Gli astronomi si fingono extraterrestri e testano un nuovo metodo per l’identificazione dei pianeti extrasolari
Già a un colpo d’occhio superficiale la nostra Terra, nella rosa dei pianeti del Sistema Solare, ha qualcosa speciale. Ma quanto speciale e perché?
Rispondere a questa domanda in maniera precisa e quantitativa è secondo Nicholas Cowan, autore di uno studio apparso sulla rivista Astrophysical Journal, importante per identificare altri pianeti extrasolari che potrebbero ospitare la vita.
Lo studio di Cowan e colleghi ha usato le immagini della Terra raccolte con il telescopio a bordo della missione Deep Impact – che nel 2005 ha sganciato una sonda sulla cometa 9P/Tempel -. Gli scienziati si sono soprattutto concentrati sul modo in cui durante la rotazione terrestre cambiano i colori sulla superficie.
La Deep Impact si trova ora circa 48 milioni di chilometri dal nostro pianeta, una distanza molto inferiore a quella di qualsiasi pianeta extrasolare che potremmo osservare da qui, ma secondo Cowan è comunque interessante adottare la prospettiva di un alieno in fase di avvicinamento al pianeta, che da questa distanza appare molto piccolo e sfocato.
“È un po’ come guardare una film con una vista molto difettosa,” ha spiegato lo scienziato. L’analisi spettrale della luce riflessa dalla Terra, e quella temporale di come questa luce varia, ha permesso anche da questa immagine sfocata di localizzare correttamente oceani e continenti. Questa tecnica perciò potrebbe essere applicata alle immagini molto degradate di altri pianeti a grandi distanze da noi.
La tecnica proposta da Cowan e colleghi si presenta come un metodo piuttosto rapido per selezionare pianeti extrasolari candidati a un’analisi spettrale più approfondita, come quelle che normalmente vengono eseguite oggi e che cercano di identificare particolari molecole presenti sul corpo celeste – molecole in genere compatibili con la vita-.