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Un buco nero da tavolo

Il Buco nero di Cheng e CuiUn dispositivo di dimensioni ridotte mima le caratteristiche dei buchi neri e apre una nuova via per l’energia solare

Dalla teoria alla pratica: all’inizio di quest’anno Evgenii Narimanov e Alexander Kildishev della Purdue University di West Lafayette, in Indiana, pubblicavano su Applied Physical Letters un lavoro in cui dimostravano che è teoreticamente possibile creare un buco nero “portatile” in grado di assorbire la luce allo stesso modo di un vero buco nero (che grazie alla sua enorme gravità è in grado di piegare lo spaziotempo intorno a sé) senza però le sue conseguenze catastrofiche. Lunedì scorso su arXiv (l’articolo verrà successivamente pubblicato su Applied Physical Letters) è apparso un nuovo lavoro di Qiang Cheng e Tie Jun Cui, dell’Università del Sudest di Pechino, in Cina, dove il metodo proposto da  Narimanov e Alexander Kildishev è stato messo in pratica con successo.

Il “buco nero da tavolo” per ora funziona solo con le microonde ma gli scienziati sperano di implementarlo al più presto con la luce visibile. L’idea di Narimanov e Kildishev è che per catturare efficacemente la luce bisogna costruire un cilindro composto da uno strato esterno e uno interno. Il primo deve essere composto da diversi strati in cui gradualmente aumenta la “permittività”, che è la capacità del materiale di ridurre un campo elettrico e che quindi influenza la componente elettrica dell’onda di energia che gradualmente si “piega” fino a quando giunge al nucleo doveCoem il buco nero cattura la radiazione viene intrappolata (e non riflessa).

E proprio questo Cheng e Cui hanno fatto: hanno costruito un disco formato da 60 anelli di “meta materiale” (quello che viene usato anche per i mantelli dell’invisibilità). I 40 strati esterni formano il guscio e i restanti 20 il nucleo. Ogni strato è ricoperto di rame inciso con disegni complicati le cui caratteristiche cambiano progressivamente da un anello all’altro. Le incisioni sono in grado di vibrare (o non vibrare) in risposta ai campi elettromagnetici.

Il dispositivo cattura le radiazione e la trasforma in calore. Meccanismi simili potrebbero in futuro essere usati nella produzione di energia dal Sole: “Se funzioneranno,” ha spiegato Narimanov “non ci sarà più bisogno di grandi specchi parabolici per raccogliere la luce.”
I buchi neri infatti potranno succhiare tutta la radiazione e inviarla al cuore della cella solare.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.