Un ricerca dell’Università della California, di Riverside, offre nuove prove a favore della funzione evolutiva dei comportamenti omosessuali negli animali
Un’interpretazione superficiale del darwinismo finirebbe per mettere i comportamenti omosessuali in aperta contraddizione con i meccanismi della selezione naturale: accoppiarsi con individui dello stesso sesso annulla la possibilità di riprodursi e quindi di trasmettere il proprio corredo genetico alla generazione futura. Ma le cose stanno proprio così? Sembrerebbe di no. Negli ultimi anni sono apparsi numerosi studi che hanno dimostrato sia che i comportamenti omosessuali sono comuni anche in animali diversi dall’essere umano sia che questi comportamenti hanno dei vantaggi dal punto di vista evolutivo. Nathan Bayley e Marlene Zuck, biologi evolutivi dell’Università della California, di Riverside, hanno condotto uno studio, pubblicato su Trends in Ecology and Evolution, che ha messo in rassegna molte di queste ricerche dimostrando che i comportamenti omosessuali sono sia un prodotto della selezione naturale che una forza che la modella.
I comportamenti omosessuali in natura “sono stati osservati spesso” commenta Bayley. In effetti, come testimonia anche Petter Bøckman, curatore della mostra “Against nature?”, in questi giorni al Museo Civico di Storia Naturale “Giacomo Doria” di Genova e a Stoccolma (presentata con il nome di “Rainbow animals”), sono molte le specie animali che hanno abitudini omosessuali: “un qualche tipo di comportamento omosessuale è stato ben documentato in oltre 500 specie. La maggioranza proviene dalle specie più grandi che conosciamo bene, ma l’estensione del fenomeno probabilmente è molto più vasta.”
“La gran parte degli animali che esibiscono abitudini omosessuali ne esibiscono anche di eterosessuali.” spiega a Oggiscienza Bøckman, che è anche ricercatore del Museo di Storia Naturale di Oslo. “Fossero umani li potremmo chiamare bisessuali, ma si tratta di un termine troppo ristretto. Nelle specie sociali infatti spesso si osserva che l’omosessualità e l’eterosessualità sono usate per scopi diversi.”
Bayley e Zucker sostengono che l’analisi della letteratura dimostra che gli esempi di omosessualità nel mondo animale sono molti di più dei classici esempi (vedi i bonobo), anche se mettono in guardia sul fatto che nelle specie differenti questo tipo di comportamento viene messo in atto con scopi diversi e che gli scienziati potrebbero chiamare con lo stesso nome cose completamente diverse. In ogni caso secondo i due autori non solo le ricerche dimostrano che questa attitudine sessuale è stata plasmata dalla selezione naturale ma che l’omosessualità stessa potrebbe essere una forza selettiva.
Una forza selettiva, come gli eventi meteorologici, la geografia del territorio, la temperatura – ma anche certi circostanze sociali – influisce sul successo riproduttivo degli individui o della popolazione e ne può modificare i comportamenti o anche l’organismo stesso. In questo senso l’omosessualità sarebbe non solo un prodotto della selezione ma anche uno dei fattori che la plasmano, credono Bayley e Zucker.
Quanto questo tipo di scoperte pesino nella discussione sull’omosessualità umana è ancora da capire. Molti infatti sono anche gli studi che provano un vantaggio evolutivo dell’omosessualità nell’uomo, per esempio quello di Andrea Camperio Ciani e Giovanni Zanzotto, dell’Università di Padova, e di Paolo Cermelli, dell’Università di Torino, pubblicata l’anno scorso sulla rivista PloS One, che ha dimostrato un collegamento fra l’omosessualità dei figli maschi e una maggiore fertilità rispetto alla media delle madri di questi individui.
Alla luce di tutte queste scoperte, secondo Bayley ci può essere un’interazione e una discussione fra le discipline che studiano l’uomo e quelle che studiano gli animali.