E se la CO2 in eccesso la mettessimo sotto terra?
Al via il progetto ENOS, finanziato per 12 milioni di euro. E la ricerca italiana (e triestina) è in prima linea.
TRIESTE CITTÀ DELLA SCIENZA – Per ridurre il riscaldamento globale, la Comunità Europea si è posta l’obiettivo di diminuire dell’80% le emissioni di CO2 – gas a effetto serra – entro il 2050. Alla base del progetto ENOS (ENabling Onshore CO2 Storage in Europe) è l’idea che il riscaldamento globale vada affrontato con tutte le armi che abbiamo a disposizione. Una di queste è la cattura e lo stoccaggio nel sottosuolo della CO2 (CO2 Capture and Storage, o CCS).
Questa tecnica prevede l’immagazzinamento controllato dell’anidride carbonica sotto terra, in formazioni geologiche profonde almeno 1000 metri e adatte a questo tipo di attività. Insieme agli altri strumenti e metodi già noti per ridurre le emissioni, come la sostituzione dei combustibili fossili con fonti rinnovabili di energia a emissioni di carbonio basse o nulle, questo metodo sarà uno strumento per fornire, secondo gli scienziati, un valido contributo per abbassare i livelli di concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Siamo infatti giunti a un punto critico nella storia della Terra: prima della rivoluzione industriale la concentrazione di anidride carbonica era di circa 280 parti per milione; oggi abbiamo già superato 400 parti per milione.
Il progetto, finanziato con 12 milioni di euro dall’Unione Europea nell’ambito di Horizon 2020 (ENOS è uno dei 19 progetti finanziati su 290 proposte presentate), ha preso il via il 1 settembre 2016 per la durata di 4 anni e vedrà la collaborazione di 21 partner europei, coordinati dal Bureau de Recherches Geologiques et Minieres (BRGM) francese. L’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale – OGS, con sede principale a Trieste, partecipa al progetto insieme ad altri partner italiani: l’Università La Sapienza di Roma e la Società Tecnologie Avanzate Carbone Sotacarbo (Sardegna). In ENOS, OGS riceverà dall’Unione Europea un contributo di 1 milione di euro. Ne abbiamo parlato con Flavio Poletto, referente scientifico di OGS per ENOS.
Anzitutto dottor Poletto, ci può dire qualcosa di più su questa tecnica?
In pratica si costruiscono e si utilizzano pozzi abbastanza profondi, per esempio di 1,5 km, o comunque non meno di 1000 metri, per raggiungere le formazioni rocciose entro cui viene pompata la CO2. Questi pozzi devono essere perfettamente sigillati e rivestiti con tubi di qualche decina di centimetri di diametro, fino a raggiungere le rocce della formazione geologica, cioè del “serbatoio naturale” prescelto. Le formazioni geologiche devono a loro volta possedere determinate caratteristiche: devono infatti avere condizioni di sigillo ottimali sulla loro interfaccia di copertura, che deve essere formata da rocce impermeabili, ma devono anche essere porose, in modo tale che la CO2 pompata al loro interno riesca ad esservi immagazzinata.
Quali sono i possibili pericoli?
In questi 4 anni studieremo l’evoluzione del processo di stoccaggio della CO2 immagazzinata in formazioni e strutture geologiche di diverso tipo, per evitare possibili situazioni critiche, con perdite di gas, e preservare la totale integrità degli acquiferi più superficiali. Al fine di garantire l’efficienza e la sicurezza del procedimento di stoccaggio, eseguiremo monitoraggi ripetuti nel tempo per assicurare che le operazioni avvengano senza alcun tipo di impatto negativo a livello ambientale e verificare con rilevazioni chimiche di superficie che i gas non fuoriescano. Per questo utilizzeremo tecnologie innovative di diverso tipo, fra cui tecniche sismologiche e di telerilevamento (remote sensing).
Qual è l’elemento di novità del progetto?
Si tratta di un progetto per studiare da vicino, su siti a terra e in condizioni di vita reale, gli effetti del confinamento di CO2 in formazioni geologiche profonde. Il metodo già esiste: per quanto riguarda l’Europa, una cosa simile è stata fatta in Nord Europa, sotto i fondali marini e a terra in alcuni siti campione. Lo stoccaggio in siti a terra offre una maggiore flessibilità e permette di utilizzare infrastrutture che hanno costi ridotti, sia in termini di gestione sia di monitoraggio rispetto a quelli in mare. Il maggiore elemento di novità è che il progetto mira a estendere l’applicazione in Europa in condizione di vita reale e studiare il metodo in rocce e formazioni di diverso tipo rispetto ai casi già studiati, sviluppando e affinando le tecniche di monitoraggio per garantire l’efficacia del confinamento controllato. Il tutto avverrà coinvolgendo fin dall’inizio la popolazione locale in modo da garantire la trasparenza del progetto.
Qual è il suo ruolo ed il ruolo di OGS?
Io in particolare eseguirò, assieme ai colleghi dell’OGS e ad altri partner nel progetto, una serie di test di monitoraggio geofisico in due siti di stoccaggio, in Spagna e in Italia, Per questa attività di indagine nei pressi dei pozzi di iniezione e osservazione utilizzeremo le pluriennali competenze di OGS nello studio del confinamento della CO2, assieme alle preziose competenze scientifiche e tecnologiche sviluppate presso la nostra struttura sperimentale di Piana del Toppo, vicino a Pordenone, che rappresenta una risorsa unica in Italia per lo studio della geofisica in pozzo e in superficie e della perforazione con strumenti e metodi innovativi.
Carta d’identità
Nome: Flavio Poletto
Età: 64
Nato a: Gorizia
Lavoro a: Trieste
Formazione: Laurea in Fisica, Geofisico Dirigente di ricerca
Istituto: Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale – OGS
Il mio gruppo di ricerca: Geofisica da pozzo, coordinatore
Cosa amo di più del mio lavoro: La ricerca sia teorica che sperimentale, in field
La sfida principale nel mio ambito di ricerca: Essere competitivi a livello internazionale con un alto livello di capacità tecnologiche e competenze scientifiche
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