ANIMALI

Johan Marais, il veterinario che salva i rinoceronti

Insieme al suo team, Marais ha fondato "Saving the Survivors", l’associazione ha l'obiettivo di salvare i rinoceronti dalla morte dopo l'attacco dei bracconieri, i quali strappano il corno per rivenderlo al mercato nero.  

Johan Marais non è solo un esperto veterinario. A lui devono la vita i rinoceronti, ai quali ricostruisce i corni dopo esser stati sfigurati dai bracconieri.

Il corno dei rinoceronti vale molto più dell’oro, da 250.000 a 300.000 dollari il chilo. Nonostante tutti i Paesi abbiano sottoscritto la moratoria del Cites che vieta il commercio di prodotti derivati dal corno di rinoceronte, il traffico non si è mai concluso. In Cina, Taiwan, Hong Kong e Vietnam la polvere del suo corno è richiestissima.

In alcuni paesi asiatici, credenze popolari suggeriscono proprietà curative della polvere di corno di rinoceronte e, per questo motivo, a oggi la domanda sul mercato non è mai calata, anzi, continua ad aumentare.

Tantissimi orientali affermano sia una panacea in grado di curare qualsiasi male: dalla normale influenza alle malattie veneree. Fra i poteri imputati alla sua polvere c’è quello di farcire i sogni notturni con visioni degne di un consumatore di oppio. Il suo commercio è in particolar modo alimentato anche dalle improbabili virtù afrodisiache che gli vengono attribuite. Il rinoceronte africano, dunque, è minacciato seriamente dai bracconieri che dal 2007 hanno intensificato la ricerca di corni a seguito dell’impennata della domanda in Asia.

Johan Marais ha trascorso la sua vita fra Namibia e Sudafrica e negli ultimi vent’anni si è dedicato a molteplici progetti, fino a divenire il Presidente dell’Associazione dei Veterinari del Sudafrica.

Nel 2012 Marais ha fondato l’organizzazione benefica Saving the Survivors, coronando il suo più grande sogno: provare a salvare più animali possibili dal bracconaggio, in particolar modo i rinoceronti. Il Dottor Marais per OggiScienza ha raccontato il suo lavoro e le vittorie di Saving the Survivors.

Perché ha scelto di intraprendere la professione di veterinario?

«È iniziato tutto quando ero piccolo, sono cresciuto nel Parco Nazionale di Etosha Pan in Namibia, dove mio padre era un ranger. Ho dei ricordi nitidi della mia infanzia e che custodisco con gelosia: mio padre che si occupava del rinoceronte nero in un boma (un grande recinto metallico), io che cavalcavo un rinoceronte bianco addomesticato, io e mio fratello che nutrivamo cuccioli di leone orfani e giocavamo sulla vasta distesa di Etosha Pan. Tutte queste esperienze da bambino hanno avuto un grande impatto su di me e quando mio padre mi ha chiesto, all’età di sette anni, cosa volessi fare da grande, la risposta è stata scontata per me, volevo fare il ranger, come lui. Mio padre però mi ha orientato verso la formazione da veterinario, e devo ammettere che non rimpiango affatto la scelta».

Come è nata la sua organizzazione? Qual è il suo scopo?

«Saving the Survivors è stata avviata nel 2012 appositamente per rispondere all’elevato numero di feriti e bracconieri del rinoceronte in Sud Africa. Nel corso del 2010 abbiamo perso 426 rinoceronti e nel 2011 il bilancio purtroppo è peggiorato poiché la cifra è salita a 532.  A questo si è aggiunto un alto numero di sopravvissuti feriti, che hanno sofferto di lesioni da arma da fuoco, fratture o grandi ferite facciali a causa delle corna che vengono staccate. Questi numeri sono aumentati incontrollatamente, arrivando a oltre 1000 nel 2012 e sono rimasti così per 5 anni consecutivi. Inoltre, Saving the Survivors ha iniziato un programma di ricerca sulle diverse lesioni dei rinoceronti e su come trattarle con successo.

Successivamente abbiamo ampliato il nostro raggio d’azione, in modo da includere tutti gli animali selvatici in via di estinzione come elefanti, leoni, cani selvatici, ghepardi e leoni.  Questi grandi mammiferi sono minacciati e vengono bracconati direttamente per alcune parti del corpo, o vengono imprigionati per caso in trappole sistemate per catturare altri animali».

Cosa l’ha spinta a intraprendere la battaglia contro il bracconaggio?

«Nei primi anni ci siamo resi conto che esistono pochissime informazioni sulle nozioni di base di cui i veterinari hanno bisogno per curare il rinoceronte ferito. Solo due aspetti sono stati studiati nel rinoceronte fino a oggi: l’anatomia del loro sistema riproduttivo e il corno di cheratina. Non ci sono invece indicazioni sull’anatomia del rinoceronte, su quali antidolorifici e antibiotici funzionino su questo animale, o anche sulla sua fisiologia.  Era, ed è ancora, problematico trattare il rinoceronte, poiché la maggior parte dei veterinari li cura come se fossero grandi cavalli, il che è completamente errato.

Pertanto, non solo l’associazione ha cercato di trattare queste lacerazioni nel rinoceronte, cosa che nessuno ha mai tentato di fare, ma tutta la squadra ha anche cominciato a esplorare campi sconosciuti e di fondamentale importanza per i veterinari, per consentire loro di curare al meglio il paziente e rimetterlo in sesto».

Può dirci come avviene un salvataggio dopo un incidente di bracconaggio?

 «Generalmente veniamo contattati dal veterinario o dal proprietario se un animale è stato ferito o bracconato. In base a quanto sia distante da noi, decidiamo se andare in veicolo (fino a 6-8 ore di distanza) o volare in aereo.  Arrivati sul posto viene immobilizzato l’animale e si inizia il trattamento. Abbiamo deciso di non portare gli animali in una struttura ospedaliera per due motivi: in primo luogo, è molto traumatico per loro essere trasportati in casse; in secondo luogo, un ambiente ospedaliero con tutti i suoi diversi odori, suoni e persone che si muovono è estremamente stressante per gli animali selvatici.

Riteniamo quindi sia meglio che vengano trattati nel loro territorio, visto che già si trovano in uno stato indebolito a causa della lesione.  L’animale, in questo modo, sa che è in giro e sa anche dove si trova l’ombra, l’acqua e il cibo, quindi è meglio tenerlo nel suo ambiente naturale».

Qual è la sfida più grande che ha affrontato finora?

«La sfida più grande, lavorando con grandi animali selvatici come elefanti, rinoceronti e giraffe, è quella di essere in grado di trattare efficacemente queste ferite. Il segreto è quello di pensare completamente fuori dagli schemi, poiché non è possibile confinare questi animali in una stalla e cambiare le medicazioni o le bende ogni giorno, o addirittura trattarli con antibiotici regolarmente.

Tutto ciò ci costringe quindi a trovare metodi nuovi e innovativi differenti in ogni animale e in ogni situazione.  Bisogna pensare a un trattamento a lungo termine, gli animali non sopporterebbero qualcuno che ogni giorno gli controlla la ferita, fa loro iniezioni o cambia una benda. Il meglio che possiamo fare è probabilmente immobilizzare l’animale una volta alla settimana, per applicare il trattamento, mentre nei nostri animali domestici come cani e cavalli, queste cose possono essere fatte su una base quotidiana».

Abbiamo una stima di quanti rinoceronti sono stati salvati fino ad oggi? 

«Abbiamo trattato molti rinoceronti che sono sopravvissuti, probabilmente più di 200. Nei primi anni, purtroppo, alcuni non ce l’hanno fatta. All’epoca nessuno sapeva cosa fosse possibile fare e cosa no, quali sarebbero stati i risultati o come l’animale avrebbe reagito al trattamento, poiché nessuno si era mai trovato davanti a lesioni di questo tipo, ma era importante cercare di curare la maggior parte delle ferite.

Siamo stati tuttavia davvero sorpresi di vedere come il rinoceronte con, ad esempio, lesioni facciali molto gravi, risponde al trattamento e riesce a sopravvivere.  Abbiamo anche iniziato a trattare il rinoceronte con fratture nell’arto inferiore con un calco, inizialmente è stato rotto rapidamente a causa della loro forza, ma alla fine abbiamo capito come mantenerlo sull’arto inferiore con successo per quattro settimane.  Ormai abbiamo imparato a conoscere quali lesioni sono “curabili” e quali no.  Tuttavia, è importante che vengano trattate correttamente fin dall’inizio, per dare al rinoceronte le migliori possibilità di sopravvivenza».

Quali sono i suoi obiettivi futuri e quelli della sua organizzazione? 

«C’è stata una tendenza al ribasso nella quantità di rinoceronte cacciato da quando, negli ultimi anni, il numero di rinoceronti è diminuito, sempre a causa dei bracconieri. È chiaro che non abbiamo quasi più il numero di rinoceronti che avevamo nel 2008. Ad esempio, il Kruger National Park aveva 10500 rinoceronti bianchi nel 2008 e quel numero è sceso a 3500 nel 2019.

Oltre a concentrarci ancora sul trattamento di animali selvatici feriti e in via di estinzione come leoni, rinoceronti ed elefanti, miriamo a iniziare un progetto di riproduzione a breve con il rinoceronte bianco, utilizzando uno dei nostri sopravvissuti chiamato Seha. Puntiamo anche a iniziare a lavorare con le comunità accanto alle riserve per educarle sull’ambiente e sulla fauna selvatica e per farle beneficiare di queste riserve, in modo che ci possano aiutare con la protezione e il benessere del nostro patrimonio».

Il bracconaggio è un problema serio in tutto il mondo. Cosa possiamo fare e cosa possono fare i governi per migliorare la situazione?

«Il grande pubblico ha il potere di creare consapevolezza di ciò che sta accadendo attualmente con questi animali iconici come rinoceronte, elefante, giraffa e tigre (per citarne solo alcuni), condividendo contenuti sui social media e parlando tra di loro, facendo pressione sui propri governi in modo che più persone siano istruite su tutto questo.

In seconda battuta, le persone possono sostenere organizzazioni come Saving the Survivors per consentirci di salvare più animali possibili e mettere in atto misure che impediscano il bracconaggio e di conseguenza le lesioni a queste povere vittime.

Inoltre, dobbiamo convincere gli ambientalisti a lavorare tutti insieme per migliorare il nostro pianeta e la protezione della biodiversità.  Nessuno di noi può lavorare da solo, c’è bisogno di confrontarsi, di assistere e sostenere altri paesi, sia che si tratti di confini in Africa o attraverso gli oceani.  Tutti dobbiamo contribuire poiché tutti abbiamo un aiuto da dare e credo che possiamo, in maniera collettiva, affrontare adeguatamente alcune delle nostre più grandi sfide moderne nella conservazione in tutto il mondo».


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Francesca Danila Toscano
Biologa, con un master in Educazione Ambientale e Sviluppo sostenibile conseguito all'Università Niccolò Cusano. Educatore museale e mediatore scientifico presso il Museo Civico di Zoologia di Roma. Aspirante editor, ama scrivere di tutto ciò che riguarda la natura e gli animali.