserito poche righe di JavaScript (un linguaggio di programmazione). I pezzetti di codice inserito facevano in modo che ogni volta che un utente passava col mouse in certe aree dello schermo (inizialmente le semplici parole scritte dei “tweet” – i post di Twitter) partiva automaticamente un “retweet”, cioè il link veniva automaticamente ripostato. Questa azione replicava i pezzetti di codice pirata, diffondendoli nelle varie (infinite) pagine del servizio (quelle dei singoli utenti). L’analogia con la diffusione virale non si ferma qui, perché i pezzetti di codice, proprio come i virus reali, evolvevano (tendenzialmente allargando l’area di schermo in grado di provocare il retweet).