CRONACA

Missione rospo

La triste storia del rospo dallo spruzzo di Kihansi, solleva questioni spinose sulla conservazione delle specie a rischio di estinzione

NOTIZIE – Certo che gli esemplari tenuti in cattività nel Bronx o a Toledo (negli Stati Uniti) si devono sentire un po’ spaesati. Sì, perché l’area originaria del Nectophrynoides asperginis, un rospo così piccolo da stare sopra una monetina da dieci cent, è un fazzoletto di terra (circa due ettari) intorno a una cascata del fiume Kihansi in Tanzania. Ora però in questa zona la specie è ufficialmente estinta e sopravvive solo in cattività (circa 4.000 esemplari) negli zoo del Bronx e di Toledo.

Scoperta solo nel 1998, a seguito della costruzione di una diga a scopo idroelettrico la specie, dai 20.000 esemplari inizialmente stimati, si è ridotta del 90%. Il restante 10% poi è stato falcidiato dal fungo della famiglia dei citridi che sta decimando le popolazioni mondiali di anfibi.

In soccorso del rospetto, la Wildlife Conservation Society ha spedito  Jason Serle, un esperto di conservazione di animali selvatici in cattività e Tim Davenport, direttore di programmi “sul campo” in Tanzania, ai piedi della cascata. I due hanno raccolto 499 esemplari e li hanno spediti in poche ore allo zoo del Bronx, negli Stati Uniti, che a sua volta ha chiesto aiuto ad altri zoo nel territorio statunitense.

Solo lo zoo del Bronx e quello di Toledo però sono riusciti a far sopravvivere (e riprodurre con successo) gli animali, che necessitano di cure delicate e dispendiose. Per esempio devono essere costantemente esposti a un aerosol di acqua purissima (quella del rubinetto non va bene) ed essere nutriti con insetti che vanno prima accuratamente monitorati per il rischio di malattie. Attualmente per la conservazione di questa specie si stanno spendendo milioni di dollari.

Proprio per questo alcuni biologi cominciano a porsi delle domande su quale deve essere il limite dello sforzo nel salvare una specie. Il rospo dallo spruzzo è stato ormai dichiarato estinto allo stato selvaggio, e sopravvive (a stento) solo negli zoo americani. In Tanzania si stanno compiendo alcuni passi per agevolare la reintroduzione dell’animale in natura, anche se si esclude la possibilità di demolire la diga. Questo paese è infatti estremamente povero e ha una necessità vitale di energia elettrica. Tutti gli accorgimenti che si stanno effettuando per la salvezza del rospo sono perciò, almeno parzialmente, artificiali: è stato costruito un sistema per produrre artificialmente la nebbiolina normalmente causata dalla cascata e l’area è stata disboscata dalle piante che possono essere dannose per il rospo. Ma non è certo che questi accorgimenti siano sufficienti.

Jim Breheny direttore dello zoo del Bronx ha ammesso che a causa del piccolo numero di rospi sopravvissuti, la piccola area che rappresenta il loro habitat naturale, e la loro vulnerabilità estrema, è possibile che i biologi un giorno debbano concludere che non è possibile reintrodurlo in natura. A quel punto c’è da chiedersi se valga lo sforzo (e la spesa) di mantenere viva una specie che mai potrà tornare a una vita naturale. “Non sappiamo cosa faremo, ma per ora continuiamo negli sforzi,” ha concluso Breheny

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.