Secondo uno studio dell’Università di Chicago la solitudine è contagiosa
NOTIZIE – Una singolare ricerca pubblicata nell’edizione attuale delle rivista Journal of Personality and Social Psychology compara la diffusione sociale della solitudine alle dinamiche di contagio di un virus. John Cacappio e colleghi dell’Università di Chicago per dieci anni – ogni 5 anni – hanno sottoposto un questionario per misurare la percezione soggettiva della solitudine a quasi 5000 residenti di una cittadina del Massachusetts – tutti facevano già parte di uno studio longitudinale sulla salute cardiaca.
Secondo i dati raccolti frequentando persone solitarie è più probabile “prendersi” la solitudine, un po’ come si farebbe con il raffreddore. E non sono solo le persone che frequentiamo personalmente a contagiarci, anche gli amici degli amici avrebbero un effetto. Secondo Cacappio infatti la solitudine è contagiosa fino a tre gradi di separazione, cioè ce la possiamo prendere dagli amici degli amici degli amici. Lo scienziato ha persino calcolato con precisione il valore positivo di avere un amico: 1 amico varrebbe addirittura due giorni di solitudine all’anno in meno!
Cacappio, che ha reso disponibile un grafico di come la solitudine si dispone in una comunità (nella figura sopra), spiega anche che il motivo per cui non ne soffriamo tutti è perché tendiamo a mettere “in quarantena” le persone solitarie, relegandole ai margini della società.
Non mancano le critiche. Jason Fletcher ed Etan Cohen-Cole, in un email di risposta allo studio di Cacappio inviato al Washington Post, hanno sottolineato che questo tipo di effetti “social network” si trovano facilmente se certe variabili ambientali non vengono controllate adeguatamente in fase sperimentale. I due, in uno studio pubblicato sul British Medical Journal, hanno trovato per esempio che l’acne, il mal di testa e persino l’altezza possono mostrare un andamento virale della diffusione, ma se i fattori ambientali vengono controllati correttamente gli effetti perdono di significatività.
Cacappio difende il metodo statistico usato nel suo studio. Se anche i suoi risultati possono apparire estremi e forse qui e lì un po’ ingenui, allo scienziato va il merito di aver sottolineato che “nessun uomo è un’isola” e che certi fenomeni che interessano l’individuo andrebbero studiati tenendo conto del tessuto sociale in cui è immerso.