LHCb per scoprire nuove particelle contenenti quark beauty e antiquark
“È uno dei momenti più belli e interessanti della fisica degli ultimi 300 anni perché qualsiasi scoperta sarebbe davvero una grande scoperta. Tutte le cose previste dal modello standard, cioè il modello che descrive al meglio la natura oggi, le abbiamo trovate, ma c’è qualcosa in più che ancora non abbiamo capito. E LHCb è uno degli strumenti con la più alta probabilità di successo per fare una nuova scoperta”.
Nome: Maria Elena Stramaglia
Età: 29 anni
Nata a: Bari
Vivo a: Berna (Svizzera)
Dottorato in: fisica delle particelle (Berna, Svizzera)
Ricerca: Costruzione del nuovo rivelatore SciFi di LHCb
Istituto: Laboratoire de physique des hautes énergies, EPFL-École Polytechnique Fédérale De Lausanne (Losanna, Svizzera)
Interessi: cantare, correre.
Di Berna mi piace: è bellissima, a dimensione d’uomo, pulita, è vicino al bosco, al fiume e alla montagna, è molto organizzata.
Di Berna non mi piace: il tedesco.
Pensiero: I do think that the study of natural science is so glorious a school for the mind. (Michael Faraday)
RICERCANDO ALL’ESTERO – LHC è un grande acceleratore di particelle presente presso il CERN di Ginevra, utilizzato per studiare i principali costituenti della materia, cioè le particelle fondamentali. Il modello standard della fisica è quello che descrive al meglio la natura oggi: poiché alcune osservazioni sono in contrasto con quello che ci si aspetterebbe dal modello, dal punto di vista teorico, sono stati messi a punto diversi esperimenti in LHC per indagare più da vicino queste leggi fondamentali della natura. Gli esperimenti si basano sulla collisione tra le particelle, in particolare protoni.
In cosa consiste l’esperimento LHCb?
LHCb (Large Hadron Collider beauty) è uno dei quattro esperimenti di fisica delle particelle che vengono fatti all’interno del CERN. La b di beauty si riferisce a un particolare tipo di quark, particella fondamentale che costituisce protoni e coinvolta in interazioni forti: LHCb quindi si propone di studiare il decadimento di particelle che contengono quark b.
I quark b si formano dalla collisione di protoni e l’energia generata dallo scontro è tale per cui un gran numero di nuove particelle possono essere prodotte. Molte di queste decadono quasi subito e per capire se tra loro ce ne di ancora sconosciute e per misurare il loro decadimento, è necessaria tutta una serie di rivelatori.
I rivelatori hanno una tipica forma a cipolla e sono dotati di tantissimi sottorivelatori, molto diversi tra loro: in prossimità del punto di collisione dei protoni ci sono rivelatori chiamati di vertice e di traccia che si occupano di misurare la posizione delle particelle prodotte in modo da poter ricostruire il loro impulso e il punto in cui sono state generate.
Più lontano ci sono dei rivelatori chiamati calorimetri che, a differenza dei rivelatori di traccia, fanno una misura distruttiva. Al loro interno, le particelle prodotte dalla collisione vengono fatte interagire affinché perdano completamente la loro energia: dal modo in cui sono decadute e dall’energia totale rilasciata possiamo ricostruire sia il tipo di particella sia la loro energia iniziale.
Infine, più all’esterno ci sono ulteriori rivelatori chiamati camere muoniche che registrano la presenza di muoni, particolari particelle simili agli elettroni ma molto più pesanti e in grado di attraversare i materiali senza stabilire interazioni.
È possibile identificare una particella in base al tipo di rivelatore che si è “acceso”?
Sostanzialmente sì, abbiamo dei rivelatori dedicati quasi per ogni tipo di particella e in base a quelli che hanno dato un segnale siamo in grado di risalire alla tipologia, traiettoria, quantità di moto ed energia della particella. Per esempio, gli elettroni producono un segnale sia nei rivelatori di vertice sia nel calorimetro elettromagnetico.
È importante avere rivelatori sempre migliori e aggiornati. Al momento sto partecipando alla produzione di un nuovo rivelatore di particelle basato su fibra ottica e chiamato SciFi (Scintillating Fiber): è sufficientemente economico, preciso, meno sensibile ai danni da radiazione e, non necessitando di troppi canali di lettura, copre una vasta area. La principale caratteristica che rende questo rivelatore molto interessante è che la fibra ottica non si occupa solo di rilevare le particelle ma è guida stessa del segnale. Grazie al drogaggio, attraverso cui viene iniettato un materiale scintillante all’interno delle fibre, quando le particelle attraversano le SciFi generano luce che poi viene trasmessa dal punto di produzione fino all’estremità opposta. Qui dei sensori chiamati fotomoltiplicatori al silicio trasformano il segnale luminoso in segnale elettrico il quale, una volta analizzato, può fornire indicazioni sulla traiettoria della particella.
Oltre ai rivelatori, per identificare una particella utilizziamo anche il campo magnetico: nell’universo ci sono particelle completamente identiche tra loro che però differiscono per poche caratteristiche, come la carica elettrica. Si parla di antiparticelle, l’antiparticella dell’elettrone è il positrone, mentre per il quark c’è l’antiquark. Per distinguerli sfruttiamo il fatto che, per particelle con carica opposta, il campo magnetico curva in modo diverso: in base alla direzione di curvatura ricostruita dai rivelatori di traccia, possiamo dunque capire se abbiamo a che fare con un elettrone o un positrone.
Come vengono analizzati tutti i dati prodotti?
Ogni rilevatore registra circa 10 milioni di collisioni di protoni al secondo, un numero troppo grande per essere considerato nella sua totalità. Esiste perciò un sistema chiamato trigger che seleziona, a un primo livello, gli eventi interessanti (circa 1 milione). Le informazioni vengono inviate immediatamente a una serie di computer presenti sotto al CERN che effettuano una seconda selezione e riducono ulteriormente gli eventi da studiare a circa 2000. A questo punto i dati vengono inviati, divisi in pacchetti, ad altri computer sparsi in tutto mondo: con una griglia siamo poi in grado di accedere a tutte queste informazioni per analizzare l’evento a cui siamo interessati.
Il vantaggio di suddividere i dati sta nella rapidità di studio e nel condividere l’accesso alle informazioni a livello mondiale così che praticamente tutti i fisici del mondo lavorano sugli stessi eventi.
La struttura tipica di un’analisi consiste nel cercare di ricostruire tutte le catene di decadimento e capire se la particella iniziale corrisponde a una che conosciamo o è nuova; un’analisi molto diffusa in LHCb è studiare la probabilità che una particella decada in un certo stato finale o vedere se il modello teorico predice quello che misuriamo sperimentalmente.
Come avviene lo scontro tra i protoni?
Tutto comincia con una bombola di idrogeno, da cui estraiamo gli atomi, e da un campo elettrico, con cui strappiamo l’elettrone dal protone. Il fascio di protoni viene poi accelerato e immesso in una cavità a radiofrequenza che distribuisce i protoni in pacchetti. Successivamente i protoni vengono introdotti in sequenza in acceleratori circolari e fatti girare per acquistare energia sempre più elevata. Infine si arriva a LHC dove i protoni vengono accelerati in due tubi paralleli in modo che le due serie di pacchetti girino in senso opposto. Quando hanno raggiunto un’energia sufficientemente elevata, si fa in modo che nelle zone comunicanti avvengano degli scontri: sebbene i punti di collisione previsti siano 8, attualmente ne sfruttiamo solo 4 che corrispondono a quattro grandi rivelatori e ai quattro grandi esperimenti di LHC (ALICE, ATLAS, CMS e LHCb)
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Da un lato vogliamo migliorare più possibile i nostri rivelatori per ottenere il maggior numero di informazioni su quello che succede all’interno di LHC durante uno scontro protone-protone.
Dall’altro lato continuare a indagare i valori attesi dal modello standard per trovare uno spiraglio in cui la teoria non corrisponda all’esperimento per poi approfondire il dato e magari scoprire qualcosa di nuovo.
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