WHAAAT?

Mammiferi marini: più grande è meglio?

Secondo i ricercatori di Stanford anche in acqua esistono limiti per le dimensioni dei mammiferi. E sono ancora più stringenti che sulla terraferma

WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Se dovessimo pensare all’ambiente più favorevole per un animale gigantesco, la prima risposta sarebbe senza dubbio l’oceano. C’è moltissimo spazio e la capacità di galleggiare rimuove il problema di dover avere zampe in grado di sostenere il peso del resto del corpo. Ma alcuni ricercatori di Stanford hanno scoperto che anche in acqua ci sono dei limiti, e sono anzi ancora più stringenti per i mammiferi che sulla terraferma, contrariamente a quanto si pensava: devono limitare le dispersioni di calore e riuscire a procurarsi abbastanza cibo per sopravvivere.

Infatti, secondo questo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, un mammifero in acqua non ha molta scelta: deve essere grande, ma non troppo. Per quanto abbiano tutti una forma oblunga, i mammiferi marini non sono tutti strettamente imparentati, in realtà. Foche e leoni marini lo sono con i cani, balene e delfini con gli ippopotami e altri animali con gli zoccoli, mentre i lamantini (ai quali era dedicata la giornata di mercoledì 28 marzo) hanno gli antenati in comune con gli elefanti. Per capire come questi gruppi di mammiferi terrestri abbiano acquisito la loro stazza caratteristica, una volta passati a vivere in acqua, i ricercatori hanno elaborato le masse corporee di 3859 specie di mammiferi viventi e 2999 fossili dai dati esistenti. L’analisi ha incluso circa il 70% delle specie viventi e il 25% di quelle estinte, e si è basata sui modelli sviluppati in collaborazione con Craig McClain, del Louisiana Universities Marine Consortium.

Le megattere fanno eccezione a quanto scoperto nello studio grazie al loro modo innovativo di nutrirsi, filtrando l’acqua e risparmiando energia rispetto agli altri mammiferi. Crediti immagine: Pixabay

Il gruppo ha scoperto che, una volta guadagnata l’acqua, evolvevano rapidamente fino a raggiungere la loro nuova taglia, convergendo a circa 450 chili. L’incremento della taglia era maggiore per chi aveva gli antenati più piccoli, come per chi discendeva dai cani, mentre era minore per chi già aveva la taglia da ippopotamo. Questo suggerisce che dimensioni maggiori siano più desiderabili per la vita acquatica, ma solo fino a un certo punto. I ricercatori hanno fatto notare come le lontre non seguano questo andamento, forse perché la maggior parte delle specie trascorrono ancora la maggior parte della loro vita sulla terraferma.

Avere una taglia forte, in acqua, permette di trattenere meglio il calore, in un ambiente a temperature più basse della propria. Se si fosse molto piccoli, si perderebbe calore a una velocità tale da non essere in grado di procurarsi abbastanza cibo per poter mantenere la temperatura adatta. Secondo i ricercatori il metabolismo cresce insieme alla taglia, ma più velocemente di quanto aumenti la capacità dell’animale di procacciarsi la cena: questo costituisce un grosso limite alle dimensioni che possono raggiungere i mammiferi marini. Il range di taglie sostenibili, in acqua, risulta perciò inferiore a quello sulla terra.

Insieme alle lontre, fanno eccezione anche i misticeti, un sottordine di cetacei, rappresentato dalle balenottere, dalla megattera e dalle balene vere e proprie: privi di denti, sono forniti di numerose serie di lamine, dette fanoni, usate come filtri per espellere l’acqua dalla bocca trattenendo il plancton di cui si nutrono. Questi animali hanno infatti sviluppato un modo di nutrirsi molto diverso dagli altri, spendendo meno energia rispetto ai loro parenti provvisti di denti: questa efficienza permette ai misticeti di diventare più grandi. I ricercatori sperano che questo possa servire a comprendere le taglie anche di altre specie, inclusi gli animali terrestri, basandosi su semplici principi di chimica e fisica.

Segui Giulia Negri su Twitter

Leggi anche: Le radici sociali e culturali del cervello dei cetacei

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.