CRONACASALUTE

Confusione sul pesce sostenibile

Per colpa di informazioni confuse e fuorvianti, non basta l’attenzione del consumatore per prevenire i danni della pesca intensiva

LA VOCE DELLA BILANCIA – Forse in Italia l’argomento è ancora relativamente poco discusso, ma in molti paesi, soprattutto Inghilterra e Stati Uniti, da un po’ di tempo l’attenzione del pubblico verso un consumo consapevole di specie ittiche è molto alta. La scorsa estate a denunciare lo sfruttamento indiscriminato dei mari e a sollecitare un comportamento più sostenibile da parte dei consumatori ha contribuito il documentario “The end of the line” per la regia di Rupert Murray e tratto dal libro omonimo di Charles Clover. Grazie a iniziative del genere il numero di consumatori consapevoli cresce di giorno in giorno, ma, si è chiesta Jennifer Jacquet dell’Università della British Columbia di Vancouver, in Canada, autrice di una ricerca pubblicata recentemente sulla rivista Oryx, basta l’azione dei consumatori ad arginare il grave problema della pesca intensiva? L’autrice è scettica: secondo l’analisi sistematica da lei condotta infatti l’informazione che viene fornita al consumatore nel migliore dei casi è inconsistente, nel peggiore fuorviante.

Per esempio, denuncia Jacquet, c’è molto poco consenso su cosa si intende per pesca sostenibile. Per alcune specie infatti la situazione è chiara: quasi tutte le organizzazioni concordano sul fatto che il tonno pinna blu sia in grave pericolo. Per altre specie ittiche però la situazione è diversa: l’halibut (ipoglosso) atlantico per esempio è indicato da sei organizzazioni internazionali come pesce da evitare a tavola, mentre la Friends of the Sea e il Monterey Bay Acquarium lo raccomandano come sostenibile. Altri pesci “ambigui” secondo Jacquet sono il tonno occhio grande, l’Ophiodon elongatus (noto in inglese col nome di lingcod), il merluzzo atlantico e il tonno alalunga.

“Mettere troppa enfasi sui consumatori non è una strategia efficace” per proteggere il pesce, ha spiegato Jacquet. “Ci sono troppi errori di etichettatura, troppa informazione fuorviante, troppe inconsistenze, e fino a oggi troppo pochi risultati.”
I problemi sono molti. Per esempio le tecniche di censimento degli esemplari di ciascuna specie sono talvolta troppo rozze e possono portare in certi casi a sovrastime. Oppure anche se la classificazione è accurata, per capire come comportarsi a tavola non basta basarsi sulla specie di pesce, ma è necessario sapere la località e il metodo con cui viene pescato. Jacquet inoltre crede che tutta questa confusione potrebbe lasciare spazio per compagnie con pochi scrupoli che vogliano rifarsi un look ecologico a poche spese (una pratica simile al green-washing adottato per esempio da compagnie automobilistiche che si presentano come, falsamente, ecosostenibili per attirare un maggior numero di clienti).

Jacquet conclude che il vero impegno per combattere l’overfishing deve venire dai governi e non solo dai consumatori (che sono certamente invitati a una maggiore sensibilità). Ogni paese dovrebbe intervenire con leggi adeguate per stabilire criteri di pesca e protezione del mare.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.