Qualche milione di anni fa la crescita dei monti Appalachi ha provocato una glaciazione che ha portato all’estinzione di ben due terzi degli esseri viventi
Era il periodo Ordoviciano, circa 460 milioni di anni fa e la nascita della catena appalachiana (che negli Stati Uniti si estende dalla Georgia al Maine per oltre 1500 chilometri) potrebbe aver sequestrato così tanta anidride carbonica dall’atmosfera da provocare una severa glaciazione. Queste sono le conclusioni di Seth Young, un geologo dell’università dell’Indiana di Bloomington, che ha analizzato alcune formazioni di roccia sedimentaria nel Nevada. Young ha scelto queste rocce perché “qualsiasi cosa possa essersi dilavata dai Monti Appalachi in quel periodo, deve per forza essere finita in questi sedimenti”.
Poco meno di mezzo miliardo di anni fa i monti Appalachi erano teatro di un’intensa attività vulcanica. La lava emessa dai vulcani ha formato delle catene montuose che allora erano alte quanto le alpi oggi. I vulcani inoltre hanno immesso enormi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, portandola a livelli superiori di 20 volte rispetto a quelli attuali. Questo gas serra avrebbe dovuto tenere la terra al caldo per un bel po’ di anni, ma solo 10 milioni di anni dopo, i livelli di CO2 atmosferica hanno iniziato a ridursi drasticamente. 5 milioni di anni dopo il pianeta era in piena glaciazione. Gli scienziati fino a oggi erano perplessi: cosa può aver causato questa improvvisa riduzione di anidride carbonica nell’aria?
L’analisi dei tre siti di sedimenti del Nevada, principalmente composti da calcare, ha mostrato un rapporto fra i due isotopi stronzio-87 e stronzio-86 pari a 0,6, la differenza più grande mai registrata in una roccia fino ad oggi. Questo indicherebbe che la componente di calcio nel basalto, ricco di stronzio-86, degli appalachi è stata dilavata dalla pioggia acida che si è combinata poi con questo minerale andando a formare il calcare. Questo processo avrebbe sottratto in maniera massiccia anidride carbonica all’atmosfera, determinando successivamente il drastico calo delle temperature.
L’articolo orginale è disponibile online sull’ultima edizione di Geology